Sicurezza sul lavoro, l’estate del nostro scontento

31 Luglio 2025 /

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Non me ne voglia il fantasma di John Steinbeck se prendo a prestito, e manipolo per l’articolo di oggi, il titolo di uno dei suoi ultimi libri, l’Inverno del nostro scontento.

Partiamo dal cambiamento climatico e dall’accresciuto rischio calore/da radiazione solare.

I media, sia pure con una pausa in questo fine luglio freddo e piovoso almeno nel Norditalia, ci inondano di informazioni sulle ondate di calore che si susseguono, intervallate da periodi di calura mediamente comunque sempre più alta che in passato (informazioni per lo più superficiali e banalotte, in quanto rigorosamente limitate agli effetti e non alle cause); e queste ondate colpiscono anche il nord Europa con punte di oltre 40 gradi, e ad esempio in Germania si registra un aumento esponenziale di assenze dal lavoro o comunque malattie legate al caldo.

Qui in Italia la macabra contabilità delle morti sul lavoro si allunga per quelle dovute appunto al calore eccessivo: sia per effetto diretto (colpi di calore, con le vittime che si accasciano di colpo dopo ore di lavoro, di solito all’aperto, a temperarature superiori ai 36 gradi), sia indotto, nel senso che affaticamento, disidratazione e simili conducono a comportamenti sbagliati e conseguenti infortuni. E’ presto per una contabilità, l’accertamento delle causa “calore” non è sempre facile né breve, e sarebbe già un risultato avere una statistica affidabile per i soli eventi mortali; vedremo quali dati si potranno raccogliere in autunno, a temperature “normali”ripristinate. Peraltro, già abbiamo più volte parlato dei limiti delle banche dati INAL, nonché di quelli dei pur meritori soggetti privati che svolgono in proprio una raccolta (rinvio alle pagine Facebook di Carlo Soricelli La danza e quella Morti di Lavoro) degli eventi mortali, osservo, nel silenzio/disinteresse (aldilà di qualche isolata iniziativa diciamo pubblicitaria) degli organi e enti che istituzionalmente si dovrebbero occupare di sicurezza sul lavoro. Eppure non dovrebbe essere troppo difficile organizzare, almeno per gli eventi mortali (oggi abbiamo anche l’AI, ma basterebbe forse CHAT GPT ..), un osservatorio pubblico che operi, se non in tempo reale, a scadenze più ravvicinate dei rapporti annuali INAIL, che escono a luglio sull’anno precedente, come l’ultimo sul 2024.

Tornando al rischio calore, le Regioni (non tutte …) e i comuni (a macchia di leopardo) hanno proceduto in ordine sparso ad emettere ordinanze meramente interdittive del lavoro in certi orari e più raramente se si superano certe temperature soglia, ordinanze però povere, o prive,di obblighi positivi. Dette ordinanze si rifanno comunque alle apposite Linee di indirizzo per la protezione dei lavoratori dal calore e dalla radiazione solare, approvate il 19 giugno la Conferenza Stato Regioni ha approvato (cfr. anche l’articolo dello scorso 29 giugno), a loro volta utilizzanti uno specifico strumento INAIL, il Workclimate.

Circa il contenuto delle Linee di indirizzo, che ricalcano a grandi linee e arricchiscono quelle della Regione Toscana 2024 di cui si scrisse, parlando appunto di rischio calore e da radiazione solare nell’articolo del 24 luglio 2024 (QUI) rinvio, senza mettermi a scopiazzare o a chiedere aiuto a ChatGPT, innanzitutto alla pregevole sintesi che Tiziano Menduto ne fa sulla newsletter di PuntoSicuro del 02 luglio scorso (QUI), Per i più curiosi/interessati, il testo integrale è reperibile sui siti di qualsiasi ASL, o dal sito https://www.regioni.it/materie/salute. Analogamente, sui siti web delle singole regioni trovate le relative ordinanze (quali Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia, Puglia, Calabria, Liguria, Lazio, Sardegna). Un esame di dettaglio non è ovviamente possibile, le differenze ove presenti non sono sostanziali e riguardano magari le attività lavorative che possono ricevere trattamenti specifici per i lavori all’aperto. Aldilà del fatto che prevale una ottica emergenziale e non sistemica quale il clima cambiato richiederebbe, sottolineo però due carenze.

In primo luogo, come elementi di rischio fisico si parla normalmente o della radiazione solare diretta, oppure della temperatura. Ma non occorre essere tecnici della prevenzione per conoscere il ruolo dell’umidità (e della ventilazione), nella sua combinazione con la temperatura. E segnalo come esistano studi dello statunitense NIOSH – National Institute for Occupational Safety and Health – (sopravviverà a Trump?) che ha di recente pubblicato, nello spazio “Calcolatori Microclima”, i criteri per la programmazione di turni di lavoro/riposo e relative tabelle per la programmazione su base oraria dell’alternanza lavoro/pause (QUI), tenendo conto appunto di temperatura, umidità, carico di lavoro (pesante, medio, leggero), esposizione diretta o indiretta alla radiazione solare (andrebbe considerata, ma non lo è, cfr. più avanti, anche la durata, e cumulata della esposizione …) E invito chi mi legge, qualora per sua sfortuna si trovi a lavorare in situazioni caratterizzate da un rischio calore, a valutare l’applicazione nel proprio posto di lavoro di tali tabelle ….

