Un nuovo protagonismo sociale nella Bolognina antifascista

di Zic /
16 Giugno 2025 /

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Da un po’ di tempo in Bolognina si sta verificando qualcosa che in città non si era mai visto. Abbiamo assistito a un tentativo coraggioso di affrontare problematiche difficili legate alla vulnerabilità e alla marginalizzazione di soggetti sociali fragili (questioni amplificate dal crescente disagio connesso allo spaccio di sostanze psicotrope impattanti come il crack) al di fuori di retoriche securitarie e repressive.

Realtà diverse, da tempo radicate in quartiere, hanno lavorato assiduamente per fare emergere un discorso di comunità. E’ stato un contrasto quasi quotidiano alle spinte razziste e antimigranti provenienti dall’esterno da parte di gruppi fascisti o pseudo tali.

Se la Bolognina non è finita nei fatti come altre sei periferie urbane sul territorio nazionale – Scampia (Napoli), Rozzano (Milano), San Ferdinando (Reggio Calabria), San Cristoforo (Catania), Orta Nova (Foggia), Borgo Nuovo (Palermo) – nel cosiddetto “modello Caivano” è perché in tanti e tante all’uso di poliziotti e carabinieri, alla militarizzazione del territorio, all’affievolirsi di politiche pubbliche nei confronti di persone marginalizzate hanno cercato di costruire una strada alternativa all’abbandono, al degrado e al contrasto ai frequenti episodi di microcriminalità.

L’idea di sicurezza proposta dai decreti Cutro e Caivano e dall’ultimo decreto omnicomprensivo Salvini-Meloni è quella di quartieri da “ripulire” con azioni di polizia e sgomberi di occupazioni abitative e spazi di socialità, puntando tutto sulla militarizzazione delle periferie e non sulla sicurezza sociale, economica e ambientale di questi rioni.

E’ la logica delle cosiddette “zone rosse”, con provvedimenti già adottati in città e che hanno coinvolto la Bolognina nella fetta di territorio alle spalle della stazione, tra via de’ Carracci, via Fioravanti, via Matteotti, via Ferrarese, via Bolognesi, via dell’Arca e le corti degli immobili Acer.

Ma, per fortuna, in questa zona di Bologna non hanno proliferato o hanno avuto poco spazio comitati di cittadini per l’ordine pubblico. I risultati che le forze dell’ordine hanno ottenuto utilizzando le nuove normative securitarie del Governo non sono stati granché: hanno allontanato persone già denunciate per reati di spaccio, o per danneggiamento o per reati contro la persona, hanno spostato da altre parti soggetti portatori di comportamenti “aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti”, ma tutti i problemi legati a situazioni di disagio sociale e povertà sono rimasti.

Il lavoro serio, quello che alla lunga produrrà effetti, l’hanno fatto comitati, associazioni, spazi sociali, forme di aggregazione spontanee, gruppi sportivi che hanno portato avanti le loro attività in quartiere, senza bisogno di un riconoscimento istituzionale.

Parliamo di realtà come Plat, la Piattaforma di intervento sociale, che ha sede a Corte 3 in via Nicolò dall’Arca, e che porta avanti una nuova forma di sindacalismo metropolitano che ha dato vita a uno sportello antisfratto (organizzando picchetti contro l’espulsione di inquilini in difficoltà), a uno sportello migranti con attività di supporto legale, a un Caf , ad attività di appoggio alle lotte dei lavoratori della logistica e che, durante l’alluvione, ha coordinato gli interventi di aiuto di centinaia di ragazze e ragazzi volontari. Plat è stata promotrice anche dell’occupazione di un edificio pubblico, situato dietro la stazione, abbandonato e inutilizzato da anni, in cui ora abitano più di 100 persone in un condominio autogestito che prende il nome di Casa Carracci, dove, oltre alle attività di autorecupero dell’immobile, si è dato vita a percorso collettivo di solidarietà abitativa.

