Il Rapporto Snpa dice che è balzata pure al secondo posto per consumo di suolo lordo. La regione presenta il 65% di terreno in condizioni stabili (media nazionale 71,3%), il 26,1% in condizioni degradate (media nazionale 21,2%) e il 5,7% in condizioni migliori rispetto al 2015 (media nazionale 3,8%). In Emilia-Romagna, 6.243 kmq sono degradati dal 2006 a 2019 e ben 1.224 kmq dal 2019 al 2023. La maggioranza gongola del risultato alle Regionali: finché una nuova alluvione non ci seppellirà
Èvero che, mentre il mondo sembra precipitare nel precipizio, ci sono questioni più importanti, ma l’uscita dell’ultimo Rapporto sul consumo di suolo dell’Snpa (qui) merita qualche considerazione. Il Rapporto dice cose note, che danno fastidio tanto a destra che a sinistra. E peccato che sia uscito qualche settimana dopo le ultime Regionali, perché sarebbe stato interessante vedere la reazione dei politici in gara, specialmente in Emilia-Romagna.
Perché la novità di quest’anno, chissà quanto inaspettata, è quella del primato della nostra regione, balzata al primo posto per consumo di suolo netto (735 ettari nel 2023) ed è seconda per consumo di suolo lordo (815 ettari) dietro al Veneto (891 ettari). I dati si riferiscono al 2023, proprio l’anno in cui la regione è stata investita da un’alluvione di proporzioni storiche, dovuta alle piogge eccezionali, un diluvio che non poté essere assorbito dagli alvei di fiumi e torrenti, dilavando valli e pianure.
Come nota Paolo Pileri su Altraeconomia (qui), «per chi ancora non ci credeva, è arrivata ora la dimostrazione che la tanto decantata legge urbanistica emiliano-romagnola (L.R. 24/2017) non è capace di fermare il consumo di suolo nonostante i proclami di quel governo regionale. Emilia-Romagna e Veneto hanno disarcionato l’eterna prima della classe, la Lombardia, che ora si attesta a 728 ettari/anno di consumo di suolo netto». Sono dati drammatici, che confermano l’ipocrisia, nonché la credibilità perduta, di una classe dirigente.
A livello nazionale siamo saliti al 7,16% di superficie consumata pari a 365,7 mq di asfalto e cemento per ogni cittadino (+1,23 mq rispetto all’anno precedente). È vero, il dato nazionale segnala una riduzione rispetto all’anno precedente, ma i valori sono ancora altissimi. A livello regionale, da noi, sono 452 mq per persona (+1,66 mq più del 2022). A livello provinciale, Piacenza presenta valori pro-capite tra i più alti in Italia (700 mq dal 2006 al 2023), pari a 2,45 mq per persona nel solo 2023, contro i 3,56 mq di Ravenna (che è la quarta in ordine di grandezza in Italia). In regione, il consumo di suolo per provincia vede invece Bologna guidare il gruppo, con 165 ettari, seguita da Ravenna, con 138 ettari. Solo Alessandria, Verona, Vicenza e Cagliari, in Italia, fanno peggio.
A livello comunale, Ravenna è al secondo posto in Italia, con 89 ettari consumati da asfalto e cemento in un anno (per un totale di 7.245 ettari, primo comune in regione), mentre Reggio Emilia è il quinto comune per incremento della superficie consumata (terzo tra i comuni con più di 100.000 abitanti), con 43,3 ettari aggiuntivi e Forlì è al decimo posto, con 35,7 ettari. Bologna è quarta tra i capoluoghi di regione con 21,4 ettari (andando così a coprire il 34,4% del suolo comunale).
L’Emilia-Romagna presenta una percentuale di nuovo suolo consumato per edifici e fabbricati in linea con la media nazionale (26,41%), pari però a 109 ettari – quarta dopo Lombardia (249 ettari), Veneto (224) e Piemonte (110) – e al 2,35% dell’intera superficie regionale (la quarta, dopo Lombardia, Veneto e Campania), che equivalgono a 119,4 ettari per abitante (quarta dopo Veneto, Friuli e Piemonte). Il dato allarmante, inoltre, è che il 62,79% degli edifici sono in aree a pericolosità idraulica media (si tratta di 33.261 ettari), la quota di gran lunga più alta in Italia (la seconda regione è la Toscana, con il 23,84%), come era già negli anni scorsi. Nel solo 2023, in Emilia-Romagna sono stati consumati 133 ettari in aree ad alta pericolosità idrica (8,3% del totale), 577 in aree a pericolosità media (11,9%) e 589 in aree a bassa pericolosità, contro un totale nazionale di 439, 1108 e 1613 ettari, rispettivamente. Inoltre, il 6,12% del suolo consumato è in aree ad elevata o molto elevata pericolosità da frana (meno solo di Calabria, Sicilia e Puglia). Nel solo 2023, 14,1 ettari di nuovo suolo consumato erano in quelle aree e 466,4 ettari in aree ad alta pericolosità sismica. A nulla è valso, a quanto pare, l’alluvione avuto nel maggio 2023 per invertire la tendenza a costruire dove non si dovrebbe.
