Non si può dire che questa incredibile estate decisa a quanto sembra a vender cara la pelle prima di battere in ritirata non sia stata segnata da altrettanto roventi polemiche un po’ ovunque, naturalmente, ma soprattutto e in qualche misura nei nostri territori, che assistono cercando di gestirli e cavalcarli intelligentemente con alterne fortune, ad una serie di trasformazioni e sconvolgimenti paesaggistici e climatici tangibili.
Non sono certo nuovi i discorsi sul cambiamento climatico e sul dissesto idrogeologico e non riguardano certo soltanto la nostra regione, ma diciamo che nel tempo anche l’area bolognese ha visto cambiarsi di classificazione sismica, per esempio ed ha vissuto inediti fenomeni di portata alluvionale persino in città.
Che Bologna non sia mai stato un posto particolarmente ameno per trascorrervi la stagione estiva è cosa risaputa, ma di questi tempi una serie di fattori contestuali quali la congestione e le strozzature provocate dai molteplici e diversificati cantieri aperti, sommati ad una pressione turistica cui non si era avvezzi hanno accentuato disagio e discussione sull’assetto e il futuro della nostra civis per eccellenza.
Certamente stiamo assistendo ai complessi strascichi e meccanismi di accelerazione con sovraccumulo conseguente di opere da avviare, affermazione di piattaforme, smania di recupero, in quanto lasciti pandemici, a partire dai tanto inizialmente esecrati dehors, o i proliferanti deliveries, ormai accettati come ineluttabili.
La pianura padana enclave popolosa e produttiva orgoglio d’Italia, ha rapidamente dovuto scoprire di essere anche uno dei luoghi più inquinati d’Europa, potenzialmente epidemiologicamente molto a rischio per il suo mix di conformazione geografica e intervento umano segnatamente invasivo.
Inoltre, il discorso pubblico sulle aree urbane in quanto meravigliose fucine di rinnovate magnifiche sorti e progressive, anche dal punto di vista del civismo e della redistribuzione di risorse strumenti e opportunità, appare incrinato dalla constatazione non solo dei disagi e delle contraddizioni indotte da processi globalizzati di gentrificazione e overtourism, ma da quella sulla loro invivibilità ambientale.
Il tema delle isole di calore e dei picchi di calore, sta diventando dirimente persino per una discussione sulla fruibilità degli spazi siano essi aperti o chiusi e sugli orari della città e della vita lavorativa e aggregativa al suo interno. Anche perché certe forme palliative di resistenza ai meteo più aggressivi riportano in auge e all’attenzione parametri di disuguaglianza sociale nonché palesi effetti boomerang sulla sostenibilità ambientale complessiva. Persino redistribuire la popolazione, nonostante l’attitudine mentale da fuga da New York che si va diffondendo appare complicato, in quanto possibile inversione di una tendenza che ha visto progressivamente svuotare di servizi, trasporti pubblici accessibili e contenuti antropologici forti le aree interne, spesso votate all’abbandono e ad un inselvatichimento ritenuto a torto o ragione, non già una possibile modalità di compensazione, ma una ulteriore forma di squilibrio ecosistemica.
Non staro adesso ulteriormente a tediarvi su altre evidenti considerazioni demografiche che rendono Bologna in buona sostanza una città matrioska dalle mille piccole patrie interne e da una fruizione già di per se a corrente alternata e flussi paralleli di socialità stagionali e a fasce orarie e generazionali diurne e notturne tutte variamente intense e problematizzabili. Tuttavia, anche questa analisi di flussi di persone e contenuti, risorse umane spendibili politicamente, mi pare un dato importante per fare ragionamenti sulla famosa partecipazione. Perché poi si fa presto a dire partecipazione.
Ma a cosa e perché. Dove e come. In centro o in periferia, camminando o nella staticità di un set cinematografico iperrealista o nella chiacchiera un tempo confronto accalorato da piazza ed oggi altrimenti declinato in luoghi deputati?
Una delle molte modalità in cui si esplica la partecipazione è sicuramente in una città tutto sommato non enorme eppure bigger than life, quale Bologna è, notoriamente e per statuto dotta, è notoriamente quella culturale. Intendendo le attività e l’attivismo legato alle funzionalità culturali.
Il quadro ecosistemico distopico fin qui delineato crea nuove responsabilità anche agli operatori culturali più attenti da sempre ai mutamenti e alla relazione che lega la parte con il tutto.
