La legge n. 107/2024, nota come decreto legge “liste d’attesa” in sanità, incomincia con interventi di carattere nazionale (art.1, Istituzione della Piattaforma nazionale delle liste di attesa, e art. 2, Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria), in possibile dissonanza con le norme sull’autonomia differenziata. In particolare, secondo l’art. 2, comma 5, le Regioni sono tenute, entro 90 giorni, «a individuare il Responsabile unico regionale per l’assistenza sanitaria (RUAS), a cui sono attribuiti le funzioni e gli obiettivi tematici e temporali in termini di efficacia ed efficienza dell’assistenza sanitaria e quelli contenuti nel Piano regionale sulle liste di attesa, da adottare con validità annuale, e al quale non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spesa o altri emolumenti comunque denominati. Il RUAS è responsabile in ordine al rispetto dei criteri di efficienza nell’erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sul corretto funzionamento del sistema di gestione delle liste di attesa e dei piani operativi per il recupero delle liste medesime nonché dell’attuazione e del raggiungimento degli obiettivi contenuti nel Piano regionale sulle liste di attesa e provvede al controllo sull’avvenuto adempimento»: sembra una questione su cui soffermarsi nella valutazione del rapporto tra politici e tecnici “responsabili”.
L’ art. 3 (Disposizioni per l’adeguamento del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie e norme in materia di assunzioni) incomincia con alcune interessanti disposizioni: «Gli erogatori pubblici e gli erogatori privati accreditati ospedalieri e ambulatoriali afferiscono al Centro unico di prenotazione (CUP) che è unico a livello regionale o infra-regionale, secondo le seguenti modalità di accesso alle prestazioni: a) presa in carico della cronicità e della fragilità conseguenti a malattie croniche e degenerative e a malattie rare, con programmazione diretta e senza intermediazione dell’assistito o chi per esso degli accessi alle prestazioni coerenti con il piano personalizzato di assistenza; b) prenotazione al CUP unico a valenza regionale da parte dell’assistito o chi per esso di prestazioni necessitate da sintomi, segni ed eventi di tipo acuto che richiedono un approfondimento diagnostico o terapeutico; c) accesso diretto per la malattia mentale e da dipendenze patologiche e per le prestazioni di assistenza consultoriale; d) accesso a chiamata all’interno di progetti di screening su popolazione bersaglio per la diagnosi precoce di patologie oncologiche o di altra natura cronico-degenerativa». Chiude, però: «Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (sic!).
Nell’art. 4 (Potenziamento dell’offerta assistenziale in relazione alle visite diagnostiche e specialistiche e aperture straordinarie dei centri trasfusionali) il potenziamento è così inteso: «1. Al fine di garantire il rispetto dei tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie, anche evitando le degenze prolungate dovute alla mancanza di disponibilità per gli esami diagnostici, nel limite massimo delle risorse disponibili di cui al comma 3, le visite diagnostiche e specialistiche sono effettuate anche nei giorni di sabato e domenica e la fascia oraria per l’erogazione di tali prestazioni può essere prolungata».
Per l’art. 5, «il superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario» è drasticamente condizionato: «Il predetto incremento della misura massima del 5 per cento è autorizzato, previa verifica della congruità delle misure compensative della maggiore spesa di personale». Nell’art. 6 sono previste Ulteriori misure per il potenziamento dell’offerta assistenziale e il rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale, ma solo «per le regioni destinatarie del Programma nazionale equità nella salute 2021-2027». Infine, nell’art. 7 (Imposta sostitutiva sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario), un contentino per i medici: «I compensi erogati per lo svolgimento delle prestazioni aggiuntive di cui all’articolo 89, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro dell’Area Sanità – triennio 2019-2021, del 23 gennaio 2024 […] sono soggetti a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 15 per cento».
Tutto qui. Non sono affrontate nella legge le questioni principali, segnalate come minacce alla salute degli italiani dagli organismi internazionali. In Italia, infatti, il sistema sanitario universalistico è minacciato dalle crescenti spese sanitarie catastrofiche a carico delle famiglie: 12,1 miliardi/anno per prestazioni ambulatoriali, 8,6 per prestazioni odontoiatriche, 9,9 per farmaci, 5,5 per altri beni sanitari, 1,8 per ricoveri ospedalieri, 3,6 per ricoveri in strutture di assistenza sanitaria a lungo termine, 13,7 per badanti a favore di malati cronici non autosufficienti. E, quanto alla appropriatezza e alla qualità delle cure, con riferimento ad alcuni indicatori internazionali, sono ancora troppo elevati la prescrizione e il consumo di antibiotici (cui conseguono infezioni correlate all’assistenza, a causa dell’antimicrobicoresistenza) ed è in dotazione nel pubblico e nel privato un numero troppo alto di apparecchiature a risonanza magnetica (cui possono conseguire interventi chirurgici ad elevato rischio di inappropriatezza).
Nello schema di Decreto ministeriale Salute 2023 relativo alle tariffe della specialistica ambulatoriale è, inoltre, riconosciuto che il rapporto costi/ricavi della chimica clinica è tra 58% e 68%, mentre per i laboratori analisi nel complesso è tra 81% e 84%; per le prime visite e per le visite di controllo, il costo stimato è di 41-44 euro, mentre il valore proposto è di 22 euro per le prime visite e di 16,2 euro per le visite di controllo. Questo incentiva l’offerta di prestazioni ambulatoriali nel privato a pagamento diretto. Se si intende incentivare l’offerta di prestazioni ambulatoriali nel sistema pubblico-privato accreditato, occorre valorizzare di più, nel sistema tariffario, le visite e le altre prestazioni ad alta componente umana. A conferma di ciò, vi sono Regioni Italiane in cui l’erogazione dell’assistenza sanitaria ambulatoriale è per più di 80% a cura di strutture accreditate, ma permangono lunghissimi tempi di attesa per le prestazioni ambulatoriali.
Un’ultima considerazione. È noto che in Italia è del tutto carente la soddisfazione dei bisogni sanitari e assistenziali delle persone con più di 65 anni che vivono a casa: è questa la ragione principale del grave fenomeno del sovraffollamento dei Dipartimenti di emergenza e delle Degenze ospedaliere, dell’inappropriata utilizzazione delle risorse ad alto costo degli ospedali per acuti e dei lunghi tempi di attesa per ricovero. Alla inappropriata utilizzazione delle risorse ad alto costo degli ospedali per acuti, consegue anche il depauperamento della specialistica ambulatoriale ospedaliera.
Questo articolo è stato pubblicato su Volere la luna il 20 agosto 2024