Quando si parla di sicurezza sul lavoro, o più precisamente di come assicurarla/accrescerla, non c’ è addetto ai lavori, sindacalista, politico, operatore dei media, che più prima che poi parli, richieda, auspichi la necessità da un lato di una “cultura della sicurezza” da elaborare, accrescere, insegnare, diffondere, nonché di quella di una formazione, dall’altro. Normalmente tali affermazioni non sono ulteriormente dettagliate, quasi che la semplice loro enunciazione sia sufficiente. Per cultura della sicurezza si possono in realtà intendere molte cose, e se ne parlerà in un prossimo articolo; qui parliamo invece della formazione.
Fra le tante definizioni di formazione con riferimento a prevenzione e sicurezza sul lavoro, più o meno simili e ugualmente efficaci, assumiamo la seguente: “processo educativo attraverso il quale trasferire alle lavoratrici ed ai lavoratori, nonché agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione, conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda, con identificazione, riduzione e ove possibile eliminazione dei rischi, attraverso comportamenti corretti”. La formazione nel nostro ordinamento è in una certa misura, diciamo minima, obbligatoria, e di questa ci si occuperà qui; nulla vieta ovviamente di farne di ulteriore.
Alla formazione segue lo specifico addestramento, sul quale si riporta integralmente quanto prevede il comma 5 dell’articolo 37 TU” L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro. L’addestramento consiste nella prova pratica, per l’uso corretto e in sicurezza di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale; l’addestramento consiste, inoltre, nell’esercitazione applicata, per le procedure di lavoro in sicurezza. Gli interventi di addestramento effettuati devono essere tracciati in apposito registro anche informatizzato”. Poiché è evidente che non è possibile parlarne (controllarlo, migliorarlo …) in linea generale, ma solo nelle concrete realtà lavorative, non dirò altro; mi limito a far osservare la mancanza di qualsiasi criterio per identificare la persona “esperta”.
La formazione obbligatoria trova la sua fonte primaria nell’articolo 37 del TU 81/2008, che riproduciamo integralmente QUI; come è noto, l’articolo è poi integrato da uno specifico Accordo Stato Regioni. Il primo Accordo risale al 2011, avrebbe dovuto essere rinnovato entro il 30 giugno 2022, ma quella che pareva essere la bozza definitiva la cui approvazione era prevista finalmente nel novembre 2024, non è stata approvata in ben due consecutive sedute della Conferenza Stato Regioni, ed è sparita dai radar.
La formazione è quindi primariamente un obbligo normativo da adempiere almeno nella misura minima di legge, onde evitare le relative sanzioni; e già troppo spesso il minimo di legge è a malapena rispettato, e soprattutto lo è solo formalmente. Come tutta la normativa in materia di sicurezza, la formazione finisce (ne riparleremo) per essere considerata un mero adempimento burocratico, da sbrigare con il minimo di tempo e costi, e non uno (efficace se ben fatto) strumento di gestione, della sicurezza come di qualsiasi altro ramo di attività.
Il sistema normativo pone molta attenzione al processo di formazione, con relative prescrizioni, registrazioni, standard, qualificazioni eccetera, e poca o nulla al prodotto, cioè all’efficacia della formazione stessa. Né si può dimenticare che la formazione è un lucroso business, ad alimentare il quale concorrono anche soluzioni semplicistiche quali, ad esempio, molti degli innumerevoli corsi a pagamento anche on line, che a detta di molti addetti ai lavori sono troppo spesso solo teorici, generici e non calati, come invece dovrebbero, nelle specifiche realtà produttive e relativi rischi.
