Gli accordi Stato-Regioni sulla formazione obbligatoria in materia di prevenzione, salute e sicurezza sul lavoro

di Maurizio Mazzetti /
8 Dicembre 2024 /

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Verosimilmente (anzi, auspicabilmente) molti tra coloro che leggono, e tutte/i se lavoratrici/tori dipendenti,  hanno partecipato a iniziative di formazione in materia di sicurezza, obbligatorie e magari (ancora auspicabilmente) facoltative; e preciso che se l’obbligo è pacifico per lavoratori dipendenti ed assimilati,  per i lavoratori autonomi si configura diversamente a seconda della tipologia di lavoro autonomo e dei rischi. Poiché però tale formazione è non solo un obbligo giuridico (e sanzionato), ma è identificata pressoché universalmente come uno dei due fattori centrali nella sicurezza sul lavoro (l’altro è l’organizzazione), converrà farci un minimo di approfondimento.

La formazione obbligatoria, quindi quella minima, non è regolata da Testo Unico 81/2008,  ma da altra norma collegata pur precedente (D. Lgs. 281/1997) che nella sostanza rimanda ad appositi Accordi Stato Regioni (avendo queste ultime competenza sulla formazione in generale) di durata decennale. Accordi non facili, trattandosi di fare sintesi tra Stato (ministeri, Enti pubblici, governi di diverso orientamento), 19 sistemi regionali più i 2 delle province autonome di Trento e Bolzano, parti sociali. E infatti, benché il TU 81 risalga all’aprile 2008, il primo Accordo è del dicembre 2011 ed entrò in vigore a gennaio 2012; è quindi scaduto e avrebbe dovuto essere rinnovato entro il 30 giugno 2022, ma così non è stato. Una “bozza definitiva” (!) fu finalmente diffusa nella primavera di quest’anno, una prima approvazione formale da parte della competente Conferenza Stato regioni il 07 novembre 2024 è saltata, è tornata all’ordine del giorno per il 28 novembre e ancora una volta è stata rinviata.

Gli addetti ai lavori che (pochi, in verità) si erano, fino a novembre,  pronunciati sulle ragioni del ritardo lo attribuivano a difficoltà meramente tecniche, tenuto conto sia delle modifiche normative (italiane e della UE) intervenute e non recepite dal 2001, sia delle innovazioni tecnologiche (si pensi all’e-learning,  la formazione a distanza); personalmente non escludo anche interessi ed approcci divergenti in senso lato politici e non solo tecnici.  A sostegno di questa ipotesi, ricordo che  la bozza era arrivata alla Conferenza (ove, si ricordi, siedono i presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, non i tecnici che hanno lavorato al testo)  il 07 novembre scorso, ma in quella sede il presidente della Regione Calabria aveva eccepito che occorreva inserire riferimenti anche ai corsi di formazione necessari per recuperare il punteggio (perso per sanzioni, infortuni ecc.)  della patente a crediti in edilizia (cfr. l’articolo del 08 settembre  scorso).  Il 28 la questione pareva risolta, ma ecco che si sono sollevate nuove eccezioni tecniche accompagnate dalla richiesta di coinvolgere nei tavoli tecnici nuove parti sociali. E con riferimento a queste ultime ricordo che non esiste alcun meccanismo legislativo per quantificarne la effettiva rappresentatività, in termini di soggetti aderenti (lavoratori o aziende che siano), ad eccezione che per le organizzazioni sindacali del pubblico impiego (dove la rappresentatività è valutata con un mix tra iscritti e voti alle elezioni delle RSU). Ciò è la causa del proliferare di contratti al ribasso, stipulati da organizzazioni fantasma, fino a veri propri contratti pirata il cui unico scopo è abbassare retribuzioni e tutele dei lavoratori, e lucrare così qualche margine di profitto ulteriore (nella catene di appalti e subappalti è spesso l’unico modo per avercelo, un profitto, e figuriamo ci quale attenzione ci possa essere a sicurezza sul lavoro e relativa formazione). E con lodevoli eccezioni di qualche soggetto assolutamente minoritario, nessuna forza politica è intenzionata ad ovviare a questa stortura, anzi; speriamo nel referendum promosso dalla CGIL.