Tra l’altro, il 43% degli edifici in regione è stato costruito in aree rurali o a bassa densità di popolazione, valore tra i più alti in Italia; il 9,36% è stato consumo di suolo reversibile (cantieri e strade sterrate), il 27,4% quello per strade, ferrovie e aeroporti. Ben 101 ettari (sugli 815 totali), poi, sono stati consumati per lo sviluppo di poli logistici (il valore più alto tra le regioni), che si sono aggiunti ai 126 dell’anno precedente, per un totale, dal 2006, di 944 ettari (inferiori solo ai 1.035 ettari della Lombardia, quasi un quinto del valore nazionale). Infine, meno del 5% del nuovo suolo consumato in regione è stato per uso residenziale.
Il nuovo suolo consumato è stato per il 37,62% entro i 300 metri dalla costa marina (la media nazionale è molto più bassa) e l’8,3% entro i 150 metri da corpi idrici (in linea con la media nazionale). Inoltre, si consuma suolo in aree protette e in aree vincolate per la tutela paesaggistica (in un anno, 122 su 1.400 ettari in Italia). Anche l’impatto a livello di ecosistemi e biodiversità in regione è più alto che in Italia: il 40% del territorio regionale ricade entro 60 metri dal suolo consumato e più di tre quarti entro i 200 metri.
In definitiva, la valutazione del grado di degrado del suolo indica che la regione presenta il 65% di suolo in condizioni stabili (media nazionale 71,3%), il 26,1% in condizioni degradate (media nazionale 21,2%) e il 5,7% in condizioni migliori rispetto al 2015 (media nazionale 3,8%). In Emilia-Romagna, 6.243 kmq sono degradati dal 2006 a 2019 e ben 1.224 kmq dal 2019 al 2023.
Come nota Paolo Pileri nell’articolo citato, «tra le prime città consumatrici abbiamo anche Alessandria (+61,7 ettari), dove il Presidente Sergio Mattarella si è recato il 26 novembre scorso per ricordare la terribile alluvione del 1994 e dove, ne concludo, il buon governo del territorio non è stato per nulla buono con il suolo, impermeabilizzando altre decine di ettari, esponendo la città e il territorio a nuovi rischi alluvionali». Lo stesso potremmo dire per i comuni della Romagna, Ravenna in testa, e per la stessa Bologna. Anche la città turrita, infatti, non ha smesso di far andare le betoniere, con un consumo di nuovo suolo di 21,4 ettari nel 2023 e di 16,8 nel 2022.
Le città continuano a macinare terreno, a rincorrere la rendita, a conformarsi a un modello di insostenibilità che procurerà grossi guai nel futuro, come già abbiamo visto. Nella situazione attuale avremmo bisogno dell’esatto opposto: si dovrebbe fermare completamente il consumo di suolo, usare soltanto il suolo artificiale che si ha già a disposizione e liberare spazi. Invece, in Emilia-Romagna l’anno scorso siamo stati capaci, nonostante le alluvioni e le siccità, di consumare 2,23 ettari e 1,24 metri quadri di suolo a testa al giorno.
Ma i nostri politici non paiono curarsene. Certo, come hanno ribadito il Pd e i suoi alleati, «il voto ha espresso una chiara maggioranza». E sarà anche vero, ma sempre meno elettori si recano alle urne e sempre meno li votano: e se tanto il Pd che i suoi alleati “ecologisti” hanno perso voti (anche solo rispetto alle elezioni europee del giugno scorso), una ragione ci sarà. L’unico candidato verde eletto viene da Reggio Emilia, che quest’anno primeggia nel consumo di suolo. Il candidato presidente è stato sindaco di una città che da diversi anni si distingue per la sua voracità di suolo e ha promesso più strade e autostrade e magari più piattaforme per la logistica. I candidati di Sinistra Italiana e Coalizione Civica si vantano per il loro ecologismo da bicicletta, ma su questi temi sembrano disposti a chiudere un occhio, o forse entrambi, in nome del progresso (loro, eletti nella «città più progressista d’Italia»). Contenti loro, scontenti noi, continueremo a coprirci d’asfalto e a degradare il territorio e ci potremo stendere al sole della crisi climatica e rosolarci, finché un nuovo alluvione non ci seppellirà.
Questo articolo è stato pubblicato su Cantiere Bologna il 7 dicembre 2024