Un secondo aspetto, poco o punto considerato, è quello della maggiore sensibilità/vulnerabilità individuale, che può variare molto; è banale ricordare come l’età avanzata si accompagna ad una minore percezione della temperatura e un minor stimolo della sete (con conseguente più alto rischio di disidratazione e altre patologie, fino all’infarto, che peraltro a temperature estreme colpisce anche soggetti giovani e sani). E la cronaca delle morti, conclamate o sospette, per colpo di calore, ci racconta di vittime quasi sempre di età avanzata, anche sopra i 60 o 70 anni. E aumentano il rischio calore anche tutta una serie di altre patologie (asma, problemi cardiaci e circolatori, e via enumerando) o di condizioni personali, non ultimi il sesso ed eventuali gravidanze .. Una corretta prevenzione e tutela dovrebbe tenere conto anche di questi elementi, fino ad arrivare, per il rischio calore, a specifiche prescrizioni/limitazioni individualizzate, analoghe che so a quelle per la movimentazione manuale dei carichi o mantenimento di certe posture; e quindi nei DVR la valutazione di questo specifico rischio fisico, e relative misure, dovrebbero essere parsonalizzate. Ma siamo ben lontani da ciò; lo stesso articolo circ alostudio NIOSH recita “E’ bene rammentare, al riguardo, che l’efficacia fisiologica dell’applicaziome di tali criteri è stata verificata soltanto in pochi studi, che hanno riguardato per lo più attività di breve durata, svolte principalmente da individui giovani, di sesso maschile ed in buone condizioni di salute. E’ pertanto necessario tenere presente che le tabelle qui presentate – come specificato dal NIOSH – possono essere di ausilio nella programmazione delle pause esclusivamente per lavoratori in buone condizioni fisiche, ben idratati ed acclimatati, di età inferiore ai 40 anni, di sesso maschile, che indossino indumenti da lavoro leggeri ed in presenza di ventilazione naturale fisicamente percepibile”.

Infine, non possiamo però dimenticare che le regole presuppongono spontanea adesione prima e efficace vigilanza poi, elementi che si è ben lontani dal realizzare; quanto alle linee di indirizzo, finchè restano tali e non vengono inglobate nella normativa cogente restano appunto indirizzi non vincolanti né immediatamente sanzionabili se non applicate. E’ vero che possono valutarle se sufficienti/adeguate gli organi di vigilanza (vedi sopra), e in sede di esercizio delle azioni di surroga e regresso l’INAIL dopo eventi infortunistici indennizzati (ma i buoi saranno già scappati; su tali azioni cfr. articolo del 29 gennaio 2023) Tuttavia, ordinanze e linee di indirizzo valgono solo per lavoratori dipendenti; sfuggono perciò gli artigiani che non lavorano in appalto o subappalto all’interno di cantieri o comunque siti produttivi (per i quali si prevede solo, vagamente, che POS e DUVRI siano adeguati), ma in proprio direttamente per i committenti finali, come pure i coltivatori diretti (fateci caso: quando si parla, in questi giorni, di un lavoratore trovato morto da solo in qualche campo/frutteto, è di solito un coltivatore diretto). E ancora restano fuori autotrasportatori e corrieri autonomi, che pure stanno su un mezzo normalmente dotato di aria condizionata (ma, ci insegnano le Linee citate sopra, sbalzi improvvisi e insufficienti periodi di acclimatamento possono essere altrettanto pericolosi che una esposizione prolungata) e infine soprattutto i riders. Con pochissime eccezioni le grandi catene come Just Eat, Deliveroo ecc. li inquadrano come lavoratori autonomi o addirittura come autonomi ”marginali” con limite ai compensi di 5000 euro lordi l’anno e ritenuta d’acconto del 26%; a fronte sia del rischio calore (le città sono isole di calore, per il combinato effetto di cementificazione, scarichi, condizionamento) sia di quello da radiazione solare anche riflessa da superfici orizzontali o verticali. E anziché pensare a maggiori tutele, qualche catena ha fatto un goffo (e poi rientrato) tentativo di monetizzare tale rischio con modesta indennità specifica….

Infine, ricordiamo che sulla forzata interruzione di attività lavorative per rischio calore e ammortizzatori sociali si è mossa l’INPS con il messaggio 2130 (curiosa fonte del diritto, converranno eventuali giuriste/giuristi che mi leggono) del 03 luglio 2025, peraltro in attesa di norme non precise poi non pervenute.

