La più grande minaccia per Israele è la sua stessa arroganza

di Orly Noy /
19 Giugno 2025 /

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Sono passati più di 46 anni da quando ho lasciato l’Iran con la mia famiglia all’età di nove anni.
Ho trascorso la maggior parte della mia vita in Israele, dove abbiamo costruito una famiglia e cresciuto le nostre figlie — ma l’Iran non ha mai cessato di essere la mia patria.
Dall’ottobre 2023, ho visto innumerevoli immagini di uomini, donne e bambini accanto alle rovine delle proprie case e le loro grida sono impresse nella mia mente.
Ma quando vedo le immagini dall’Iran dopo gli attacchi israeliani e sento le grida in persiano, la mia lingua madre, quel senso di sgomento dentro di me ha un sapore diverso.
Il pensiero che questa distruzione sia compiuta dal paese di cui possiedo la cittadinanza è insopportabile.

Nel corso degli anni, l’opinione pubblica israeliana si è convinta di poter esistere in questa regione coltivando allo stesso tempo un profondo disprezzo per i suoi vicini, lanciandosi in furie omicide contro chiunque, ogni volta e nel modo che preferisce, affidandosi unicamente alla forza bruta. Da quasi 80 anni, la “vittoria totale” è sempre stata dietro l’angolo: basta sconfiggere i palestinesi, eliminare Hamas, schiacciare il Libano, distruggere le capacità nucleari dell’Iran e il paradiso sarà nostro.

Ma da quasi 80 anni, queste cosiddette “vittorie” si sono dimostrate vittorie di Pirro.
Ciascuna di esse scava Israele in una fossa sempre più profonda di isolamento, minacce e odio. La Nakba del 1948 ha generato una crisi di rifugiati che permane ostinatamente ancora oggi e ha posto le basi del regime di apartheid. La vittoria del 1967 ha inaugurato un’occupazione che ancora oggi alimenta la resistenza palestinese.La guerra dell’ottobre 2023 è degenerata in un genocidio che ha trasformato Israele in un paria globale.

L’esercito israeliano — centrale in tutto questo processo — è diventato un’arma di distruzione di massa priva di coscienza. Mantiene il suo status esaltato di fronte a un pubblico anestetizzato attraverso trovate plateali: cercapersone che esplodono nelle tasche di uomini in un mercato libanese, o basi di droni installate nel cuore di uno Stato nemico. E sotto il comando di un governo genocida, continua a sprofondare in guerre da cui non sa più come uscirne.

Per così tanti anni, sotto l’incantesimo di questo esercito presumibilmente onnipotente, la società israeliana si è convinta di essere a prova di proiettile.
L’adorazione totale dell’esercito da una parte e il disprezzo arrogante verso i vicini regionali dall’altra, hanno generato la convinzione che non ne avremo mai pagato il prezzo.
Poi è arrivato il 7 ottobre, infrangendo — anche solo per un momento — l’illusione della nostra immunità. Ma invece di affrontare il significato di quel momento, il pubblico si è arreso a una campagna di vendetta.
Perché solo attraverso il massacro, il mondo ha ripreso senso: Israele uccide, i palestinesi muoiono. Ordine ristabilito.

Ecco perché le immagini degli edifici bombardati a Ramat Gan, Rishon LeZion, Bat Yam, Tel Aviv e Tamra (una città araba in Galilea) sono state così sconvolgenti.
Somigliavano in modo inquietante a quelle a cui ci siamo abituati da Gaza: scheletri di cemento carbonizzato, nuvole di polvere, strade sepolte sotto le macerie e la cenere, giocattoli per bambini stretti tra le mani dei soccorritori.
Queste immagini stanno producendo una frattura, per quanto breve, nell’illusione collettiva che siamo immuni a tutto. Le vittime civili da entrambe le parti — 13 israeliani e almeno 128 iraniani (al momento della pubblicazione dell’articolo, il 15 giugno ndt) — evidenziano il costo umano di questo nuovo fronte, sebbene la portata resti ben lontana dalla devastazione inflitta abitualmente a Gaza.

L’esercito come dottrina

C’è stato un tempo in cui alcuni leader ebrei in Israele capivano che la nostra esistenza in questa regione non poteva reggersi sull’illusione di un’immunità assoluta.

Non saranno stati privi di un sentimento di superiorità, tuttavia erano stati in grado di cogliere questa verità fondamentale.

Il defunto parlamentare di sinistra Yossi Sarid ricordava che Yitzhak Rabin una volta gli disse: “Una nazione che flette i muscoli per cinquant’anni — quei muscoli, prima o poi, si stancheranno.” Rabin capiva che vivere per sempre con la spada, contrariamente alla promessa intrisa di terrore di Netanyahu, non è un’opzione praticabile.

Oggi, in Israele, non esistono più politici ebrei di quel tipo.
Quando la sinistra sionista esplode in festeggiamenti per un attacco sconsiderato contro l’Iran, rivela un ostinato attaccamento alla fantasia che, qualunque cosa facciamo, o per quanto profondamente ci alieniamo dalla regione in cui viviamo, l’esercito ci proteggerà sempre.

“Un popolo forte, un esercito determinato e un fronte interno resiliente. È così che abbiamo sempre vinto, ed è così che vinceremo anche oggi,” ha scritto Yair Golan, leader del Partito Democratico — una fusione dei partiti di sinistra sionista Meretz e Laburista — in un post su X dopo l’attacco di venerdì.

La sua collega di partito, la deputata Naama Lazimi, è intervenuta per ringraziare “i sistemi di intelligence avanzati e la superiorità dell’intelligence. L’IDF e tutti i sistemi di sicurezza. I piloti eroici e l’Aeronautica. I sistemi di difesa di Israele.”

In questo senso, la fantasia dell’immunità garantita dall’esercito è ancora più radicata nella sinistra sionista che nella destra.
La risposta della destra alla sua ansia per la sicurezza è l’annientamento e la pulizia etnica: quello è il suo obiettivo finale.
Ma il centro-sinistra ripone quasi interamente la propria fede nelle presunte capacità illimitate dell’esercito.
Senza dubbio, il centro-sinistra ebraico in Israele adora l’esercito molto più ferventemente della destra, che lo tratta semplicemente come uno strumento per realizzare la propria visione di distruzione e pulizia etnica.

Noi israeliani dobbiamo capire che non siamo immuni.
Un popolo la cui intera esistenza dipende unicamente dalla forza militare è destinato a finire negli angoli più oscuri della distruzione e, infine, nella sconfitta.
Se non abbiamo imparato questa lezione fondamentale negli ultimi due anni, per non parlare degli ultimi ottanta, allora siamo veramente perduti.
Non a causa del programma nucleare dell’Iran o della resistenza palestinese, ma a causa della cieca e arrogante superbia che ha preso possesso di un’intera nazione.

Questo articolo è stato pubblicato su Global Project il 17 giugno 2025

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