Nell’orbita di Plat, in via di Corticella, si è ritagliata uno spazio importante anche l’Ex Centrale, la vecchia fabbrica del latte, dismessa e fatiscente, recuperata dal Laboratorio Crash per trasformarla in un progetto ambizioso di “hub delle periferie”.

Una nuova forma di aggregazione è rappresentata anche dalla Casa del Mondo, 60 vivacissimi metri quadri in via di Vincenzo, riempiti da una rete che, all’inizio, si è formata attorno all’associazione di donne delle Costa d’Avorio Adjebadia, che ha organizzato corsi di lingua, attività di doposcuola, laboratori e iniziative culturali improntate all’antirazzismo, all’antisessismo e al contrasto ad ogni tipo di discriminazione. L’associazione è stata recentemente protagonista di una lotta vincente contro lo sgombero della sede da parte dell’Acer (proprietaria dei muri). Finalmente, dopo anni, è stato riconosciuto il valore sociale dei tanti interventi compiuti dalla Casa del Mondo tra i ragazzi, i giovani e le donne di origine migrante abitanti in Bolognina.

Poi ci sono i genitori, le/gli insegnanti e tutta la comunità scolastica dell’Istituto Comprensivo 5 che, dopo i gravi atti vandalici che hanno colpito le scuole Testoni-Fioravanti, Grosso e Federzoni, hanno organizzato assemblee, pranzi e cene autogestite e una manifestazione davanti al palazzo comunale per ribadire che la scuola è un bene comune e un presidio fondamentale di cultura e inclusione. E’ importante quello che hanno scritto in un loro appello: “L’attacco subito non riguarda solo gli edifici scolastici. E’ un segnale d’allarme per tutto il quartiere. In un territorio segnato da crescenti fragilità economiche, sociali e culturali, la scuola rappresenta spesso l’unico punto fermo di cura, ascolto e cittadinanza attiva. Insegnanti, studenti, famiglie e personale chiedono che questa crisi diventi un’occasione per un reale cambiamento”.

In questo contesto molto attivo, spicca la vivacità di una sezione territoriale dell’Anpi che, oltre ad organizzare percorsi di memoria partigiana ed eventi per trasmettere i valori della Resistenza, è presente a tutti gli appuntamenti dell’antifascismo dei nostri tempi.

C’è pure la “fine del mese… fine del mondo”, la giustizia climatica coniugata alla giustizia sociale di Bologna for Climate Justice, il collettivo ambientalista che sta portando avanti una battaglia per un uso collettivo di quello che fra un po’ sarà l’ex Ippodromo Arcoveggio.

In quartiere un ruolo fondamentale l’ha giocato anche lo sport popolare, dagli stanzoni di Bolognina boxe, nei ring innalzati nelle corti delle case popolari dell’Acer, ha cominciato a tirare i primi pugni Pamela Malvina, nata in Camerun, arrivata in Italia all’età di otto anni, infermiera al Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore, diventata campionessa europea, senza dimenticarsi mai dei suoi vecchi compagni di strada.

Tutte queste attività si sono incontrate di recente nelle assemblee al Fondo Comini, un Centro sociale di quartiere (evoluzione del vecchio Centro sociale anziani), casa di diverse associazioni come Bolognina Collettiva, Fortitudo per il sociale, Civibo. Soprattutto con la bella stagione il parco dove è collocato il centro diventa il luogo per tanti appuntamenti culturali, politici e sportivi per gli abitanti del quartiere e non solo.

Contro le retoriche securitarie e repressive

Il via a un percorso collettivo tra le varie realtà di quartiere è stato dato lo scorso 16 marzo con l’assemblea “Bolognina come stai?”, chiamata dalla Casa del Mondo. Si trattava di fare uscire questa zona della città dal clima di campagna elettorale permanente sulle tematiche della sicurezza e di iniziare a parlare dei problemi veri della comunità, quelli a cui la politica ufficiale solitamente è indifferente. Si sentiva il bisogno di parlare delle difficoltà nella vita quotidiana di tante inquiline e inquilini delle case Acer. E pure di coloro che devono fare i conti con i costi inaccessibili del mercato dell’affitto, o di quelli/e che una casa non ce l’hanno e sono costretti/e a dormire per strada. Oppure di chi fa fatica a trovare i soldi per vivere dovendo fare i conti con una città che, a causa della sua trasformazione turistica, sta sempre di più diventando una città per ricchi. Si trattava di parlare dei servizi pubblici inadeguati, del welfare municipale tagliato e degli effetti che queste carenze producono.

