Mentre la cronaca continua purtroppo a segnarci infortuni mortali, e gli ultimi dati INAIL sul 2024fino a settembre (https://www.inail.it/portale/it/inail-comunica/pubblicazioni/bollettino-trimestrale.html) fotografano una situazione sostanzialmente stabile (con minima crescita dei casi mortali ma con un più 22% di malattie professionali) registriamo che qualcosa, a livello normativo, pare muoversi; il tempo ci dirà se si tratta di teatro e meno.
In Parlamento è stata presentata, ed è in itinere, la proposta di inserire la sicurezza sul lavoro nelle materie di insegnamento; ma non come disciplina autonoma, bensì all’interno dell’educazione civica. Il che solleva da subito forti perplessità, quasi che l’educazione civica non fosse già riempita a sufficienza da buona parte dello scibile umano, con insegnanti tuttologi oppure, come nel provvedimento in itinere, insegnamento della sicurezza sul lavoro impartito da esperti esterni con vaghe, al momento, modalità di individuazione e reclutamento; ma attendiamo l’approvazione definitiva per commentare meglio.
Ancora in Parlamento, dal 29 al 31 ottobre, si sono tenuti gli Stati generali della Salute e Sicurezza sul lavoro con l’obiettivo di promuovere “un confronto per individuare politiche e strategie condivise volte a migliorare la prevenzione e le tutele nei luoghi di lavoro”, con presenze istituzionali anche della UE, nonché delle parti sociali e rappresentanti delle vittime e/o dei familiari. L’iniziativa, sorprendentemente poco pubblicizzata sui media (o forse non sorprendentemente, in quei giorni non ci sono stati infortuni mortali o gravi che bucassero la cronaca, altrove indirizzata ) si è svolta con alcuni tavoli tematici (edilizia, violenza, molestie ed aggressioni nella valutazione dei rischi lavorativi, agricoltura) e relativi documenti consegnati ai capigruppo della Camera dei deputati. Non è mancata una discussione sull’intelligenza artificiale (argomento che oggi è come il prezzemolo, lo ritroviamo ovunque) nel contesto lavorativo, con particolare attenzione agli aspetti riguardanti salute e sicurezza. La discussione finale ha prodotto appositi Tavoli di lavoro, misti istituzioni e parti sociali, incaricati di valutare possibili interventi normativi e non meglio precisate azioni concrete sia di prevenzione, sia di assistenza successiva alle vittime. Attendiamo dunque, personalmente non granché fiducioso, i risultati di questi Tavoli.
Infine, il 7 novembre è convocata la Conferenza Stato Regioni con all’ordine del giorno l’approvazione del nuovo Accordo sulla formazione obbligatoria in materia di sicurezza sul lavoro, che completa il TU 81/2008. Ricordo ora solo che l’Accordo precedente risale al 2011, aveva durata decennale e quindi scadde nel 2021, ma con perdurante vigenza in regime di proroga quasi triennale. Molte bozze dell’Accordo si sono succedute, a dimostrazione che si tratta di un parto difficile per contrapposte esigenze delle parti sociali e differenti approcci di quelle istituzionali (cioè, in senso lato, politiche), a fronte di un mondo del lavoro che è certamente cambiato. Una “bozza definitiva” era stata diffusa nella scorsa primavera e va quindi ora in approvazione; sarà dunque necessario riparlarne, ma solo quando ufficializzata con conseguente efficacia normativa. Tornando al titolo di questo articolo, si noterà facilmente come per la sicurezza sul lavoro, e relativi dati di infortuni e malattie professionali, quasi mai si guarda all’Europa e mai, a mia memoria, ci si approccia alle statistiche europee sul punto. Sulla materia ancora una volta è il sito dell’INAIL che meritoriamente fornisce informazioni – https://www.inail.it/portale/it/attivita-e-servizi/dati-e-statistiche/statistiche-europee.html, peraltro aggiornate (si fa per dire) al 2021; e che di seguito si commentano.
