La trinità di Francesco

di Salvatore Cannavò /
23 Aprile 2025 /

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Pace, poveri e ambiente sono le tre direttrici del papato di Bergoglio. Chiamato dopo lo scandalo Vatileaks a «ripulire» la Chiesa ha lavorato per darle una veste missionaria. I suoi soggetti di riferimento sono stati gli ultimi a cominciare dai migranti: anche per questo è stato amato a sinistra.

Papa Francesco è destinato a entrare nella storia della Chiesa. Un pontificato, il suo, non banale, non di transizione e nemmeno di semplice «rimessa a posto» della casa-Chiesa, devastata dallo scandalo Vatileaks, come sembrava al momento della sua elezione. Non si può usare per lui il termine «progressista» come farebbe un «entomologo», nemmeno banalmente quello di riformatore, visto che riforme incisive non ce ne sono state molte. Ma Francesco ha tracciato un solco nella Chiesa in piena coerenza con il nome che si è scelto. Ha messo al primo posto la difesa della pace, l’evangelizzazione, e quindi una Chiesa per i poveri, e la Terra, l’ambiente: è stato il Papa più ecologista, anche radicale, che la Chiesa abbia avuto. Paradossalmente è il Papa che ha avuto un’influenza e un fascino su gran parte della sinistra internazionale che, in un tempo di avanzata delle destre reazionarie e rigurgiti fascisti, ha visto nel suo messaggio sugli ultimi, sugli «scartati» e in particolare sulla difesa dei migranti un argine alla barbarie.

Pace, povertà e terra sono le tre identità che tracciano il profilo di un papato svolto all’insegna del ritorno ai fondamentali, alla natura evangelica, missionaria, della Chiesa che gli scandali avevano indubbiamente occultato. Ma anche quegli scandali sono stati il gancio per un’azione di revisione istituzionale, organizzativa, con la riforma della Curia, la riorganizzazione delle finanze e addirittura un primo posto di rilievo alle donne dentro la struttura vaticana.

Il testamento sulla guerra

All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, Bergoglio sceglie di andare a trovare l’ambasciatore russo presso la Santa sede, Alexander Avdeev. È un «gesto unico» nella storia della diplomazia, il papa che si reca presso l’ambasciatore di un altro paese, ma è il modo in cui Francesco vuole far sapere al mondo intero che il Vaticano parla con entrambi i fronti e anche per questo nomina il cardinal Zuppi come mediatore tra Russia e Ucraina. Viene deriso, e accusato di collusione con il nemico, ma non molla mai nemmeno per un minuto questa strada. Del resto, è stato colui che ha coniato la definizione di  «terza guerra mondiale a pezzi», o che ha definito, in modo suggestivo ma politicamente fondato, la Nato come l’alleanza militare «che abbaia ai confini di Mosca». Ma è stato anche accusato di colludere con Hamas o con l’antisemitismo quando ha ventilato l’ipotesi che a Gaza fosse in atto un «genocidio» senza smettere mai di chiedere la fine dei massacri. 

Il suo lascito spirituale è così tutto in quelle ultime frasi pronunciate il giorno di Pasqua sul balcone della basilica di San Pietro: «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo». «Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria». «Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura».

Il Vangelo per i poveri

La pace è sempre stata nel cuore dei papi, basti pensare all’opposizione di Karol Wojtila alla guerra in Iraq. Ma in Bergoglio è fortemente connessa alla questione della povertà, della cura del pianeta, all’evangelizzazione.

Francesco viene eletto perché la Chiesa è in crisi, lo scandalo Vatileaks, la fuoriuscita di documenti riservati a opera di un gendarme è solo l’ultima goccia che si aggiunge a una progressiva perdita delle vocazioni, a una crisi di legittimità, a una distanza dalle complessità della realtà attuale. La rinuncia di Ratzinger è il colpo micidiale a una credibilità complessiva.

E Francesco, già nell’adottare il  proprio nome, sceglie il Vangelo – «Ricordati dei poveri» gli disse l’amico cardinale Hummes subito dopo l’elezione  come strumento per parlare a tutti, per aprire la Chiesa, svecchiarla e cercare di renderla più umile. Jean Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo, lo definisce infatti «il Papa del Vangelo», definizione calzante sin dalla prima esortazione apostolica. Evangelii gaudium: L’evangelizzazione obbedisce al mandato missionario di Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» immaginando così una Chiesa «di uscita»: «Tutti siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria». Da qui la sua famosa espressione che i pastori devono sentire «l’odore delle pecore» e quindi una Chiesa accanto ai poveri, agli ultimi, agli «scartati» come avrà modo di dire innumerevoli volte. Due soggetti accompagneranno costantemente i messaggio religioso di Francesco, i migranti e i detenuti. Il primo viaggio a Lampedusa, nell’estate successiva alla sua elezione, e il rito ricorrente del lavaggio dei piedi nel Giovedì Santo sono lì a ricordarlo. Il contrario di una Chiesa chiusa in sé stessa, dedita alle manovre interne che pure aveva riguardato gli anni precedenti la sua elezione e racchiuse in quella scatola che Julian Herranz, l’autore di Due Papi, profondo conoscitore del Vaticano e membro della commissione disposta da Ratzinger per fare luce su Vaticanleaks, aveva consegnato a Benedetto XVI e questi a Francesco.