L’invito a questa prima assemblea pubblica era rivolto “a tutte le persone e alle realtà che hanno sempre resa viva la Bolognina e che costituiscono i soli anticorpi contro l’avanzata di chi vorrebbe vederti soffocare”.

Quella assemblea è stata il primo momento di confronto e ragionamento sui problemi del quartiere, dove forme di aggregazione diverse si sono incontrate con l’impegno di “prendersi cura” del proprio territorio, per farlo diventare uno spazio “più sicuro per tutte/i”.

A questo primo appuntamento di discussione e socialità è poi seguito, il 30 marzo, un incontro con un gruppo di attiviste e abitanti del Quarticciolo, un quartiere popolare della periferia est di Roma, che da anni affronta gravi problematiche di disagio sociale amplificate dallo spaccio di sostanze psicotrope, con una vera e propria invasione di crack. Negli ultimi mesi il Quarticciolo è stato al centro del dibattito politico nazionale in quanto era una delle sei zone interessate all’applicazione del decreto Caivano che ha comportato un aumento della presenza di polizia e l’adozione di misure repressive sul territorio. Dalla Bolognina è stato lanciato un appello di solidarietà e l’appoggio incondizionato a una realtà di quartiere che si è organizzata per rispondere ai bisogni dei cittadini dando vita, in una logica di mutuo aiuto, a progetti come l’ambulatorio e il doposcuola popolare, creando spazi di socialità e per lo sport, rivendicando diritti.

Il “modello Quarticciolo” è un laboratorio dal basso teso a costruire nuove politiche pubbliche e nuove forme organizzazione e di rivendicazione di bisogni sociali. Il governo Meloni lo vuole far saltare proponendo un’idea di sicurezza che punta tutto sulla militarizzazione delle periferie.

Da quel momento di confronto sono nati vari spunti di inchiesta sul territorio e sono state organizzate diverse attività tra piazza dell’Unità, il Mercato Albani e Caracci Casa Comune. E’ da quel fermento di iniziative che si è buttato il cuore oltre l’ostacolo e si è prima pensata, poi organizzata, una grande giornata di strada per il 25 aprile. Cinquantasette realtà di quartiere, tra reti e sottoreti, tra le quali Carracci Casa Comune, Plat, Ex Centrale, la Casa di Quartiere Fondo Comini, la Libreria Sette Volpi, Bolognina Boxe o La Casa del Mondo, hanno deciso di “sdoppiare” la festa del 25 aprile: nessuna concorrenza con la tradizionale festa di Pratello R’Esiste, ma la voglia di lasciare un segno importante di tutta la Bolognina antifascista. Il risvolto sulla giornata del 25 aprile è stato straordinario: le migliaia di persone che hanno attraversato le strade del quartiere hanno dato ragione ha chi ha voluto riattualizzare la resistenza, chiedendosi cosa vuol dire essere partigiani oggi. Nei dibattiti, nelle iniziative e nei banchetti informativi sono circolate le domande sui bisogni primari nel quartiere, sulle forme di resistenza da mettere in campo, con l’auspicio che il successo di quella festa possa fungere da ispirazione per collettivi, comitati, organizzazioni e reti che esistono anche in altri quartieri per costruire altri momenti di questo tipo.

L’assemblea del 15 maggio al Fondo Comini

Ancora inebriati dalla festa della Liberazione, si è abbattuto su tutto il quartiere l’episodio di devastazione dello spazio dell’ex Centrale. Nessuna voglia di lamentarsi e leccarsi le ferite, la vicenda, di per sé piuttosto traumatizzante, è stata affrontata con tutt’altro spirito: “Da mesi, vivere in Bolognina significa trovarsi nel pieno di una vera e propria epidemia di crack, a cui l’unica risposta messa in campo finora sono stati polizia, taser, retate. Una ruota del criceto da cui sembra impossibile scendere, che gira sempre nella stessa direzione, portandoci a un peggioramento continuo. Ora è il momento di cambiare direzione. Di invocare un’alternativa con forza e, allo stesso tempo, iniziare a praticarla insieme”.