Tornando alla bozza del nuovo Accordo, ovviamente sono impossibili sia una trattazione dettagliata sia  un confronto puntuale con il precedente: si tratta di testi di qualche centinaio di pagine, densi e che presuppongono tutta una serie di conoscenze pregresse. Proverò ad evidenziarne le novità, che (anticipo) vorrebbero rimediare ad alcune delle carenze del vecchio Accordo.

Prima, però, di che si occupano gli Accordi? In estrema sintesi, di quale formazione obbligatoria, (e, si badi, a carico del datore di lavoro, sempre primo soggetto formatore), debbano avere le varie figure, gli attori della sicurezza identificati dal TU 81, cioè datori di lavoro, dirigenti (1), preposti (2), RSPP – Responsabili del Servizio Prevenzione e protezione _ relativi addetti – ASPP –  addetti all’emergenza/evacuazione/antincendio/primo soccorso, e via enumerando. Si stabiliscono quindi durata (in ore), contenuti (nb: minimi), valutazione dell’efficacia, tempi di rinnovo, nonché modalità e contenuti dell’indispensabile aggiornamento (la formazione non è un diamante, che, come da nota pubblicità, è per sempre). Durata e contenuto sono  tanto maggiori e approfondite quante sono responsabilità e compiti delle varie figure, nonché quanto più rischiose, sia pure in linea generale attraverso accorpamenti, le attività svolte. E, infine chi è qualificato per impartirla, questa formazione, come si acquisisce  tale qualificazione, come la si aggiorna, e come si monitora e controlla, in sede di vigilanza, che il meccanismo funzioni.

Una prima osservazione è che il ritardo nel rinnovo dell’Accordo ha provocato un vuoto normativo non breve: la formazione obbligatoria per dirigenti (1)  e preposti  (2) [1]è prevista (art. 37 TU 81) in base all’Accordo Stato Regioni; ma scaduto e non rinnovato quest’ultimo (termine  30 giugno 2022!) in assenza di disposizioni transitorie non esiste  nessun obbligo di formazione e aggiornamento per queste figure (tutt’altro che marginali); e  eventuali verbali che sanzionino il mancato obbligo appaiono nulli.

Nella bozza troviamo diverse novità importanti sulla  formazione per le imprese affidatarie, per datori di lavoro e dirigenti; quella per i preposti passa da 8 a 12 ore e se appartengono a imprese affidatarie di appalti e subappalti deve contenere devono avere una parte dedicata al cantiere, il loro aggiornamento diventa biennale. C’è una attenzione, almeno nelle intenzioni, alla centrale metodologia della formazione (le ore previste vanno fatte tutte, se ci sono esercitazioni pratiche è previsto il numero minimo di presenti, tabelle dei crediti, precisazione di quando la formazione si può fare in e-learning); ma ancora in realtà è insufficiente a detta di molti addetti ai lavori, in quanto non la migliore disponibile. E’ peraltro vero che l’esperienza insegna come la stragrande maggioranza dei corsi di sicurezza che si fanno in Italia è decisamente arretrata: lezioni frontali senza simulazioni, verifiche di apprendimento tramite questionari a crocette, scarsa o nulla attenzione ai lavoratori stranieri e alla loro effettiva comprensione di quanto impartito; e per non parlare del diffuso fenomeno delle false attestazioni. Inoltre, fermo restando che quelli della bozza sono requisiti minimi, e che nulla vieta a chi può/vuole, di andare oltre, si affermano due principi importanti (la realizzazione poi la si vedrà …)

  1. La formazione va tarata sulla valutazione dei rischi e deve essere fatta preferibilmente per gruppi omogenei (non fare formazione unica a lavoratori che fanno cose molto diverse gli uni dagli altri!)
  2. L’aggiornamento periodico dovrebbe essere sia una formazione nuova, rispetto a quella obbligatoria, con qualche “paletto”.

 C’è particolare attenzione ai datori di lavoro: crescono le ore di formazione obbligatoria (16 ore + altre 16) in particolare per quelli, nelle imprese di minori dimensioni, che possono e vogliono svolgere direttamente il ruolo di RSPP, e addirittura redigere essi stessi il DVR. Qualche dubbio che ciò possa bastare sempre è lecito, anche se di solito tali aziende, si pensi al terziario, non svolgono però attività a rischio elevato; e in tali casi, tipicamente in agricoltura o in edilizia, si prevedono altre ulteriori 16 ore. Crescono le ore e soprattutto la frequenza degli aggiornamenti per il preposto, la cui frequenza che diventa biennale.