Quale formazione, dunque, come, per chi? La formazione è un obbligo sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori; dovrebbe comprendere sia i concetti fondamentali (rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo e assistenza) sia rischi specifici correlati alle mansioni e le relative misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristiche del settore o comparto di appartenenza dell’azienda. Esistono poi specifici percorsi, ulteriori, per gli addetti all’emergenza, antincendio, all’evacuazione, primo soccorso, più o meno orizzontali, di cui pure non è possibile parlare qui. A seconda della posizione ricoperta nel SSP e del livello di rischio, crescono il numero di ore di formazione obbligatoria iniziali, nonché il loro contenuto, e si fanno più frequenti gli aggiornamenti automatici. Non starò qui ad illustrare il sistema nel suo complesso né a fare una impossibile sintesi del vigente Accordo; possiamo assumere che una volta che ogni soggetto da formare obbligatoriamente, ed in particolare i lavoratori, ha frequentato corsi tenuti da soggetti abilitati, in orario di lavoro e senza oneri propri, senza che si ecceda il numero massimo di discenti stabilito per il singolo corso; e poi abbia seguito nei tempi stabiliti il prescritto numero di lezioni (almeno il 90% delle previste), anche on line, partecipato alle eventuali esercitazioni, superato infine le prove di verifica dell’efficacia, ed ecco che vengono rilasciati i relativi attestati, che il lavoratore si porta dietro se cambia datore di lavoro. Gli obblighi sono adempiuti e si può tornare a lavorare. …. tutto bene, dunque? NO.
Limitandoci ai lavoratori, soggetti più numerosi su cui quali ci si concentrerà, se il processo ha funzionato la formazione è stata efficace, cioè le competenze sono state acquisite. Ma cosa rende efficace la formazione? E come misuriamo le effettive competenze acquisite? E’ possibile individuare tre fattori:
- Caratteristiche e struttura della formazione stessa, cioè contenuti, durate, periodicità, qualificazione di chi la eroga, eccetera, in breve tutto ciò che è anche puntigliosamente stabilito dall’art. 37 del TU 81/2008 e dall’Accordo Stato Regioni, e ammesso che tali previsioni siano state tutte rispettate
- Modalità di erogazione, sulle quali le indicazioni sono scarse (ad esempio, numero massimo di partecipanti – 35 o 100 se studenti -, possibile erogazione a distanza) o troppo generiche, si veda il comma 13 “Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo “
- Verifica dell’efficacia – La normativa qui è persino più parca di indicazioni cogenti; c’è voluta la legge 215/2021 per inserire nel comma 2 dell’art 37 la lettera b), che rimanda al nuovo Accordo Stato Regioni “l’individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa”; peccato che il nuovo Accordo, come si diceva, non ci sia ancora …..
Parliamo delle modalità di erogazione.
Le norme di sicurezza sul lavoro, specialmente in un periodo di continua e complessa evoluzione tecnologica, richiedono sempre più e di continuo leggere e comprendere, regolamenti, istruzioni scritte, come pure capire ciò che viene detto a voce durante le attività formative o durante il lavoro. Perché per quanto ne sia invalso l’uso, non c’è presentazione in Power Point (che spesso vengono peraltro solo lette …) o simili programmi che possa bastare; e la modalità didattica richiesta, di fatto, si basa essenzialmente solo sulla comune lezione frontale. Ma, come molti avranno magari sperimentato personalmente, è difficile mantenere attenzione e concentrazione per ore, specie se non si è abituati come può capitare a chi svolge attività manuali. Capacità di attenzione e concentrazione, dicono gli studi, tendono a diminuire quanto più si è sempre connessi a qualche dispositivo, con intervalli di attenzione minimi; e iperconnessi, oggi, lo siamo tutti. Vi è poi il rilevante problema del cosiddetto analfabetismo funzionale, o analfabetismo di ritorno. L’OCSE definisce analfabeta funzionale una persona che, pur avendo le abilità di lettura e scrittura basilari, non è in grado di comprendere e utilizzare in modo efficace le informazioni, scritte e/o orali, acquisite nella vita quotidiana e lavorativa (la comprensione viene a mancare per ragioni culturali, mancanza di esercizio e solo lettura, e simili). Quindi possono verificarsi:
- comprensione Inadeguata delle norme di sicurezza e delle istruzioni
- mancato raggiungimento degli obiettivi formativo/addestrativi.