Queste sono le parole determinate con cui è stata rilanciata una grande assemblea al parco del Fondo Comini per il 15 maggio. Nella convocazione sono state poste una serie di domande: “Di quali servizi ha bisogno il quartiere? Come possiamo creare spazi vivi che restituiscano senso, socialità, comunità? Come pretendiamo i fondi per riqualificare le corti popolari, oggi ridotte a parcheggi acquitrinosi? Quali zone possono diventare alberate, pedonali, aree gioco o luoghi di incontro? Quali sono gli spazi vuoti che potrebbero trasformarsi in laboratori di nuove attività nate dal quartiere stesso? Come vanno utilizzati i fondi del piano integrato alla sicurezza?”.

L’assemblea ha visto una partecipazione straordinaria, diverse centinaia di persone, di tutte le età (tantissimi comunque i giovani), sono andate lì con la voglia e la concretezza di fare qualcosa, subito, a tutela della vivibilità del proprio territorio.

Guardandosi intorno in questa assemblea, a livello di composizione sociale, si sono incontrate tante soggettività: lavoratrici e lavoratori dei nuovi settori produttivi in cui si sta delineando la città, precari e precarie, lavoratori cognitivi e manovali, giovani attivisti e militanti stagionati, persone senza casa e persone in grave difficoltà per i costi degli affitti, studentesse e studenti delle superiori e dell’università, pensionati/e, artigiani e gestori di piccoli locali, associazioni culturali e di volontariato solidale, gruppi di base e di intervento sociale, comitati antisfratto, organizzazioni di migranti, doposcuola autogestiti. Progetti di economia sociale, gruppi di tutela ambientale, scuole di italiano per migranti, mercatini contadini, gruppi di raccolta alimenti da distribuire a chi è in difficoltà.

Uomini e donne, ragazze e ragazzi che nel loro operare quotidiano (spesso silenzioso) stanno producendo dei cambiamenti culturali significativi, difficili da comprendere dal sistema politico ufficiale, in cui il concetto di delega come è stato fin’ora concepito viene messo concretamente in discussione con una grande sfida: convertire forme di assistenzialismo in percorsi di partecipazione, trasformare le difficoltà delle condizione materiali della vita in forme di resistenza attiva, con l’azione collettiva e l’autogestione.

Nei tanti interventi che si sono succeduti l’assemblea si è delineata come una vera e propria lista di idee, aperta a molteplici opinioni, senza una chiusura precostituita. Si è avuta la sensazione che non esistesse una sola verità certificata e centralizzata nelle mani di poche persone, bensì tanti punti di vista legati alle diverse componenti presenti. La forza di questa chiamata al Fondo Comini è stata nell’incontro tra soggetti che avevano già intrapreso un loro percorso (spezzoni di proteste precedenti) e soggetti che si affacciavano per la prima volta, facilitando l’emergere di nuove socialità.

Un percorso fuori dal sistema politico tradizionale, sia quello istituzionale ma anche quello extra-istituzionale, caratterizzato da forme organizzative “deboli”, che un po’ sfidano i tradizionali metodi di intervento politico. Le persone che hanno partecipato si sono trovate in un contesto diverso, certamente uno spazio politico dove si sono alternati momenti di alta passione e alcuni sentimenti di scoramento, un intreccio di sensazioni dove la necessità di immediatezza era piuttosto forte, dove la durata di questo bellissimo momento e la sua visibilità pubblica dipenderanno dalle modalità con cui, nel tempo, si “garantirà” la partecipazione (vista così poche altre volte) e dall’aprire la strada a dispositivi che favoriscano nuove composizioni di resistenza e forme originali di scambio e organizzazione politica.