La prima osservazione è che dati ed informazioni ivi contenute, ricavate dalle pubblicazioni di Eurostat (Ufficio centrale di statistica dell’Unione Europea) fotografano il fenomeno solo parzialmente. Sono infatti esclusi gli infortuni in itinere (in Italia circa il tra il 15 e il 17% del totale, e fino ad un quarto e più di quelli mortali negli ultimi anni) e a bordo di un mezzo di trasporto, quelli che determinano lesioni intenzionalmente auto-procurate (non considerati infortuni in Italia), quelli dovuti esclusivamente a cause mediche (ad esempio infarto cardiaco o ictus, in Italia valutati caso per caso). Inoltre (riporto integralmente le avvertenze del sito):
“…le statistiche espresse in valori assoluti presentano ancora oggi gravi carenze dal punto di vista della completezza dei dati:
- alcuni Paesi membri (Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia), non disponendo di un sistema assicurativo specifico, non sono in grado di fornire dati completi ma presentano “livelli di sotto dichiarazione compresi tra il 30% e il 50% del totale”;
- alcuni Paesi membri (in particolare anglosassoni) non rilevano gli infortuni stradali avvenuti nell’esercizio dell’attività lavorativa, in quanto rientranti nella tutela non dei rischi da lavoro ma dei rischi da circolazione stradale;
- in molti Paesi membri i lavoratori autonomi (una categoria quasi ovunque molto consistente) e relativi coadiuvanti non sono coperti dai sistemi di dichiarazione nazionali e quindi esclusi dalle rispettive statistiche, o totalmente (Belgio, Grecia, Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Irlanda) o parzialmente (Germania, Spagna, Austria, Finlandia).In Italia, come è noto, tale categoria è normalmente coperta (NB: il sito è un tantino tendenzioso, sono coperti gli artigiani, ma non, in realtà, di qualche milione di partite IVA, come più volte si è ricordato in questa rubrica);
- in alcuni Paesi membri diversi importanti settori economici non vengono considerati nelle statistiche; in particolare, parti del settore pubblico (amministrazione pubblica), dell’Estrazione di minerali e parti del settore Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni non sono coperti o sono coperti solo in parte;
- disomogeneità nelle procedure di registrazione dei casi mortali: per esempio, in Germania vengono presi in considerazione solo i decessi avvenuti entro 30 giorni.”
Poiché, come detto più volte, i numeri assoluti non significano granché se non rapportati a quello degli occupati, Eurostat calcola un tasso standardizzato sul numero degli infortuni per 100.000 occupati, indispensabile per confronti tra paese e paese. Questo, peraltro, con vari correttivi tecnici perché le differenti strutture economiche dei paesi europei distorcono i dati stessi: per intenderci, l’Italia è il secondo paese in Europa per attività manifatturiere, che comportano un rischio più elevato di quelle ad esempio terziarie, predominanti altrove, anche a parità di occupati. I tassi standardizzati sono calcolati sia a livello globale sia per le 13 “sezioni comuni” in cui vengono ripartite le diverse attività economiche; peraltro è lo stesso Eurostat che “invita ad utilizzare i dati assoluti, che vengono riportati nelle tabelle Ue così come comunicati dai singoli Paesi, soltanto a livello globale e a fini indicativi, tenendo conto dei limiti e delle carenze sopra indicati”, nonché a ritenere meno affidabili le ripartizioni per settori di attività. Esistono poi altri elementi tecnici che diminuiscono completezza ed affidabilità delle rilevazioni, quali, a livello dei singoli paesi, la tempestività delle stesse e il calcolo degli occupati; e prima di passare alle tabelle (pazienti chi legge!) sono inevitabili tre osservazioni:
- Non si rinviene alcun dato relativo alle malattie professionali, almeno in Italia da una decina d’anni almeno in continua crescita.
