Pubblichiamo qui di seguito le ricche osservazioni sulla scena artistica locale di Silvia Napoli. L’articolo si pone come continuazione di un altro contributo di Napoli sulla stagione teatrale, pubblicato di recente sul nostro sito (QUI)
Non abbiamo ancora smesso di ricordare la bellissima esperienza alla Futa dell’estate scorsa o la maratona di Montagna incantata, che già in aprile a Monte Sole, Archivio Zeta ci aveva dato prova delle sue competenze letterarie ed etiche in una serie di eventi che, grazie anche ai buoni uffici di Scuola di Pace, riuscivano a coniugare memorie resistenziali con urgenze dell’oggi.
Li ritroviamo in questi giorni impegnati in una serie di progetti bolognesi prima di tornare tra l’uno e il 17 agosto nei luoghi della Futa per una messa in spazio del Processo di Kafka, e poco prima in luglio in una remota badia millenaria per celebrare il magistero Di Hildegarda di Bingen, molto di più che una monaca, come loro stessi sottolineano in una torrida serata all’ortopedico Rizzoli.
Già perché come ricorderemo il progetto Vista Paradox che trova la sua residenza e cornice ideale nella ala più antica dell’Istituto e sancisce una felice collaborazione di Archivio Zeta con l’azienda sanitaria locale, prosegue quest’anno con l’idea di valorizzare il talento femminile per la scrittura. Avremo dunque un focus Cristina Campo, autentico genius loci della situazione in quanto nipote del genio dell’ortopedia bolognese Putti. Intanto però ci viene presentata una peculiare e misconosciuta figura di narratrice – martire della cultura americana, ovvero Flannery O’ Connor, per certi aspetti blandamente assimilabile ad un incrocio tra Simone Weill ed Emily Dickinson, tenendo una media grossolana tra contesti ambientali particolari e posture dell’isolamento e del sacrificio.
La biografia della O’ Connor costituisce di per sé una vertigine etico-cognitiva ed un esempio illuminante a proposito delle questioni dello stigma, della segregazione, della patologia. Andate a verificare per credere. Quello che risulta infine massimamente sorprendente, ascoltando una lettura che è una interpretazione teatrale a tutti gli effetti e non un semplice reading da parte di Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti è lo sguardo disincantato, tagliente, crudele a tratti, di una scrittura che porta con grazia i pantaloni metaforicamente e che ha probabilmente insegnato tanto a scrittori del noir realistico, del minimalismo, del verismo americano. U brav’uomo è difficile da trovare, questo il titolo di una raccolta ma anche del singolo racconto di cui stiamo riferendo, potrebbe essere la sceneggiatura di un film dei Cohen, con Xavier Bardem protagonista nei panni del Balordo, concentrato quasi fiabesco del lato oscuro del sogno americano, cosi dannatamente piccolo e poco inclusivo, a dispetto di quel famoso Think big, che tanto spesso colpevolizza noi che non abbiamo velleità espansive ed ecumeniche a dispetto degli ideali universalisti che propugniamo. Quel cielo terso di una giornata senza nuvole e senza sole ci resterà conficcato dentro come un proiettile per un pezzo, credo. Si replica l’8 di luglio h 21 medesima location, ma con un racconto a sorpresa ancora da scegliere. Io vi consiglio di non mancare. Intanto però si preparano o rodano nuovi e diversi appuntamenti: sul fronte cinematografico, non possiamo dimenticare il Cinema ritrovato, ovvero la rassegna di Cineteca che tutto il mondo ci invidia, che fa il pienone di operatori, curatori, curiosi appassionati e studenti di qua e di là dall’Atlantico. Prima di tornare ad un veloce affondo cinematografico in giro per la nostra città. Con il loro badge al collo e la curiosità di scoprire il modello Bologna. più esperito dagli altri in verità che da noi indigeni. Quest’anno il claim di lancio è dedicato a Katherine Hepburn, definita icasticamente femminista, acrobata amante. Un’autentica dichiarazione d’intenti, se non di guerra ad un certo sguardo patriarcale. Prima di tornare ad un veloce affondo cinematografico sul recentemente concluso, si fa per dire, Biografilm, ci consta di segnalarvi su questo e il next we, il festival Insorti, all’interno delle programmazioni ai 300 Scalini, la cena benefit inaugurale delle programmazioni al Giardino della Memoria in occasione del 45 esimo anniversario della strage di Ustica e l’annunciarsi delle programmazioni delle Sementerie teatrali. Mentre si è già tenuta la classica conferenza stampa un po’ vintage di Teatro delle Ariette, allo storico bar Billi del Meloncello tutta focalizzata sulle programmazioni del mese di luglio nei comuni dell’unione di Val Samoggia e quest’anno dedicata al Vangelo secondo Pasolini.