- comunicazione insussistente
- difficoltà nella registrare e segnalare incidenti (che siano infortuni o near misses, cioè incidenti quasi infortuni solo casualmente senza conseguenze sulle persone)
- mancata comprensione delle procedure di sicurezza
- difficoltà nell’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nonché di quelli collettivi ove presenti
L’analfabetismo funzionale è ampiamente diffuso anche in Italia; l’OCSE stima una percentuale del 35% tra gli adulti (16-65 anni), altri studi riportano percentuali complessivamente leggermente inferiori, con marcate differenze in ogni caso nelle varie classi di età. A costoro vanno aggiunti i lavoratori stranieri, che possono mancare anche delle abilità di lettura e scrittura basilari, per non parlare della medesima espressione orale; intervengono poi per loro anche fattori culturali più complessi, come ad esempio il credere nell’esistenza di un destino individuale già scritto cui non c’è nulla da fare. In conclusione, quindi per una parte cospicua degli occupati in Italia una formazione non adeguata alla loro capacità di comprensione (specie per quelli “marginali”, cioè analfabeti funzionali/ di ritorno, o stranieri con scarse competenze linguistiche,) rischia di essere assolutamente inutile.
Come combattere e quantomeno mitigare il fenomeno? Il combatterne le cause è problema sociale dei più complessi; ed parimenti è complesso quello dell’alfabetizzazione e della integrazione culturale degli stranieri (tutti, non solo chi lavora ….. arrivano persone, non solo braccia, come dal famoso libro dello svizzero Max Frisch scritto negli anni ’70 circa gli immigrati italiani in Svizzera).
Limitandoci alla formazione sulla sicurezza sul lavoro, e quindi operando necessariamente sugli effetti, ci sono diverse possibilità:
- Formazione Visiva e Pratica: privilegiare dimostrazioni pratiche e spiegazioni visive.
- Materiali di Formazione e addestrativi semplificati: Creazione e/o rivisitazione dei materiali, con uso linguaggio semplice, immagini e diagrammi, infografiche, pittografiche d.
- Supporto Individualizzato: Fornire supporto e tutoraggio personalizzato ai lavoratori con maggiori ed evidente difficoltà di lettura e scrittura; ipotizzabili, ma non semplici e non necessariamente efficace, nei casi più critici individuare e assegnare dei tutor, o mentor che dir si voglia, scelti tra colleghi, a chi è in maggiore difficoltà
- Tecnologie Assistive: Esistono oggi tecnologie che aiutano lettura e comprensione dei testi, come software di sintesi vocale; sono possibili, o da sviluppare, applicazioni mobili che impartiscano istruzioni di sicurezza in formati audio e video direttamente sul posto di lavoro
- Ambiente di Apprendimento Inclusivo: l’ambiente formativo dovrebbe favorire partecipazione e discussione attiva, ad esempio attraverso focus group, evitando lo stigma per chi non ha capito e magari si vergogna nel dirlo, e favorendo la condivisione di competenze ed esperienze già possedute.
Non si è in grado di dire quanto tali strumenti siano diffusi; la personale esperienza personale, che non fa ovviamente statistica, propende per una diffusione piuttosto scarsa, e probabilmente casuale.
Posto che in ogni caso tali tecniche potrebbero essere efficacemente utilizzate anche per chi non soffre di problemi di analfabetismo funzionale, dovrebbe essere evidente, a questo punto, che i pacchetti formativi non possono essere standard ed uguali per tutti i destinatari, come avviene, invece; per convincersene chiunque può fare un giro in rete e consultare le offerte presenti sui siti specializzati. Ma personalizzare i pacchetti presuppone di conoscere bene, e in anticipo, il livello culturale, di istruzione e di competenze linguistiche dei destinatari, nonché i rischi concreti ed effettivi che i discenti incontrano nei loro luoghi di lavoro anziché diffondersi sulla spiegazione di tutti i possibili rischi (che so, chimico, biologici) quando questi ultimi non sono presenti. Per i lavoratori stranieri una indagine sul livello di conoscenza della lingua italiana può essere più facile, come più facile è intervenire. Ma nei casi di potenziale analfabetismo funzionale, una verifica efficace, necessariamente propedeutica alla scelta degli strumenti da adottare, è complicata, presuppone classi di discenti omogenee (il che non è sempre possibile) ed un coinvolgimento preventivo dei datori di lavoro analogamente non facile. Per oggi basta. Nel prossimo articolo si parlerà di verifica dell’efficacia della formazione, sia come valutazione della stessa una volta terminata, sia nei suoi effetti sui luoghi di lavoro ove indagata.