Un esempio in tal senso è il festival Danza urbana, che nato come esperimento volontaristico universitario ormai diversi anni orsono, nonostante i pochi mezzi economici a disposizione, siccome ha avuto l’idea giusta, è riuscito in qualche misura a compiere opera di rinnovamento e di maggior incisività negli apporti e nei contenuti, aggiungendo un tassello di volta in volta di quelli seminali alla primigenia intuizione.
Intuizione quanto mai attuale :se non occuperemo anche solo in modo simbolico gli spazi a modo nostro, saranno loro ad invadere noi, la nostra interiorità, con il loro attraversamento consumistico e rapace.
Ogni volta questa operazione è compiuta con un sapiente gioco di alleanze e reti tra operatori, produttori, artisti, ambiti dello studio e della formazione e con una precisa, onesta, vivace dialettica istituzionale.
Se nella scorsa edizione diciamola cosi, extended version, il fiore all’occhiello sperimentale, era stato il magico concept costituito dall’esperienza di Porpora cammina, che aveva rappresentato anche un discorso molto profondo sulla differenza esemplificata attraverso lo sconfinare continuo tra ciò che consideriamo urbano e ciò che non lo è, almeno non del tutto, stavolta il fulcro si è costituito a partire da una partnership europea ben precisa e da un fil rouge di memoria che ha segnato sia il percorso stesso del festival, che nuove sinergie territoriali e contenutistiche.
Questo palinsesto di azioni pubbliche decentrate o viceversa fortemente caratterizzate sugli spazi storici contendibili ai turisti, vive da sempre anche di reti e sguardi internazionali: dobbiamo constatare dopo edizioni ben differentemente caratterizzate in tal senso che la conflittualità internazionale gioca brutti scherzi e pertanto il focus creativo di quest’anno è stata la scena spagnola in tutte le sue varianti anche catalane con ben 5 spettacoli. Le locations sono state peraltro tredici complessivamente e tutte nell’area urbana di Bologna. Gli orari prevalenti pomeridiano-serali, ma ci sono state due eccezioni al femminile serali rappresentate da Paola Bianchi, e da Francesca Penzo, con un lavoro site specific all’interno della Chiesa di S Mattia.
Bisogna precisare a questo punto che le compagnie spagnole hanno quasi totalmente rappresentato pressoché novità assolute per noi e che in parte circuiteranno anche al festival ormai gemello Ammutinamenti di Ravenna. si noi siamo per la cooperazione e non per la prelazione sugli spettacoli. Il formato xl, la vetrina della danza sono terreni comuni, del resto, mi dice Carosi, storicamente direttore artistico insieme a Luca Nava di questo autentico gioiellino che è dai suoi albori questa rassegna.
In generale, aggiunge, siamo molto orgogliosi di lavorare sulla promozione dei giovani e del nuovo. Forniamo anche crediti formativi agli studenti universitari che si vogliono applicare alla progettazione di azioni performative d’intervento urbano.
La città, soggetta da almeno 15 anni a continue metamorfosi dettate dalle accelerazioni di piattaforme e mercati, ormai scenario non più da scoprire, ma da risemantizzare contro la gentrificazione, ha più che mai bisogno di ritrovare il suo know how identitario più profondo e per questo abbiamo anche osato con un lavoro che fara discutere, chiosa. Si tratta di Stiamo lavorando per voi, che ha inscenato la messa in opera in tutto credibile di un cantiere, come ormai ce ne sono ovunque in tutta la città. Ci sono state fatte difficoltà per questo evento, non tutti ne avevano colto lo spirito, ma infine si è fatto ed è stato incredibile nello scenario di fortuna causa allarme meteo di piazza Lucio Dalla con corollario di skaters e umarells e donnelle inconsapevoli.
Dicevamo del ristabilire origini identitarie ed in tal senso viene utile la nuova collaborazione con l’Istituto Parri che apre i suoi archivi alla cittadinanza, e che pertanto avrebbe voluto donarci un trekking resistente in una data topica quale l’8 settembre che ci avrebbe condotto dal sacrario del Nettuno al Parri stesso, ideale intro al lavoro di Paola Bianchi, danzatrice e scenografa tra le più sensibili. Purtroppo, il meteo molto sfavorevole anche in questo caso ci ha imposto di rinunciare al trekking. Il lavoro di Paola Bianchi è rimasto comunque perché ospitato all’interno della chiesa sconsacrata di s Mattia, come del resto un altro interessante affondo sulle aporie di una storia della musica che lascia da parte figure femminili geniali, questo Oltre (il) canone n 1 di Francesca Penzo e Maria Giulia Serantoni.