Ma andiamo con ordine. Ovvero con la press conf relativa a questo importante quarantacinquesimo, quello dell’abbattimento del dc 9 Itavia segnato da amarezze, più che polemiche. La richiesta struggente direi, più che pressante di trovare delle precise identità colpevoli per l’accaduto da parte dei familiari e dei loro rappresentanti legali, non certo paghi di avere conferma di un atto di guerra non dichiarata sui cieli e poi dunque sui mari così tragicamente onusti di sangue del mediterraneo, si scontra infatti con una risposta di chiusura delle indagini. Entro il 26 di Novembre una nuova corte esaminerà tutti gli incartamenti e vedrà se proseguire o archiviare. Parola questa peraltro non declinata secondo l’accezione tombale che normalmente si vuole attribuire al termine da parte dell’associazione stessa vittime di cui Bonfietti è presidente, ma in senso di trasmissione di memoria, testimonianza, esperienza. Questo discorso torna più e più volte nel corso della mattinata, con accenti diversi da parte di tutti i relatori. Si sottolinea con forza non solo la vicinanza e adesione empatica e anche formale alla causa dell’associazione, quella appunto del diritto alla verità, da parte dell’amministrazione pubblica, ma si rimarca il presidio culturale che alla fine questa storia tramite un originalissimo museo, collocato in area popolare e periferica, continua a rappresentare una scommessa a più livelli vinta su tutta la linea perche è altissimo il numero annuo dei visitatori, più bassa della media l’età degli stessi e spesso internazionale la provenienza. Ricordiamo dunque che il Museo della Memoria di Ustica vede la sua peculiarità nell’essere costituito da una unica opera d’arte davvero unica nel suo genere. Quel famoso relitto dell’aereo Itavia con 81 passeggeri a bordo mai giunti alla destinazione palermitana, abitato di voci ed oggetti, ex voto di un lascito storico tragico, possesso per sempre della coscienza collettiva nazionale. Una ambientazione cavernosa, spettrale che richiama gli abissi marini nei quali la Storia si inabissò allora e continua ad ina bissarsi adesso. Una installazione quasi profetica ad opera del compianto Boltanski, il cui senso veggente viene ripreso nelle illustra<ioni di Mauro Biani alla brochure di quest’anno: a loro volta un autentico dono d’artista in cui mare e cielo si fondono appunto con leggerezza e amarezza malinconica, come rimarca Bonfietti. Ma anche l’associazione Forever a sorpresa in sede di conferenza stampa presenta stickers e figurine della memoria dedicate a questa strage. L’immaginario resistente, dunque, vola alto e anche il programma stesso della rassegna che apre tradizionalmente con cerimonie pubbliche il 27 di giugno e si estende fino al 10 agosto in quel del cosiddetto parco della Zucca in via di Saliceto. Quest’anno ci sarà una cena organizzata dalle cucine popolari, ad inaugurare lo spazio, pensata per far incontrare la cittadinanza e l’associazione. Ogni sera, peraltro, si potrà mangiare qualcosa in attesa degli spettacoli previsti, ad opera delle Cucine stesse. E mai ambientazione ci sembro più perfetta, dato l’essere incastonati in una parte della storia della mobilità bolognese e stretti tra la sede del Quartiere Navile e la casa di Quartiere centro Montanari. Ci sarà anche un omaggio ad un giornalista scomodo, amico di tutte le verità apparentemente insondabili del nostro paese, ovvero il muretto di Andrea, dedicato ad Andrea Purgatori. Teatro, musica, danza, poesia, performance artistica. Tutto sarà una sorta di concept esteso ed organico.
