All’annuale appuntamento di Ambiente e Lavoro, che si svolge ogni anno presso la Fiera di Bologna, e quest’anno nei giorni 19, 20 e 21 novembre, tra le tante iniziative organizzate da soggetti pubblici, organizzazioni non profit e aziende del settore (è pur sempre una fiera …) parlerò oggi di una specifica dedicata agli infortuni mortali plurimi, quelle che vengono definiti stragi. Il convegno, organizzato dall’ASL di Modena e dall’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia Romagna, ha purtroppo molte ragioni d’essere. Di seguito un elenco di infortuni mortali plurimi (esclusi quelli su strada), in ordine cronologico:
- novembre 2024: stabilimento Toyota a Bologna (2 vittime causa esplosione di un impianto)
- maggio 2024: cantiere di manutenzione rete fognaria di Casteldaccia, (Pa) 5 vittime per intossicazione
- aprile 2024: centrale Elettrica di Bargi di Suviana (Bo), 7 vittime per esplosione e/o annegamento
- febbraio 2024 cantiere Esselunga a Firenze (5 vittime per schiacciamento a seguito di crollo della struttura)
- agosto 2023 cantiere di manutenzione ferroviaria Brandizzo (To) 5 vittime travolte da un treno in transito)
- gennaio 2017 albergo di Rigopiano (AQ) , crollo dell’edificio a causa di una valanga, con 29 vittime di cui 11 lavoratori dell’albergo, cui si aggiungono altre 6 persone per la caduta di un elicottero di soccorso)
- luglio 2015 a Modugno (Ba) ancora esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio, 10 vittime
- maggio 2015 esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio a Giugliano (Na) con 4 vittime
- dicembre 2013: rogo in fabbrica tessile a Prato, con 7 vittime (tutte cinesi)
- maggio 2009: operazioni di manutenzione raffineria di Sarroch (Ca), 3 vittime per intossicazione da sostanze nocive
- giugno 2008: manutenzione depuratore a Mineo (Pa), 6 vittime per intossicazione da sostanze nocive
- dicembre 2007: stabilimento Thyssen Krupp a Torino, 7 vittime causa ustioni dopo esplosione ed incendio.
Per restare poi al solo 2022, erano stati denunciati 19 incidenti plurimi per un totale di 46 decessi, di cui ben 44 stradali.
Il convegno si è concentrato sugli eventi di Casteldaccia, Bargi e Firenze, con relazioni anche molto tecniche dei soggetti vigilanti intervenuti a vario titolo (e magari in situazioni di grandissima difficoltà tecnico-operativa, veda in particolare la centrale sotterranea inondata di Bargi) . Non si esporrà dettagliatamente nel merito queste relazioni, per ovvi motivi di spazio e elevata tecnicalità delle stesse. Mi limito a riportare come in tali eventi si sommano più fattori di rischio (l’analisi su 181 eventi plurimi ha individuato 728 fattori causali, 4 in media per infortunio, quando in altra indagine sui mortali e gravi singoli i fattori di rischio sono meno di due per evento). Balza all’occhio il peso delle intossicazioni in ambienti confinati e/o a rischio di inquinamento (rischio interamente evitabile se applicate procedure e dispositivi di protezione idonei; al contrario, quasi sempre tentativi di soccorso senza cautele/formazione adeguate aggravano il numero delle vittime) e l’estrema rischiosità della fabbricazione di esplosivi (idem).
Aggiungo che proprio il giorno precedente al convegno, il 18 novembre, ad Ercolano (Na) era esplosa un’altra fabbrica di fuochi d’artificio (se la vogliamo chiamare fabbrica: non esisteva alcuna autorizzazione, né documentazione/misura di sicurezza di qualsiasi tipo di fuochi d’artificio) con tre vittime, asseritamente al loro primo giorno di lavoro, e comunque ovviamente in nero. Apro una parentesi: mi permetto di dubitare che fosse davvero il primo giorno di lavoro, pur nell’ovvia carenza di informazioni, il fenomeno dei lavoratori in nero che emergono solo quando si infortunano, e quando l’infortunio non si può nascondere, magari scaricando il lavoratore da qualche parte (pensiamo a Santa Singh), né farlo passare per una comune malattia, è purtroppo ben noto.