Come si sperimenterà l’uguaglianza senza sottostare a un ordine gerarchico e come si farà emergere un “noi” nell’assumere le decisioni e condividere le azioni, saranno altri due interrogativi a cui occorrerà rispondere per svincolarsi dalla fotografia di una identità passata.

Le storiche “asambleas barriales”

Guardando con attenzione alla situazione e al fermento sociale che si sono sprigionati in Bolognina non è azzardato sfogliare le pagine di storia di un passato recente e buttare un occhio sulle varie esperienze di assemblee popolari, del ruolo chiave che giocarono, in vari paesi, all’inizio di questo secolo e come, in molteplici occasioni, abbiano costituito un lievito essenziale allo sviluppo delle lotte.

Certo, la nascita di queste assemblee spesso fu una conseguenza della esasperazione pubblica nei confronti della condotta inaffidabile della classe politica, ma sicuramente rappresentarono, come in Argentina nel 2001, una straordinaria forma di sperimentazione sociale e politica, con le sue incredibili ricomposizioni fra disoccupati organizzati ed elementi della classe media impoveriti dal Fondo monetario internazionale. Grazie alle “asambleas barriales” i piqueteros argentini inventarono straordinarie forme di protesta e di organizzazione dal basso, escogitarono mezzi di scambio monetari e gestione dei servizi sociali e nuove reti di comunicazione. Si calcola che nella sola Buenos Aires fossero coinvolte tra gennaio e febbraio 2002 almeno 10.000 persone. Le assemblee popolari iniziarono a riunirsi settimanalmente in ogni quartiere di Buenos Aires e si estesero poi anche alle altre provincie argentine.

L’Assemblea Popolare ha avuto un forte ascendente e potere evocativo anche tra le masse della Bolivia. Ne sono state prova nel 2003 le lotte che, a partire dalla cosiddetta “guerra dell’acqua” di Cochabamba, proseguirono con la “guerra del gas” fino al suo epilogo a maggio-giugno del 2005. Ad Oruro, Potosì, La Paz si formano comitati di operai e minatori, studenti e insegnanti che cominciano ad affrontare aspetti della vita cittadina. E i contadini si mobilitarono in quanto indios che rivendicavano la loro emancipazione.

Qualcosa di simile alla situazione boliviana avvenne anche con l’Assemblea popolare dei popoli di Oaxaca (Appo), in Messico nel 2006.

Arrivando a tempi più recenti e luoghi più vicini, il movimento degli “indignados” in Spagna individuò nelle “asambleas de barrio” una delle principali forme organizzative. Dal movimento antisfratti a quello in difesa della sanità pubblica, passando per la resistenza del quartiere di Gamonal a Burgos contro i piani di speculazione del comune, i protagonisti delle mobilitazioni si riunirono in assemblee popolari o di quartiere per decidere le iniziative e i calendari delle lotte.

Particolare fu l’esperienza di Ada Colau a Barcellona, eletta a sindaco della capitale catalana proprio sulla spinta delle mobilitazioni di massa in quella città e delle assemblee popolari legate al movimento contro gli sfratti, di cui Ada era portavoce.

Tutti questi esempi che abbiamo portato ci confortano nel ritenere questi mesi di assemblee, mobilitazioni e lotte a cui abbiamo assistito in Bolognina come qualcosa da sostenere con tutte le nostre forze. A partire dall’assemblea del 15 maggio, appuntamenti di questo tipo (significativo è stato un altro incontro, sempre al Fondo Comini, il 24 maggio con Aleida Guevara e Samar Jabr sulla “resistenza come cura”) potranno diventare un vero e proprio termometro che misura la passione, la tensione, la partecipazione delle forme di lotta che si vorrebbero mettere in piedi, tentando di fare emergere le loro reali possibilità nell’ottenere risultati.

Insomma, siamo potenzialmente davanti a una nuova forma di protagonismo sociale che cancella una immagine ferma e immobile, e ne crea altre, in continuo movimento, come nelle svariate sequenze di un film… un bel film.

Questo articolo è stato pubblicato su Zic il 4 giugno 2025

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