A cominciare da questo Ustica, una cosa che non fa ridere, monologo di e con Niccolò Fettarappa, giovanissimo talento romano di scuola in qualche modo kepleriana, che cerca di raccontare a modo suo, con levità e incisività il matching distopico tra grande storia collettiva e piccole storie individuali.
Segnaliamo qui velocemente il 14 di luglio come data della scomparsa di Boltanski, e quindi momento celebrativo affidato al live painting di Stefano Ricci con l’accompagnamento del sassofonista Dan Kinzelman. Altrettanto significativo lo spettacolo Gli Anni, di Marco d’Agostin, interpretato dalla danzatrice Marta Ciappinsa. La notte del 10 di agosto, sarà affidata all’attore Edoardo Purgatori, figlio appunto di Andrea, che selezionerà diverse poesie sul tema della memoria e dell’assenza, accompagnate musicalmente da Stefan Larsen. Sementerie, in quel della campagna di Crevalcore, meraviglioso spazio agricolo residenziale inventatosi, come associazione culturale e rifugio teatrale all’indomani del terremoto 2015 inaugura la sua particolare stagione estiva il 4 di luglio per proseguire fino ad agosto, sempre con l’ordine di idee di essere una residenza alternativa e di comunità, che sa coniugare per vocazione accoglienza, sperimentazione e repertorio, riproponendo quel grande successo partecipativo che è stato Sogno di una notte di mezza estate nell’ambientazione itinerante degli spazi incantati del Casale. Così come del resto Lisistrata, lavoro topico come tanti altri dalla classicità se vogliamo dire qualcosa sulla eterna ricorrente stupidita del ricorso alla guerra. Naturalmente ci attendiamo ulteriori programmazioni da Teatri di vita che ha sempre cercato di offrire un sicuro approdo teatrale anche nel difficile mese di agosto. Sono molto importanti tutte le programmazioni estive estese di quest’anno cosi come tutte le arene cinematografiche e le programmazioni che coinvolgono le periferie, vedi il caso del centro civico Gorki a Corticella, dove il Collettivo Amalia tra il due e il nove di luglio dopo un assaggio in giugno, promuove spettacoli-talks a carattere sociale su tematiche più che scottanti nella suggestiva location urban di piazzetta Maccaferri: dobbiamo considerare infatti di essere orfani delle programmazioni sperimentate in piazza s Francesco e dei relativi progetti On Metro dedicati all’adolescenza.