Per quanto riguarda Paola Bianchi, dobbiamo anche segnalare un altro link che si è creato tra danza urbana e associazione Liberty- Stagione Agorà questi ultimi nei mesi scorsi hanno infatti lavorato in senso approfonditamente storico-antropologico con lei e non solo, ad un progetto di riscoperta e rivisitazione delle memorie di prigionieri politici italiani, dai nostri territori, internati nei campi di concentramento nazisti. La missione è quella di andare oltre la testimonianza dal vivo nel qui ed ora che per forza di cose diventa sempre più difficile e richiede pertanto alla comunità uno sforzo qualitativo in più nel reperire formulazioni espressive efficaci.
Ma l’8 settembre, a proposito di memorie, ha segnato per noi anche la presentazione di questo volume, che consta di 11 interventi tematici, titolato Danzare la città, per i tipi della Franco Angeli editore. Il sottotitolo recita : la partecipazione culturale dei giovani al Bologna Portici Festival, a cura di Rossella Massaglia, Roberta Paltrinieri e Alessandro Pontremoli. In pratica, si tratta di questo: Durante il Portici festival 2023, si è realizzato il progetto Bod/y-z, che sotto la direzione artistica di Danza Urbana ha visto la sinergia di parecchie realtà associative coinvolte a progettare insieme ai giovanissimi cui le sigle generazionali alludono, performances site specific e la loro auto narrazione compiuta utilizzando diverse forme di linguaggio espressivo. Si tratta per noi di Danza Urbana, precisa Carosi, di uno sforzo produttivo incredibile ma avevamo il bisogno di cominciare a lasciare tracce sedimentarie del nostro lavoro.
Sempre un affondo ancora sulla sedimentazione e stratificazione di memoria può essere considerata la riflessione su cosa sia il repertorio, tramite ad esempio l’omaggio monografico alla compagnia Mk, che ha segnato indubbiamente una generazione e non solo con il suo lavoro dissacratorio. Per ciò che riguarda la danza iberica dobbiamo dire che un nome di richiamo e dunque di memoria è quello di Roberto Olivan che ha presentato un lavoro sul naufragio con musiche composte appositamente da Pino Basile.
Ma visto che in buona sostanza siamo partiti ad argomentare dalla fine, ovvero l’8 di settembre, andiamo in retrospettiva sugli esordi del 4. Già la giornata inaugurale si è presentata con un biglietto da visita molto speciale. Ovvero questa apertura folgorante di Virgilio Sieni e il suo Sleeping in the car al parco 11 Settembre alle ore 18.Una celebrazione della automobile in quanto guscio contenitore, più che mezzo di locomozione, seguita da Clinch di Angel Duran, uno dei primissimi esempi di alleanza con gli equivalenti spagnoli dei nostri amici di Danza Urbana. In questo caso, tramite la metafora dell’abbraccio pugilistico fischiato poi dall’arbitro e conseguentemente sciolto diciamo d’autorità, sono stati messi sotto lente di ingrandimento i comportamenti maschili tossici. Nel parco si è poi proseguito con Mattia Quintavalle e Giacomo Turati con la creazione vincitrice di Danza Urbana XL, azione di Anticorpi ed 2024, che è uno studio sulla relazione tra corpo e batteria.
Ha poi chiuso in bellezza la prima giornata, Sieni in piazza Santo Stefano con il secondo movimento di Sleep in the car. Nella seconda giornata, la danza iberica si è affermata protagonista in un altro importante quadrante della città, quello di Bolognina, utilizzando in extremis solo la piazza coperta di Tettoia Nervi con diverse repliche tra le 17 e le 19. Come potete intuire una ricchezza di sguardi e proposte che testimonia una attenzione costante e mirata a tutti i più contraddittori e discussi aspetti del nostro vivere cittadino, aggregato, comunitario o viceversa solitario.