- L’UE, che può arrivare a prescrivere un certo tipo di tappi di plastica o occuparsi della conservazione delle mozzarelle, non ha ritenuto sino ad oggi di dotarsi di una metodologia uniforme ed esaustiva di rilevazione del fenomeno infortunistico, e anzi con la stessa nozione di infortunio può essere diversa da Stato a Stato. E, ciò nonostante, la presenza di una apposita Agenzia con sede a Bilbao, l’emanazione di varie Direttive, e che sia stato elaborato un sofisticato sistema di analisi degli infortuni e di chi, come e quando li subiscono, chiamato ESAW (European Statistics for Accident at Work), giunto alla fase 3.
- I sistemi di protezione sociale nei vari paesi UE, e non solo sulla sicurezza sul lavoro, sono non solo strutturalmente diversi, ma di ampiezza e contenuto assai variabili, parallelamente alle regole del mercato del lavoro; e tale mancata armonizzazione fa il paio, e niente affatto casualmente, con la diversità sistemi fiscali, l’uno e l’altro tra i maggiori problemi per l’integrazione europea. E come i vari paesi dentro l’UE si fanno concorrenza sulle tasse, così accade anche per la sicurezza sociale, e di qui per la sicurezza sul lavoro, nonostante quanto detto sopra.
Non si può che concludere quindi che i dati di Eurostat non solo hanno limitato valore conoscitivo, ma soprattutto non consentono di valutare adeguatamente l’efficacia delle normative e delle politiche nazionali ed europee. In attesa di un loro (improbabile) miglioramento, diamo un’occhiata. La tabella 1 reca i tassi standardizzati di cui sopra per tutti gli infortuni e la tabella 2 gli analoghi tassi per i casi mortali, ordinati in maniera decrescente sui numeri del 2021 in modo da costruire una specie di graduatoria.
Tra le tante tabelle caricate sul sito INAIL si sono scelte queste due come più significative, in ciò seguendo l’invito Eurostat, nonché perché più complete (comprendono gli infortuni da circolazione). Le tabelle, e con i loro limiti, non sono di non agevole lettura e un esame dettagliato richiederebbe ben più spazio che questo articolo, però:
Infortuni – I tassi standardizzati calano a livello di UE (a 15 o a 27 paesi), in maniera più sensibile dal 2012, e più o meno in maniera generalizzata, ed in alcuni casi con diminuzioni così brusche da risultare persino sospette (vedasi Malta o la Repubblica Ceca). Nel 2021 l’Italia si collocava al 13°posto (1245 infortuni per 100.000 occupati), dietro tra gli altri a Regno Unito, Francia (la peggiore), Germania e Belgio (effetto solo delle strutture della rilevazione ?), con un tasso inferiore anche quello complessivo della UE a 27 paesi (1581) e in costante calo nell’ultimo decennio. La classifica dei paesi più virtuosi, coi tassi più bassi, sorprende (comprende Bulgaria, Grecia, Romania …); 9 paesi hanno tassi più alti della media.
Infortuni mortali – Una diminuzione c’è (con qualche paese in controtendenza), ma assai minore che per gli altri infortuni. Il tasso medio dell’UE a 27 nel 2021 era di 2,23 casi mortali per 100.000 occupati, con l’Italia qui con un tasso superiore, pari a 3,17, e all’8° posto; verosimilmente pesa la maggior percentuale di casi mortali tra gli infortuni in itinere. Colpisce come ci sia una maggior variazione tra chi ha i tassi peggiori e chi ha quelli più bassi, con i paesi peggiori con tassi che possono essere il quadruplo di quelli dei migliori; 15 paesi presentano tassi superiori alla media.
Quanto sopra rafforza tutte le perplessità su quanto queste statistiche, per quanto corrette, siano utili; al momento non resta quindi che concentrarsi sul livello statistico nazionale, che, come più volte esposto in precedenti articoli, per quanto di buon o ottimo livello in qualche caso, è migliorabile (andrebbe migliorato) qualitativamente e quanto a copertura.