«Finish them», ovvero «eliminateli». Queste sono le parole che Nikki Haley, già ambasciatrice all’Onu e figura di spicco del partito repubblicano, ha scritto di persona con un pennarello sopra un missile israeliano mentre era in visita in Israele. Haley ha anche aggiunto che «l’America ama Israele, sempre».
A rendere virale la fotografia sui social è stato il politologo statunitense Ian Bremmer, che su X ha commentato: «Il governo degli Stati Uniti ha fornito proiettili di artiglieria per gli attacchi israeliani a Gaza, ora firmati finish them da Nikki Haley in visita in Israele. La politica americana su Israele è essenzialmente la stessa tra Biden e il partito repubblicano».
Ciò che dice Bremmer è corroborato da un dato che da solo spiega molto bene perché gli Stati Uniti sostengano così tanto Israele. E qual dato riguarda i finanziamenti che politici singoli e partiti, repubblicani e democratici, ricevono dalle lobby pro-Israele, tra le più influenti del mondo. Se non le più influenti in assoluto.
Poca trasparenza sulle donazioni alla politica Usa
Non è facile conoscere chi destina denaro ai politici statunitensi e quanto. Un dato importante, dal momento che questi basano la propria attività politica in gran parte su donazioni private. Per fortuna, però, ci sono organizzazioni la cui missione è rendere più trasparente tale attività di finanziamento. Tra queste c’è Open Secrect.
Spulciando il sito di Open Secret si apprende che, per la sola campagna per le primarie del partito repubblicano nel 2024 (da cui si è ritirata a marzo, lasciando in corsa solo Donald Trump), Nikky Haley ha ricevuto più di 650mila dollari dai gruppi di pressione ebraici. Ma è Joe Biden il candidato alla presidenza degli Stati Uniti che ha ricevuto più soldi dalle lobby legate a Israele: si sfiorano gli 1,5 miliardi di dollari per la campagna elettorale in corso.
Insomma, è vero che la lobby israeliana ha conosciuto il suo periodo di massimo splendore sotto la presidenza di Donald Trump, il quale spostò l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv (capitale riconosciuta a livello internazionale) a Gerusalemme. Ma è vero anche che i gruppi di pressione sono rimasti dei fedeli sostenitori anche dei democratici, donando loro più di 14,8 milioni di dollari nelle elezioni di metà mandato del 2018. Tolte le presidenziali, questo rimane il finanziamento più grande della storia americana da parte di una lobby di pressione.
Quali sono e quanto potere hanno le lobby pro-Israele
Come si è capito, essendo così ben finanziate e politicamente influenti, le lobby pro-Israele sono una forza determinante negli affari esteri americani. Se qualcuno avesse dei dubbi sul perché gli Usa continuino a sostenere militarmente – ed economicamente – lo Stato nazionale ebraico, può cercare in questi numeri la risposta.
Più in generale, dal 1990 al 2023 i finanziamenti delle lobby israeliane sono cresciuti di 10 volte. Da circa 4 milioni di dollari sono diventati più di 40, di cui 35 a singoli politici, per il 63% democratici, almeno nell’ultimo anno. A fornire maggior parte di questi soldi è l’American Israel Public Affairs Committe (AIPAC), che si differenzia per essere il “top contributor” delle campagne americane. A seguire, per quanto riguarda il 2023, ci sono J Street, Christians United for Israel, Zionist Organization of America e Republican Jewish Coalition.
L’AIPAC affonda le sue radici nell’American Zionist Committee for Public Affairs, fondato da Isaiah L. Kenen, un lobbista del governo israeliano. Dopo l’aumento del sostegno finanziario in seguito alla guerra dello Yom Kippur del 1973, l’organizzazione iniziò a crescere fino a diventare il potente gruppo di lobbisti di Washington che è oggi. Per decenni, l’AIPAC ha esercitato pressione sui membri del Congresso americano affinché gli Stati Uniti interrompessero ogni traffico di armi con gli Stati arabi, stemperassero i toni della critica rivolta contro i crescenti insediamenti israeliani e non riconoscessero la legittimità dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
Obiettivo: eliminare le voci critiche e pro-Palestina dal Congresso
Ma, soprattutto, l’AIPAC ha sempre cercato di fare in modo che la linea politica adottata da Washington in Medio Oriente si sposasse con gli interessi del Likud, il partito israeliano conservatore guidato da Benjamin Netanyahu. Il quotidiano di Tel Aviv Haaretz ha descritto l’AIPAC come «la lobby pro-Netanyahu e anti-Israele».
Oggi l’AIPAC ha donato soldi a 342 membri del Congresso americano su 545. Per il 2024 ha l’obiettivo di spendere 100 milioni di dollari nella campagna elettorale oer le presidenziali. Inoltre, ha creato un gruppo, lo United Democracy Project, che ha il compito di eliminare le voci critiche e pro-Palestina all’interno del Congresso. Un esempio è quello che ha interessato la democratica Rashida Tlaib. A novembre 2023, 22 democratici sono passati tra le fila dei repubblicani dopo che Tlaib, una delle poche politiche musulmane al Congresso, ha usato una frase pro-Palestina. 18 di questi avevano ricevuto donazioni dall’AIPAC.
Questo articolo è stato pubblicato su Valori il 22 luglio 2024