Ma come si diceva in incipit corre ormai una sorta di gemellaggio anche con l’associazione Cantieri, cartografie del corpo, che sta proponendo dal 6 al 14 il suo Ammutinamenti, festival di danza urbana e d’autore. Vediamo infatti la presenza comune di Sieni, di alcuni spagnoli, di Turati /Quintavalle. Naturalmente in questo caso sono presenti molte eccellenze romagnole quali Silvia Calderoni, Monica Francia, gruppo Nanou, il pluripremiato Alessandro Sciarroni da tutti noi associato alla rivisitazione della polka chinata.
La peculiarità valore aggiunto del festival Ammutinamenti giunto alla sua edizione 26 e di poco più giovane di Danza Urbana è di essere la culla del progetto vetrina della giovane danza d’autore per Anticorpi XL, che presenta sempre le ultime eccellenze e di avere un suo nocciolo o zoccolo duro di dj settings, dance hall, tappeti sonori, molto curato ed agguerrito e senno non saremmo in Romagna, curato in questa edizione da Asianoia, Cacao, Simona Diacci Trinity. Il claim scelto per questa edizione è Controtempo, ad indicare la necessità di crearsi spazi di pausa e messa in mora dalle scadenze e dagli obiettivi da raggiungere così da cogliere la bellezza del sorprendente, degli slittamenti e dei contrappunti di cui è costellata l’arte così come il naturale e la vita stessa. si moltiplicano così le locations perché oltre alle ormai tradizionali Artificerie Almagia sulla darsena e agli spazi edificati in centro di pregio storico, si aggiungono l’ex consorzio agrario area Tempus, la chiusa di San Marco e il Molino Lovatelli e il Centro commerciale Esp.
Si rimoltiplicano con il mese di settembre festival e appuntamenti urbani, basterebbe citare quello strafamoso del festival di letteratura di Mantova. si tratta di prese di confidenza con la dimensione culturale urbana come in antitesi al mese di agosto spiaggiato per eccellenza, in cui si riprende possesso gradatamente della nostra concentrazione mentale e si riprendono le misure al nostro stare collettivo fatto di scelte e posizionamenti, magari cercando ancora una dimensione botanica, da parco, da cortile, da trekking o quantomeno aperta…. Perfetto mix di chiuso e aperto, di centrale e periferico è da sempre uno dei festival più fuori formato e fuori catalogo della penisola quale il romano appuntamento costituito dalla decina di giornate e nottate di Short Theater, dal 5 al 15 settembre che sa subito di movida nomadica e Angelo Mai, di Arte Contemporanea e meticcia, con esperimenti coraggiosi di allargamento metropolitano e restringimento storico identitario da veri spericolati della performatività.
Piersandra di Matteo, drammaturga per Romeo Castellucci, studiosa, organizzatrice, docente, di base formalmente e presto normalmente a Bologna, artefice dell’indimenticato progetto europeo Atlas of transitions, per Ert Fondazione, giunge con questa edizione di Short al suo secondo mandato. Mandato di curatela -direzione artistica in qualche modo giunto alla l fine di un percorso : un percorso condiviso e convinto, ma che al netto della nostalgia, Di Matteo dichiara concluso. Nella consapevolezza, infatti, dello scarto laterale che la continua ricerca di una vocazione identitaria dal basso comporta, per fuggire le derive routinarie o quelle rassegnate e apocalittiche, non c’è che di evitare un eccessivo attaccamento alle proprie stesse creazioni. Chiacchieriamo insieme di questo e di molto altro, partendo dalla morfologia di questa edizione.
Quali sono a tuo avviso le caratteristiche organizzative salienti di quest’anno?
Diciamo che di solito avevamo una concentrazione di eventi sui due weekends di caduta del festival, con la settimana un po’ meno vivace. Stavolta invece abbiamo già fatto un prequel festoso del festival il 30 di agosto e a parte la giornata del lunedì gli eventi sono intensamente spalmati nell’arco delle giornate, con una accentuazione degli aspetti ludici e aggregativi perché appunto è la mia ultima edizione e vorrei pertanto che gli addentellati conviviali fossero una componente intrinseca del discorso e non una cosa a latere. Al Mattatoio che è un po’ il nostro quartier generale ci sarà uno dei nostri punti ristoro a prezzi calmierati. Si potrà sicuramente trovare anche all’Angelo Mai di che sfamarsi. Abbiamo stavolta rinunciato ad un discorso espansivo fuori dell’area metropolitana romana come invece avevamo fatto l’altra volta, non sono per che le forze e risorse sono sempre un po’ al limite per queste cose ma perché lo troviamo conseguente a tutto un ragionamento di spazi da presidiare, luoghi da rioccupare, memorie da rimasticare e rivendicarne l’appartenenza. Declinare il discorso pubblico e il fatto culturale in altra postura significa anche costruire e ricostruire.