Infine, c’è una nuova attenzione alla verifica dell’efficacia della formazione non solo al termine della formazione stessa, ma nel corso dell’attività lavorativa, attraverso tre strumenti: statistiche degli infortuni a livello aziendale (oggi esiste un mero obbligo di registrazione, senza elaborazioni), questionari successivi, check list di controllo successivi di verifica delle effettive modalità di esecuzione della prestazione lavorativa in sicurezza. Si tratta di strumenti che oggi adottano già una minoranza di imprese più strutturate; la loro efficacia, se e quando la bozza diverrà ufficiale ed operativa, è tutta da  vedere.

Tutto bene dunque? No, restano diversi punti critici, ne elenco tre:

La formazione può essere erogata da soggetti istituzionali, cioè enti pubblici,  o da privati accreditati; finalmente c’è un elenco, ma restano 21 sistemi diversi di accreditamento, gli attestati hanno valore su tutto il territorio nazionale, ma un soggetto accreditato in una singola regione non la può fare validamente in un’altra (e a quanto pare sono le Regioni stesse ad aver spinto per mantenere questo sistema assurdo, che risponde solo a mere logiche di consenso). Poi sono previsti Repertori degli enti bilaterali ed altre norme che facciano un po’ d’ordine, e verifica di esistenza/efficacia, in un mondo quanto mai variegato e che sfugge a statistiche e controlli. Ma  non basta ad evitare fenomeni quali quelli che il segretario della FILLEA CGIL Campania Vincenzo Maio racconta in uno Speciale TG1 del 01 dicembre “Tre vite al giorno”, reperibile su RAI Play, (raro caso di bel servizio giornalistico su infortuni e sicurezza sul lavoro, e di cui consiglio la visione): in occasione di importanti lavori pubblici in loco emerge che tutti gli attestati di formazione obbligatoria per i lavoratori (16 ore, da svolgere obbligatoriamente in presenza) risultavano rilasciati ai datori di lavoro da enti di formazione situati in altre regioni, persino in Trentino e Friuli, al modico prezzo di 50 euro l’uno (e si capisce perché, essendo nulla più che meri pezzi di carta).

Le organizzazioni sindacali possono fare formazione, sia pure previo un futuro provvedimento attuativo; questo si prevede identifichi 4 aree geografiche (Nord, Centro, Sud, Isole), con necessaria firma di CCNL nazionali non per mera adesione (!) ed un certo numero di iscritti (!! quale non si sa ancora, ); nel frattempo basta autocertificare di possedere i requisiti … Mi permetto di esprimere tutti i dubbi possibili su questo futuro provvedimento: non esiste,  ripeto, alcun sistema universale di verificare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali quando fanno il loro compito istituzionale, cioè stipulare contratti collettivi, e poi lo si richiederebbe, e con discutibili modalità, per la mera erogazione della formazione?

L’approccio all’efficacia della formazione, unico elemento davvero importante, non è cambiato qualitativamente; le regole nuove continuano a privilegiare, magari migliorandoli, gli aspetti formali, ma non c’è il necessario cambio di paradigma sull’efficacia sostanziale. Questa necessiterebbe di metodologie didattiche ulteriori diverse alla mera lezione frontale e più partecipate e  interattive, e con più esercitazioni pratiche obbligatorie; tutti elementi oggi non obbligatori.

Tutto ciò premesso, non è però possibile trascurare il fatto che ad oggi il nuovo Accordo non è ancora stato sottoscritto e che tutto fa pensare che una sottoscrizione, nel testo attuale e/o con qualche modifica, sia imminente. Ed è impossibile non concludere che,  evidentemente,  chi ha sollevato obiezioni non sembra avere piena consapevolezza di come ritardi e rinvii impattino negativamente su una attività  che necessita di norme aggiornate, condivise e complete. Personalmente sospetto che qualcuno abbia anche cercato di aspettare l’attuazione della cosiddetta autonomia differenziata per avere maggiore spazio di manovra; peraltro, dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale sul progetto in discussione, che lo ha di fatto svuotato rendendo necessario un ritorno in Parlamento, al di là del paletti di merito posti dalla Corte Costituzionale, i tempi si allungherebbero e di molto.  Non resta dunque, con la fiducia che ogni lettrice/lettore riesce ad avere,  che aspettare.

NOTE

[1]) Dirigente ex art. 2 TU 81/2008: “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” –

 Preposto ex art 2 TU 81/2008: chi “in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”

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