Dai lavori sono emersi però alcuni elementi che non riguardano solo questo tipo di infortuni, ma tutta la sicurezza sul lavoro, che provo a sintetizzare.
Dopo l’infortunio, di qualsiasi tipo, gli interventi si dividono in tre fasi: 1) Intervento (primo soccorso alle persone, prima messa in sicurezza – da incendi, fughe di gas o altri aeriformi tossici, allagamenti, sversamenti ecc.- per evitare altri danni anche ambientali, 2) Indagine (ai fini essenzialmente dell’accertamento di eventuali responsabilità, amministrative prima poi penali ), 3) Apprendimento, dall’esame di cause e circostanze, a fini prevenzionali, anche attraverso le prescrizioni che gli organi di vigilanza danno per conformare la situazione di fatto alla normativa. Negli eventi plurimi queste fasi sono più complesse; ma cause e i fattori di rischio sono i medesimi di tutti gli altri eventi, la differenza è solo quantitativa; e può essere semplicemente il caso ad evitare che un comune near miss = quasi incidente, si trasformi in una strage.
Le indagini indicano che formazione e organizzazione aziendali sono carenti soprattutto nella gestione delle emergenze, nella valutazione delle effettive competenze di chi lavora e nella registrazione/correzione di tutte le non conformità. Quest’ultima attività è più facile se le organizzazioni hanno certificazioni di qualità che la prevedono obbligatoriamente( quale che sia il tipo di certificazione, di prodotto ISO 9000, ambientale ISO 14000, di sicurezza sul lavoro ISO 45000; e ricordo che a parità di rischio queste ultime hanno indici di gravità e frequenza infortunistica molto più bassi di quelle non certificate) . La formazione dovrebbe rendere inoltre chi lavora in grado di auto-valutare il rischio, nelle situazioni concrete e/o soprattutto impreviste. Oggi invece purtroppo la formazione obbligatoria è più teoria che pratica, con insufficiente analisi e simulazioni di casi concreti; vedasi le catene di infortuni dei soccorritori negli spazi confinati.
La prevenzione si fa nell’azienda o organizzazione azienda, non dal di fuori!!! Infatti, per quanto ci possano essere, dall’esterno, nome e sanzioni e relativa vigilanza, e dall’altro lato incentivi, facilitazioni, finanziamenti, assistenza (ma, ricordo, tutti gli addetti ai lavori concordano sul fatto che manca una strategia nazionale organica) è la cultura organizzativa interna che fa la differenza, anche nella (auspicabile quando non necessaria, a mio parere) qualificazione dei fornitori nelle catena di appalti e subappalti. Catena, aggiungo, che non è un male in sé, lo diviene se mal o per nulla regolata, (e non solo per la sicurezza, ma per retribuzioni, contratti, condizioni e ritmi di lavoro ecc.) come in effetti è oggi; nel caso della centrale di Bargi è stato rappresentato che cinque ispettori INL hanno dovuto lavorare tre giorni per ricostruire quali fossero le ditte appaltatrici là operanti, quale il contenuto dell’appalto e quali i lavoratori di ciascuna azienda. L’importanza preminente della cultura organizzativa interna ha due corollari:
- 1) Pur essendo acquisito universalmente che tutti che infortuni sono causati da errori, anche se non prossimi nel tempo e nello spazio, e magari estranei all’organizzazione, nei Documenti di Valutazione del Rischio l‘attenzione agli errori come fattore autonomo o amplificatore di altre tipologie di rischio è insufficiente (rinvio alla classificazione degli errori di Reason e Rasmussen di cui si è parlato nell’articolo pubblicato il 27 ottobre). E troppo spesso permane un approccio burocratico alla sicurezza: conta avere “le carte a posto” più che assicurare prevenzione e sicurezza sostanziali! Per esemplificare, nell’infortunio plurimo di Mineo non c’era in effetti nessuna “carta”: procedure assenti, manutenzioni non fatte, mancati o irrintracciabili smaltimenti dei fanghi fonte di esalazioni tossiche, campionamenti inattendibili; ma nell’analogo evento di Casteldaccia le “carte” richieste c’erano tutte, ma erano rimaste appunto carte. I lavoratori poi deceduti infatti non avrebbero dovuto scendere (si accerterà se spontaneamente o inviati) nel sotterraneo per sbloccare l’impianto con i rischi altissimi di intossicazione, (non formati, ignari dei rischi, né equipaggiati), perché l’appalto alla ditta presso cui lavoravano prevedeva, correttamente (ma vanamente …) solo lavori in superficie, e la manutenzione sotterranea non era nelle mansioni e competenze dell’unica vittima dipendente dell’appaltante (anzi, più precisamente era un lavoratore somministrato …).