In effetti, questa tua ultima edizione incastonata a fine estate tra il Roma Europa festival e il festival del cinema, arriva dopo un anno difficile di molte polemiche su nomine e poltrone e caratterizzato da una corrente di proteste che proclama a gran voce un’alterità e afferma una estraneità a un certo tipo di sistema teatrale Come si riesce ad avere una postura assertiva in tutto questo senza risultare entristi o viceversa rinchiusi a corte?
Il segreto, o meglio la mia ricetta, che poi sta nel potere che assegno alla trasformazione, capace appunto di rendere anche fisiologico il mio concludere, sta nel titolo che abbiamo coniato per questo Short, ovvero Viscous porosity. Con questo claim alludiamo ad uno stato della fisica molto particolare che ci serve per oltrepassare l’abusato apparato concettuale di rete, ci permette di schivare i rischi della sistematizzazione, ma nello stesso tempo segna anche un superamento della famosa liquidità, poi fluidità, che comunque spesso non consente la sedimentazione dell’esperienza. A fronte di un sistema teatrale culturale in cui non si fanno politiche per come le intendiamo noi, né di crescita delle esperienze, né di allargamento dei contenuti in senso inclusivo, noi edifichiamo l’esistente di una differenza irriducibile, non assemblando soggetti, ma realmente facendo insieme progettualità con molte realtà e abbiamo bisogno che ciò sia plasticamente celebrato. Per questo abbiamo circoscritto ma intensificato l’area di intervento, proponendo un exemplum se non un modello e siamo felici di aver scovato piccoli gioielli teatrali in città, molto tempo dopo la stagione delle cantine che hanno voglia di stare con noi. Ci serve dunque lo strumento della permeabilità, che si attua tra superfici porose eppoi ci interessa che lo stato non sia ne liquido ne gassoso, ma vischioso, perché in qualche modo vogliamo creare una condizione di attaccamento e di contemporanea messa in scacco di chi tenta di sopraffarci. Una autentica scoperta in tal senso è stata quella del piccolo teatro dei documentari posizionato proprio sotto il colle dei cocci, per esempio.
Proprio per dimostrare questa attitudine a forme di radicamento particolari, potrei dire infestanti, abbiamo voluto porci in relazione con elementi storici e antropologici della tradizione identitaria romanesca per eccellenza, portatori guarda caso della loro quota di liquidità, quali le narrazioni e gli habitat del biondo Tevere. Albula, pare fosse l’antico nome del fiume, un ecosistema abitato, turbolento, buio, molle, che consente sovvertimenti e scambi con l’impensato e l’impensabile. Insomma, intenderei catalizzare un sentimento, una percezione che guarda ad una trasformazione, quasi alchemica, favorita dalla porosità e dunque dal depositarsi di consistenze diverse, nella direzione del coagularsi. Questo è politica per noi, un correre paralleli, a fianco, in attesa di poter convergere, con un mondo stanco tra premi, poltrone, ripetitività che dovrà pure a un certo punto alterarsi, modificarsi.
Avete iniziato il 30 agosto con una grande festa prequel di apertura sul Tevere, che tra l’altro è tutto un mondo, con la sua meravigliosa pista ciclabile, i circoli canottieri, il recondito popolare e l’esclusivo pop, ma in generale chi si misurerà con questo feticcio culturale vero e proprio?
Beh, per esempio abbiamo pensato a forme di trekking e stazionamenti molto particolari, come il sound walk condotto da Rimini Protokoll, Haug, Kaegi, Puschke, Wetzel, oppure il Collettivo Utopico, insieme con Cardellini- Gonzales, si misurerà con El Viaje, passeggiata performance. Non trascuriamo luoghi fortemente simbolici per la loro stessa natura costituente come il Cimitero monumentale del Verano, dove El Conde de Torrefiel condurrà un’altra passeggiata sonora dal titolo Cuerpos Celestes.