La centralità dell’evangelizzazione porta con sé l’attenzione alle disuguaglianze economiche: nella Evangelii Gaudium si dice espressamente nel secondo capitolo «no a un’economia dell’esclusione», «No all’idolatria del dio denaro» e gli è valsa l’ostilità di ambienti conservatori, economici, politici ed ecclesiastici, che lo hanno bollato come «papa peronista», «comunista» o ancora più spregiativamente «populista». 

Il papa populista

Quest’ultima definizione va compresa più attentamente perché, in fondo, Bergoglio, è stato anche un papa populista se con questa espressione intendiamo la sintonia con lo spirito del tempo e con gli umori popolari. Un Papa che ha capito chiaramente che i gesti simbolici sarebbero stati importanti per avvicinare fedeli alla Chiesa. E così la scelta di non alloggiare nell’Appartamento ma a Santa Marta, la 500 invece della Mercedes, la disponibilità all’incontro, anche al contatto fisico (con l’eccezione della mano della fedele cinese schiaffeggiata con uno scatto d’ira). Ma questa cura per le cose semplici – andarsi a comprare gli occhiali da solo, portarsi la borsa, pagarsi l’albergo dopo il Conclave del 2013 – erano finalizzati a inviare al Vaticano il messaggio della cura dimagrante, della pulizia interna. E così, la riorganizzazione dell’economia interna al Vaticano ha occupato moltissime energie perché, come dimostra il processo Becciu e lo scandalo del palazzo a Londra – acquistato con i fondi della Segreteria di Stato, ma con alcuni rivoli di denaro che hanno preso strade non consone – anche il suo papato è stato ancora coinvolto in scandali giudiziari. E così sono state cambiate le norme sugli appalti, rendendole più stringenti, è stata riorganizzata la complessa struttura economica accentrandola nella Segreteria per l’Economia affidata a un laico, Maximino Caballero Ledo, mentre nomina come presidente del Tribunale vaticano il magistrato Giuseppe Pignatone, per dare un segnale di rigidità.

La Chiesa più aperta, missionaria, disponibile all’ascolto si traduce a nove anni della sua elezione nella nuova Costituzione vaticana del 2022, Predicate Evangelium che sarebbe servita, per citare ancora Francesco a curare le «malattie» della Curia definite, pittorescamente, «pietrificazione mentale e spirituale», «rivalità e vanagloria» e anche «Alzheimer spirituale» o «faccia funebre». Francesco vuole semplificare l’organizzazione e dare maggiore importanza all’«evangelizzazione» ma anche alla partecipazione del laicato con l’apertura degli incarichi anche a chi, diversamente dalla Pastor Bonus di GP II del 1988, non ha ricevuto gli ordini sacri. 

Il caso più vistoso è certamente quello del nuovo Prefetto del Dicastero alla Comunicazione, il giornalista Paolo Ruffini che, a conferma del valore simbolico della scelta papale, sarà oggetto di un attacco furibondo da parte dei settori più conservatori della Chiesa. Ma il laicato nelle cariche apicali della Chiesa è comunque oggetto di discussione interna, e non solo di attacchi sguaiati, con considerazioni critiche da parte di eminenti cardinali come Marc Ouellet e Walter Kasper e potrebbe essere una delle questioni rimesse in discussione nel futuro. Altrettanto dirompente è la nomina a capo del Dicastero per gli istituti di vita consacrata, di una donna, suor Simona Brambilla e un’altra donna, suor Raffaella Petrini sarà la potente presidente del Governatorato della Città del Vaticano. Nella nuova Costituzione vengono previsti la Segreteria di Stato e 16 dicasteri di uguale rango e, a riprova della sua importanza, quello dell’Evangelizzazione diretto personalmente dal Papa. Il vecchio Sant’Uffizio, poi Congregazione per la fede, viene rinominato, al pari degli altri, Dicastero per la Dottrina della Fede e affidato al suo cardinale forse più fedele, Manuel Fernandez e un’altra nomina importante è quella alla Elemosineria apostolica dove c’è Konrad Krajewsky (famoso per aver riallacciato la corrente elettrica al centro occupato Spin Time a Roma). La Costituzione era pronta nel 2020 ma per via del Covid è stata emanata nel 2022 e al suo interno ha un ruolo importante la riorganizzazione degli istituti economici con la costituzione del Consiglio per l’economia e la Segreteria per l’economia, strutture di vigilanza e coordinamento delle attività economiche della Santa Sede. 