- Problematica efficacia della vigilanza e del relativo apparato sanzionatorio quando in materia di prevenzione e sicurezza – E’ riconosciuto da tutti, compreso chi scrive, che la vigilanza è indispensabile (gli attuali LEA prevedono controlli di almeno il 5% di unità produttive all’anno): per assicurare l’effettività delle norme (nessuna norma giuridica è tale senza sanzioni se violata), per l’effetto deterrente (da non sopravvalutare, però), per la prevenzione speciale attraverso le prescrizioni, le disposizioni, le stesse sospensioni dell’attività che durano fino a che la situazione non torna regolare anche in assenza di infortuni, per il attività promozionali della sicurezza cui sono destinati (art. 13 Tu 81) gli incassi delle sanzioni, per l’analisi degli eventi ai medesimi fini e per migliorare la formazione. Ma per quanto sia opportuno accrescerla e migliorarla qualitativamente oltre quantitativamente (ma non pare sia questo l’indirizzo dei decisori politici, anzi…) non può bastare. Se la vigilanza amministrativa conduce infatti, oltre che al ripristino della legalità, anche a recuperi retroattivi di contributi, premi, imposte, con sanzioni ed interessi, in materia di sicurezza sul lavoro l’effetto può essere solo preventivo: se le violazioni hanno provocato infortuni e malattie professionali queste non si cancellano e ne restano le conseguenze sulle persone coinvolte, in aggiunta a tutte le altre conseguenze, danni ambientali compresi. Sul punto è impressionante quanto risulta da specifica analisi mirata sul sistema nazionale di studio sugli infortuni mortali, INFOR.MO. Questo sistema (più di una mera banca dati) dal 2002 al 2023 ha raccolto i verbali di intervento degli organi di vigilanza su 6500 infortuni mortali e 4500 gravi; la relativa analisi multifattoriale ha individuato circa 20.000 fattori di rischio. Un tecnico dell’ASL di Alessandria, tale Libener, ha analizzato i verbali ipotizzando che il giorno precedente l’infortunio mortale/grave ci fosse stata una ispezione sull’azienda interessata: è risultato che l’ispezione avrebbe evitato l’evento solo in un 25% dei casi (!).
E’ stata data qualche informazione sui lavori dell’apposita Commissione che, guidata dal Vice ministro della Giustizia Sisto (perché non del Lavoro, o della Sanità? Bah ….) sta lavorando ad una revisione del testo Unico 81/2008 Ipotesi in discussione una definizione più precisa di cosa è il rischio (anche dal punto di vista della probabilità), lo stesso per le ipotesi in cui il datore di lavoro può svolgere egli stesso le funzioni di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, limitazioni della responsabilità penale dello stesso datore di lavoro (?!), maggiori incentivi INAIL con riferimento alla condivisione di informazioni e adozione di tecnologie evolute ed ecologiche.
Infine, nell’articolo pubblicato il 22 settembre si era parlato di cosa è il SINP – Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione – di cosa contiene e soprattutto di ciò che vi manca. Una idea di cosa potrebbe contenere la dà il Sistema Informativo Regionale per la prevenzione – SIRP – della Regione Emilia Romagna, raggiungibile al sito www.oreil.it. E buona lettura ai curiosi
Maurizio Mazzetti, 22 novembre 2024