In estrema sintesi, i datori di lavoro che operano all’aperto o al chiuso (anche nel settore agricoltura per quanto compatibile al messaggio stesso, e per lavorazioni) possono chiedere a giorni o ore la Cassa Integrazione Ordinaria o, dove esistenti, I Fondi di Integrazione Salariale – FIS o i fondi di solidarietà se a) la sospensione dell’attività lavorativa è disposta “per ordine di pubblica autorità per cause non imputabili all’impresa e ai lavoratori” citando applosita relazione tecnica che cita l’ordinanza di sospensione, oppure b) se vi sono “temperature elevate” queste devono di norma essere superioria i 35° (!!) . Vi è la possibilità, peraltro, di fare richiesta anche per temperature inferiori, anche percepite in relazione a umidità, tipo di lavoro, macchinari che producono calore, uso obbligatorio di DPI che aumentano la temperatura e simili, ovviamente con completa relazione tecnica, e comunque ogni qual volta che il datore di lavoro abbia sospeso l’attività su indicazione del RSPP. Ora, senza entrare in altri dettagli amministrativi della richiesta, non si può non osservare che a) la soglia dei 35° è alquanto elevata b) nulla è detto su chi, ed in possesso di quali competenze, possa redigere le richieste relazioni tecniche c) per tutti i casi di richieste di sospensione per temperature sotto i 35° manca ogni riferimento a precisi standard tecnici; gli sventurati operatori di sede incaricati di valutare le domande infatti ” possono (sic) avvalersi,oltre che dei criteri sopra richia mati, anche della documentazione o delle pubblicazioni sui dati relativi agliindici di caloreda parte dei vari dipartimenti meteoclimatici o della protezioen civile”. Tutti, quindi, questi operatori promossi d’ufficio e senza concorso a tecnici della prevenzione specializzati nel rischio calore, e senza alcuna struttura di coordinamento. E tali improvvisate soluzioni (non mi esprimo sulle qualità manageriali di chi le ha emesse) dimostrano ancora una volta come Governo, enti e istituzioni considerino, e trattino, ancora le ondate di calore originate dal cambiamento climatico come fenomeni emergenziali e non strutturali. Speriamo che maggiore consapevolezza e qualche strumento in più siano pront iper il prossimo anno.

Dicevamo che il rischio calore incrementa la macabra contabilità delle morti sul lavoro, nel perdurante silenzio, o inerzia, di Governo ed istituzioni/enti, con la lodevole eccezione della Corte dei Conti che si spinge a dire che più ispettori di vigilanza non bastano. La ministra del Lavoro Calderone promette nuove norme per l’autunno. Ma quali? Gli interventi, si fa per dire, posti in essere finora, come la patente a crediti in edilizia inducono solo al pessimismo, e con alcune perle (in realtà, piuttosto deiezioni organiche) dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in materia di apprendisti che possono svolgere il ruolo di preposti. Neppure si hanno notizie dei lavori del Tavolo con le parti sociali istituito con risonanza mediatica alla vigilia del lo scorso 01 maggio. Di certo le morti sul lavoro per colpo di calore si aggiungono alle consuete modalità, che paiono immutabili, con numeri che aumentano indipendentemente dal calore, a metà luglio la media delle vittime si è avvicinata alle cinque al giorno. Quindi continuiamo a vedere gente che cade da alberi, scale o impalcature (oppure, come le tre vittime di Napoli, cadute da un montacarichi sul quale non avrebbero dovuto neppure salire, come dice il nome dell’apparecchiatura, e senza allacciamenti di sicurezza; fate caso alla loro età avanzata), o sfonda tetti e lucernari, e sempre muore perchè non è imbragata, come dovrebbe essere. Oppure che viene travolta da carichi sospesi o parti di costruzioni, o schiacciata dal materiale che sta scaricando da un mezzo di trasporto, o dal mezzo di trasporto stesso che si è sfrenato, seppellita dal franare di qualche scavo, intossicata da esalazioni nocive, schiacciata dal trattore che si ribalta (e qui basterebbe una cabina protetta, che evidentemente troppi trattori vetusti non hanno o non hanno adeguata). E non cessano le morti alla guida di un mezzo di trasporto, lavorandovi sopra o in itinere, fateci caso più spesso la mattina prestissimo o la notte, o nelle ore più calde. E quel che colpisce è che per evitare consimili eventi non servono sofisticati sistemi di gestione, o le più recenti tecnologie basate su droni, realtà virtuale o aumentata, robotica e Intelligenza Artificiale; le norme esistenti, una formazione minimamente adeguata ed una organizzazione del lavoro che non punti solo al risparmio di tempi e costi sarebbero più che sufficienti. Ma, evidentemente, questi elementi minimi continuano a mancare.

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