Ci tengo a segnalare che nei pressi del Ponte Marco, si trova una casa famiglia, di nome ARPJTETTO, che accoglie situazioni di convivialità, ebbene qui avremo il simposio -rappresentazione nyamnyam, di Comidas Criollas, per esempio. Insomma, il Tevere è la Magliana, il Parco Tevere Marconi, qualcosa che dal nostro Mattatoio, porta al mare e dunque contesto di stratificazioni sociali prima che culturali molto diverse. Anche per noi in qualche modo autoctoni, quantomeno cittadini italiani da sempre certi posti possono suonare esotici rispetto alla nostra provenienza di ceto, formazione e apparato ideologico pregiudiziale.
Certo, tuttavia, tra una edizione e l’altra di Short, un quadro internazionale già molto deteriorato e funestato da guerre e conflitti, ha finito per incistarsi e far uscire un bubbone-vergogna quale quello del genocidio palestinese… Si riverbera qualcosa di tutto questo nel Festival?
L’attenzione alla causa palestinese era già molto presente nel mio lavoro di curatrice dai tempi di Atlas of transitions e trovo l’energia e la novità culturale rappresentata dalla mobilitazione dei giovani palestinesi in Italia, una delle cose più interessanti degli ultimi tempi anche per le ibridazioni culturali che mettono in atto. Quindi si che avremo artiste palestinesi, perché il dato ci sembra rilevante anche rispetto al genere e così nell’ambito della nostra scuoletta di School of intrusions, IF body, con il suo progetto Locales, ospiterà alla Pelanda, nel primo pomeriggio del 14 settembre, il lab di Lara Khaldi e Noor Abed, che si svolgerà aperto a tutti, in lingua inglese. Verterà sulle forme di mutualismo, le strategie di sopravvivenza e comprenderà la visualizzazione di materiali dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio che ha casa a Roma. Una bella ibridazione per la quale non ho avuto finora alcuna reazione negativa o rilievo di non opportunità. Se questo ti può apparire come un talk molto serioso, allora vado a presentarti un’altra artista palestinese. Loris, che è coinvolta nei parties Albula. Pensa che Loris è originaria del Nord Est del Messico, ma è fortemente influenzata dalle sue ascendenze medio-orientali. Per dirti, è cresciuta ascoltando musica araba classica senza capirne i testi, ma incamerando melodie e ritmiche da scomporre e ricomporre su un tappeto sonoro di elettronica. Fa base a Mexico City e nei suoi parties chiamati Zoco, importa i suoni della diaspora tra Medio Oriente, africa, Asia, America Latina.
In conclusione, se volessi darci un po’ in termini quantitativi le proporzioni tra interventi performativi, spazi di riflessioni, workshops e parties, cosa potresti raccontarci? E in termini di sponsorizzazioni e partnerships?
Allora, diciamo che un 60 per cento, sono eventi a vario titolo performativi e il rimanente 40 per cento, se lo spartiscono i laboratori e workshops più specifici e i talks, i momenti collettivi di elaborazione aperti veramente alle cittadinanze. Mi piace lasciare Short, che amo tantissimo, con queste tracce di alleanze nuove dentro la città perché è importante essere costituenti nell’esempio alternativo o persino antagonista che dir si voglia… Criticare, smantellare, va bene, un passo necessario come premessa, ma tu sai bene che fare teatro significa collocarsi nel fare, nell’asserire, magari per essere smentiti o fare autocritica subito dopo, ma insomma è azione- processo incessante ed è accettazione e ricomposizione dei conflitti sempre.
Pertanto, la giornata di domenica 15, non ospiterà semplicemente un closing party, ma sarà una intera giornata libera da spettacoli veri e propri e pronta a far incontrare tout public, con i critici, gli operatori, le compagnie, i festaioli, gli operatori, i curiosi, in vari momenti della giornata, della serata e della notte.
Dopodiché, sai bene che purtroppo il volontariato ha un peso sempre molto troppo alto nel mondo culturale e per questo ha bisogno di ricambi continui a tutti i livelli e normalmente è troppo liquido per queste materialistiche ragioni. I contributi non sono mai abbastanza. Noi ne riceviamo di ministeriali e fondamentalmente dal Teatro fondazione di Roma che ci mette a disposizione anche India. Poi naturalmente anche dal comune di Roma. Sul fronte privato, io sono molto fiera della sponsorizzazione della maison Gucci, da sempre per filosofia vocata alla qualità e internazionalità degli spunti creativi. Detto questo, Bologna mi attende di nuovo e sarà emozionante anche questo tornare in qualche modo a casa.