I due satrapi meridionali, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, ce la stanno mettendo tutta per condizionare lo scenario amministrativo regionale anche dopo di loro. Entrambi ci stanno facendo assistere alla più ridicola, farsesca e interminabile uscita di scena nella storia delle regioni italiane. Si tratta di “narcisisti a pelle spessa”, secondo la felice definizione di Vittorio Lingiardi, cioè di “narcisisti arroganti”, per i quali prevale un sentimento di superiorità sempre esibito, un’esaltazione permanente delle loro qualità amministrative (che li porta a definire successi straordinari i loro disastri), una scarsa empatia per gli altri che non siano i famigli e la stretta cerchia di collaboratori, un senso di onnipotenza permanente, una pretesa di privilegi per sé e per i propri familiari come atti dovuti al loro “immenso” talento, le offese per chi li contrasta, una confusione del potere con l’abuso, la politica come prosecuzione del teatro, il comando come umiliazione degli altri. Insomma, i gemelli del regionalismo “insensato” (definizione di Cacciari) vogliono impedire che ci sia un “dopo di loro” senza di loro. Certo, le loro caratteristiche sono un’esasperazione di un comportamento assai diffuso tra i presidenti di regione, ma per ora vale la pena concentrarsi sul fatto che nelle due regioni meridionali la resistenza a lasciare il potere ha assunto un aspetto da avanspettacolo.
E se il pugliese si accontenterebbe di fare l’assessore con un altro presidente (o indicarne uno di sua fiducia), il salernitano vorrebbe addirittura decidere il candidato dei Cinquestelle, a cui per accordi nazionali spetterà di guidare il centrosinistra in Campania, dopo che per anni li ha disprezzati e vituperati. Sarebbe un ben triste spettacolo se il partito di Conte accettasse tale imposizione da un suo aperto nemico. Se De Luca non vuole Roberto Fico, ciò è la dimostrazione stessa del valore del candidato come rottura del sistema precedente.
La Schlein finora ha retto sul fronte della lotta annunciata ai cacicchi, anche se ci si poteva aspettare tempi più brevi. Evidentemente la loro difesa all’interno del Pd è più forte di quanto si possa immaginare. D’altra parte, in un partito diviso in correnti, non motivate da ideali e visioni nettamente contrapposte, ogni nemico della segretaria diventa proprio amico. È questa la parte più inaccettabile del correntismo, cioè la difesa degli indifendibili, l’impunità per i peggiori.
Nel corso degli anni De Luca ha riservato al gruppo dirigente del Pd le peggiori offese mai ascoltate all’interno dello stesso partito politico. In Italia solo il sindaco di Terni ha raggiunto livelli di violenza verbale e di volgarità pari alla sua. E negli ultimi tempi si sono accentuate ancora di più le contumelie fino al vilipendio. Ne ricordo alcune per chi le avesse dimenticate: menomati, ignoranti, asini, nullafacenti, analfabeti, culminate nell’affermazione che “il Pd è il partito che contiene la più alta concentrazione di imbecilli”. In privato le offese sono più volgari e sessiste. La Meloni ha reagito a un epiteto che De Luca usa abitualmente, perché mai il gruppo dirigente del Pd non fa lo stesso? Si dice che la spiegazione sta nel tentativo di tenere De Luca, fino alla fine, dentro il campo largo per impedirgli di presentarsi alle elezioni con un suo candidato.
Sull’utilità di questa tattica si possono avanzare due obiezioni. La prima: si può fare un compromesso con chi chiede di scegliere il candidato dei Cinquestelle, di presentare liste di sua ispirazione, di opzionare un futuro assessore di sua fiducia? Insomma, con chi vuole continuare a comandare sulla regione e a condizionare il futuro presidente? Come si può accettare una di queste condizioni e al tempo stesso assicurare un cambio necessario nelle scelte della regione, che resta in tanti campi l’ultima per servizi forniti ai suoi cittadini? Le pretese di De Luca sono provocazioni perché presuppongono una continuità con il suo operato che sarebbe un suicidio politico ed elettorale garantire per chiunque dovesse essere il presidente indicato. La caduta verticale del suo consenso nell’ultimo anno lo sta a dimostrare.
La seconda osservazione. Il gruppo dirigente del Pd può incontrare e parlare con De Luca quando vuole e se lo ritiene necessario, a condizione però che prima il presidente della Campania chieda scusa per le offese. Se non si reagisce contro chi ti apostrofa come imbecille, si mette in discussione l’onorabilità e la dignità di tutti gli iscritti del Pd che quel gruppo dirigente hanno scelto.
C’è, infine, anche un problema più generale di dignità e di onorabilità per la politica italiana. Come si può ancora sopportare un bulletto istituzionale come De Luca? Certo, il problema è del Pd e spetta al Pd risolverlo. Ma se lo fa, è il decoro e la dignità dell’intera politica italiana che ne guadagnano.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano l’11 luglio 2025