Se vi dicessi che in questi anni è andata sempre crescendo la temperatura che sentite sulla pelle quando entrate in città venendo da fuori, che effetto vi farebbe? Un salto termico enorme che tocca quasi i 13 gradi nelle città di Lombardia, oltre 9 in quelle dell’Emilia-Romagna, della Campania, dell’Abruzzo, della Toscana e così via. Una situazione grave e aggravata da un’urbanistica che non ha ancora capito che aggiungere asfalto anziché depavimentare, non ampliare le aree verdi dentro il tessuto urbano e non fermare (ho detto fermare e non rallentare o limitare o frenare) il consumo di suolo sono azioni che arroventano le città.
Oggi si oltrepassano tranquillamente temperature medie estive di 40 gradi con punte di 43 nelle città di Puglia, 42 in quelle di Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Umbria, Basilicata, Sicilia e 41 in tante altre città di ben sei regioni (ISPRA, 2024). Se a questo quadretto bollente aggiungiamo che in Italia i decessi dello scorso agosto sono aumentati del 7% (+3.629) rispetto alla media del periodo pre-Covid (2015-19) e a luglio del 2% (+870) e che, per ISTAT, a farne le spese sono proprio le persone più fragili (anziani e bambini) che vivono nelle città, non viene il ragionevole sospetto che leggine urbanistiche come la SalvaMilano, voluta strenuamente dal sindaco di Milano e votata da tre quarti della Camera a dicembre, sia tutt’altro che una mossa di sostenibilità per raffreddare le città migliorandone la vivibilità?
Indipendentemente da come andrà a finire, è già scandaloso, fuori dal tempo e insostenibile averla proposta. Quella ‘leggina’ si basa su un modo di intendere il progetto di città per continui riempimenti cementizi degli spazi dove ora vi sono corti, cortili, bassi magazzini artigianali con spazi verdi, aiuole fiorite e alberate e piccoli giardini che sono quel che rimane della porosità con cui le città e i loro abitanti respirano, già con fatica. Respiri flebili che avrebbero bisogno di essere ampliati e non soffocati; di guadagnare permeabilità e non certo di essere sepolti da colate di cemento da oltre cinquemila euro al metro quadro con qualche spruzzatina di verde d’autore su tetti o balconi, tanto per dire e far credere a chi compra che tutto è sostenibile e green.
Anziché forzare la mano per interpretare una norma urbanistica già chiarissima, il sindaco di Milano, la sua giunta e i suoi fans politici dovevano direzionare le loro energie su ben altre interpretazioni autentiche delle leggi al fine di rispondere con urgenza a un’attualità ecologica e climatica disperante che ha a che fare anche con la salute pubblica. Dovevano chiedere interpretazioni autentiche in favore di de-pavimentazioni, di rimozione di edificabilità dai piani senza incorrere in ricorsi, di nuove tutele ambientali, di espulsione di automobili doppie e triple dalle città. Sono tante le ‘interpretazioni autentiche’ a favore di natura sulle quali i vari politici potevano cimentarsi e invece, ancora una volta, hanno scelto interpretazioni pro-cemento e consumo di suolo.
Tornando a Milano, non dimentichiamo che questa città ha il primato per inquinamento dell’aria ed è bollente d’estate. La quota di verde per abitante è bassa e mal distribuita. In molte periferie sono messi ancor peggio e questo aumenta il disagio sociale e giovanile. Suggerirei a giudici e magistrati di cominciare seriamente a pensare che l’urbanistica che non ferma il consumo di suolo, che non de-pavimenta, che non genera nuove aree verdi al posto dell’asfalto, che ha la fissa per la rendita immobiliare è un’urbanistica che disattende il diritto alla salute e di questo i suoi sostenitori devono rispondere.
D’altronde la proposta OneHealth (Agenzia nazionale per la salute unica) parla chiaro: esiste un’unica salute ed è quella che ha a che fare con la salute dell’ambiente e non dell’uomo, men che meno dell’uomo investitore o in grado di spendere per comprare un metro-quadrato a peso d’oro. A quell’unica salute dell’ambiente oggi dobbiamo conformare le politiche urbane e il progetto di città. Altro che quell’obbrobrio del SalvaMilano e di robe simili che stravolgono l’urbanistica di tutte le città d’Italia sempre e solo per avvantaggiare i soliti pochi. Non c’è da salvare quell’idea di città, ma c’è da salvarsi da quanti la propongono e non hanno capito che è la natura, in tutte le sue forme, ciò che va salvato per ridarci un luogo dove vivere e non sopravvivere. Insomma, c’è bisogno di altro. E anche di altri.
Questo articolo è stato pubblcato su Volere La Luna il 17 gennaio 2025