Il papa ecologista

L’altro messaggio che è stato sempre a cuore a Francesco è quello ecologico racchiuso in particolare nella rivoluzionaria Laudato si. Chiamata a intervenire sul vertice per il Clima del 2015, racchiude la proposta di un’ecologia radicale per un mondo più giusto e sostenibile con toni che non sono poi così distanti da quelli che utilizzerà Greta Thunberg. Gran parte dell’ostilità della Chiesa statunitense è probabilmente il frutto dell’opposizione alle sue visioni ecologiste da parte dell’industria mineraria del carbone o delle compagnie petrolifere Usa che pure Francesco ha ricevuto in udienza nel 2018 e nel 2019 con i consiglieri delegati di imprese come Exxon Mobil, Chevron, Bp, Eni o Repsol. Il nome viene direttamente da Francesco d’Assisi: «Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità». E proprio in nome di Francesco può permettersi di definire i cambiamenti climatici «un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità». Torna la questione dei poveri, i più «colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento» e torna la questione della «sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza» che «si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente». 

Questa vocazione sociale ed evangelica  torna nell’enciclica Fratelli tutti scritta in applicazione del comandamento «Ama il prossimo tuo come te stesso» e in cui la fraternità è intesa come solidarietà contro le tensioni sociali, la rinascita di nazionalismi e xenofobia, la concezione sbagliata di «guerra giusta». È l’enciclica del Covid, l’evento di cui Francesco lascerà la propria immagine simbolicamente più forte, quell’omelia che lo vede solo in piazza S.Pietro ed è l’enciclica in cui definisce i Movimenti popolari, che ha aiutato a nascere e a coordinarsi globalmente – nella prima riunione a Roma, nel 2014, viene invitata anche la Rimaflow, l’impresa recuperata di Trezzano sul Naviglio – «Poeti sociali», «seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia». Sarà, sorprendentemente, a fianco della missione di salvataggio dei migranti in mare, Mediterranea Saving Humans, guidata dal no global Luca Casarini. In fondo è un’altra espressione del suo messaggio chiave: «La Chiesa accoglie tutti, tutti!». Lo ribadirà anche sulla questione omosessuali, quando dice «chi sono io per giudicare» e su cui si spingerà a proclamare la liceità della loro benedizione senza approvare l’unione, scatenando le reazioni conservatrici e in particolare delle chiese africane. Ma si fermerà lì. 

L’incompiuto e il futuro

Alla fine su questo versante resteranno le lacune maggiori perché nonostante le nomine di donne a cariche apicali non si procederà sul tema del sacerdozio femminile, e nemmeno sull’accoglienza alle coppie omosessuali o sull’allargamento della missione ecclesiale anche a laici non si faranno passi avanti. Il Papa si prodiga per la sua avversione, a volte ossessione, verso le teorie gender e ha sempre definito l’aborto «un omicidio». 

In generale sui temi della vita interna si registrerà un aspetto di Francesco spesso sottaciuto, la sua capacità di far prevalere il compromesso rispetto a ipotesi di rinnovamento che, ad esempio, si erano intraviste nel documento finale del Sinodo del 2023 e che nel Sinodo 2024 sono state molto affievolite. Così come questo papato non ha compiuto atti rivoluzionari sul tema decisivo degli abusi sui minori. La lettera apostolica Vos estis lux mundi sottolinea il dovere di denunciare, indagare e giudicare nel modo dovuto: e anche l’obbligo ai sacerdoti di denunciare gli abusi e di aprire a uffici diocesani per ricevere denunce anche contro cardinali, vescovi. Denunce e pulizie interne sono state fatte ma non nella misura necessaria.

Quello che verrà, per i cattolici è nelle mani dello Spirito santo, per chi analizza le cose della Chiesa è invece nelle mani della valutazione complessiva che faranno i 135 cardinali chiamati a votare nel prossimo Conclave che si riunirà tra il 5 e l’11 maggio. Si tratta di capire se la Chiesa e il suo «gruppo dirigente» vuole proseguire sulla scia di Francesco, magari preparando il papato di un Francesco II (o primo, visto che Bergoglio non aveva voluto il numerale) e quindi puntare sui nomi di Matteo Zuppi, del filippino Luis Antonio Tagle, dell’americano Robert Francis Prevost o del francese Jean-Marc Aveline (ma ce ne sono anche altri). Se invece vorrà moderare il messaggio senza rinnegare Francesco e allora il Segretario di Stato Piero Parolin è forse il più avvantaggiato, ma anche il Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Se invece si imboccasse la strada della conservazione, in sintonia con quel che accade nel mondo intero – la Chiesa è sensibile allo spirito dei tempi – potrebbe essere la volta di figure come l’ungherese Peter Erdo o addirittura un papa africano: i più gettonati, Robert Sarah dalla Guiana, conservatore o Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinhasa, più moderato.

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 22 aprile 2025

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