Affidiamo la chiusa ad una veloce carrellata in gran parte italiana sull’ultimo Biografilm. Una programmazione importantissima se consideriamo il valore aggiunto produttivo- distributivo e le sue propaggini durante l’anno grazie al top doc del cinema arlecchino e alle uscite interessanti che solo i wonder pictures potrebbe garantire in un momento avaro come quello rappresentato dal mese di luglio. Ci stiamo riferendo a questo spassoso 100 litri di birra del decentrato geograficamente ma centratissimo tematicamente, super talento finlandese Temu Nikki. Il film uscirà nelle sale il 17 di luglio e vi consiglio, ovviamente caldamente, di non farvelo scappare. Raggiunto nei giorni del festival nell’accuratissima sala stampa garantita ogni giorno dall’impareggiabile staff, Temu mi conferma che il suo motto è sempre stato quello di pensare locale per agire con impatto globale e infatti le sue piccole storie di marginali, balordi e svitati di provincia nella provincia d’Europa colgono in realtà tematiche alte come quella delle dipendenze, dello stigma sociale e così via. Anche in questo caso, come fu per il delizioso La morte è un problema dei vivi, Temu affronta la realtà attraverso gli occhi di un doppio che reinterpreta in maniera distopica lo stilema della coppia buddy buddy. I suoi film al netto di un sense of humour che scartavetra, sono poetici e densi di empito etico: assolutamente consigliata la visione ad un pubblico giovane e disorientato come quello nostrano. Ma come dicevo i film italiani in concorso hanno riservato molte sorprese. In sala stampa, di nuovo, vengo catturata e rapita da questa storia di teatro antropologico che è il film sull’attrice grotowskiana di origine polacca Ewa, che esule per anni in Italia sceglie di tornare come per un suo lascito testamentario al paese originario, ricomponendo i tasselli di una lunga vita deraciné, molto declinata verso l’oriente prima ancora che rispetto al bacino del Mediterraneo, attraverso la continuità di pratiche alternate di laboratori esperienziali internazionali e meditazione in isolamento. I giovani registi sardi autori del docu non per caso hanno dovuto sottostare alla lunga disciplina, infatti, di una sorta di corso teatrale per poter raccontare questa affascinante storia di vita che inscrive in sé un pezzo di storia novecentesca pur proiettandosi nel futuro. Altrettanto interessanti i due risultati molto molto local tra i riconoscimenti assegnati e mi sto riferendo evidentemente al Pilastro, docu-focus su una emblematica periferia bolognese che in sala accende sentitissimo dibattito sulle sorti rigenerative e urbanistiche di una intera città, la nostra, oggi sotto scacco dell’overtourism, della gentrificazione, dello spaccio e del cosiddetto degrado in alcune aree sensibili. Ci ritorneremo su questo tema anche perché per gran parte del filmato che si avvale di una ottima fotografia, i mentori principali della narrazione storica sono proprio la compagnia Laminarie, che ben conosciamo e diciamo gran parte di una comunità attiva che intorno ad essa ruota. Tutto bolognese anche uno dei premi più delicati e importanti quale quello assegnato dalla giuria del carcere minorile che sceglie le Tre sorelle di Enrico Baraldi una delle anime storiche di Kepler 452, un film intimo, commovente, internazionalista nell’affondo di visione,, giovanile in quanto ritratto di una condizione precaria che tutti i ragazzi oggi si vivono, coerente eppure diversissimo e personale nella cifra di stile emotivo, con quanto di politico e sociale i nostri portano avanti ormai da un discreto numero di anni, che peraltro verranno festeggiati a dovere in novembre. il film con tratti acquerellati segue le vicende delle belle e brave attrici ucraine effettivamente sorelle tra loro e interpreti qui a teatro di quelle Non Sorelle molto liberamente ispirate a Cechov che vedemmo nella scorsa stagione sempre per la cura e regia di Baraldi.
Che dire ancora? La scena bolognese pur tra mille difficoltà tiene botta e si attrezza a coniugare e relazionare problemi e intersezionalità con i destini complessi di una fase storica di transizioni epocali che più travagliata non si potrebbe immaginare e che credo, abbisognerebbe di una governance pubblica economica in campo culturale più sostanziosa e meno clientelare, per essere soft nel giudizio. Noi attendiamo sempre con fiducia come nei casi qui raccontati di essere smentiti nel pessimismo e sorpresi dalle profondità di sguardo. In un mondo di fake, di troll, di post verità, solo l’autenticità seppure parziale per forza di cose, di certe narrazioni esemplari ci concilia almeno con un senso di realtà e attendibilità e in questo senso dovremmo appunto supportare i nostri artisti, docenti di veggenza applicata.