Lavoro povero e irregolare, consumo di suolo e degradazione ambientale sembrano essere i principali lasciti dell’industria turistica sui territori. La fiducia e le speranze che fino agli ultimi anni del XX secolo avevano sostenuto lo sviluppo turistico, promuovendolo come alternativa all’industrializzazione fordista e/o portale di accesso alla crescita economica per i Paesi del Sud Globale, sembra essersi capovolta in un clima di sostanziale scetticismo e preoccupazione a partire dall’inizio del nuovo millennio con il montare del dibattito su crisi ecologica e sostenibilità. Da un lato è stato riconosciuto l’alto impatto ambientale e le contraddizioni sociali che genera questa industria, mentre dall’altro si sono moltiplicate le valutazioni sugli effetti negativi che la crisi climatica potrebbe determinare nelle varie destinazioni, come già sta avvenendo per diverse mete sciistiche e come presumibilmente avverrà tra non molto per alcune località costiere. Eppure anche quando si discute di turismo sostenibile si ha sempre l’impressione che si stiano semplicemente ricercando nuove mete e destinazioni, piuttosto che strategie di mitigazione o nuove modalità di relazione con il territorio.
Da più parti si alzano così le grida dei comitati e si moltiplicano le critiche degli esperti. Siamo prossimi dunque alla fine del turismo? E sarebbe questo passaggio auspicabile, come sostengono in molti?
Il primo dato da tenere presente è certo la straordinaria capacità di resilienza dell’industria turistica di fronte alle crisi come già dimostrato dalla rapida ripresa seguita agli shock causati da eventi come l’attentato dell’11 settembre 2001, la crisi finanziaria del 2007/8 o la più recente pandemia da Covid-19 (Canada, Murray, 2021). Tuttavia non è solamente questa tendenza a farmi credere che non siamo destinati ad un mondo senza turismo, quanto il fatto che l’esperienza del viaggio (che rappresenta la base del fenomeno turistico e non un’alternativa ad esso) e la sua progressiva e ulteriore democratizzazione siano elementi da considerare socialmente desiderabili (Higgins-Debiolles, 2006). Questa affermazione, che potrà apparire ad alcuni provocatoria, non deriva da una mancata conoscenza o sottovalutazione dei problemi connessi allo sviluppo dell’industria turistica. Chi scrive è arrivato a queste conclusioni dopo alcuni anni di ricerca nei meandri dell’industria turistica, osservandone le contraddizioni e i problemi sistemici a partire dall’analisi di contesti segnati da una presenza stabile del turismo di massa come Rimini.
“La democratizzazione del viaggio è una conquista. Immaginare una democratizzazione che non sia allo stesso tempo una standardizzazione è la sfida che ci attende” (Keucheyan, 2021, p.45). Questa frase è contenuta ne I bisogni artificiali” (2021), un saggio in cui il sociologo francese Razmig Keucheyan si interroga sulla società dei consumi e sulla definizione dei bisogni. Sulla scorta delle analisi di André Gorz (1977) e Agnes Heller (1974), colloca il desiderio di viaggiare tra i bisogni immateriali detti qualitativi o radicali, che definiscono una vita buona al pari dei bisogni biologici assoluti considerati autentici. Paolo Corvo invece nel suo libro Turisti e felici? Il turismo tra benessere e fragilità (2008) indaga lo stretto legame che intercorre tra la volontà di essere felici e il fenomeno turistico, in una società in cui individualismo e consumismo rendono questo desiderio continuamente frustrato e disatteso. La considerazione che i due autori condividono riflettendo sul senso del viaggio e del turismo è la seguente: ciò che più di tutto qualifica tale esperienza non è la scoperta o la ricerca di qualcosa di autentico o esotico, ma l’incontro con l’Altro (sia esso un individuo, una comunità, un ambiente naturale o costruito). Una condizione di apertura all’alterità necessaria per essere felici (Corvo, 2008) e per rendere le persone consapevoli di ciò di cui si ha realmente bisogno (Keucheyan, 2021).
Mentre dev’essere riconosciuto che il turismo contemporaneo ha gli attributi di un’industria perché composto da imprese che creano prodotti e servizi turistici che sono poi venduti attraverso meccanismi di mercato, deve anche essere riconosciuto che è diverso da altri settori più convenzionali. [..]. L’atto di consumo del turista è (anche) godere del paesaggio, della popolazione, della cultura e delle attività della comunità ospitante (Higgins-Debiolles, 2006, p.1203/1204).
In questa ambiguità risiede la particolarità dell’industria turistica, motivo per cui, nonostante ritenga essere profondamente e strutturalmente insostenibile il modello di sviluppo dominante fino ad oggi, da ciò non derivo alcuna condanna definitiva del sistema turistico, né tantomeno dei turisti che vi partecipano. Sarebbe comodo distinguere, come molti fanno, tra viaggiatori e turisti o tra turisti sostenibili e quelli che non lo sono. La verità è che non è solo difficile distinguere il comportamento degli uni da quello degli altri, ora che anche nell’angolo più remoto del pianeta è stata promossa un’attività turistica, ma propriamente ingiusto, dato che più semplicemente “siamo tutti turisti che odiano altri turisti” (Attili in Salerno, 2020, p.10). Credo che alla base dell’insoddisfazione che questo atteggiamento genera vi sia la tensione mai risolta tra la spinta verso la ricerca di libertà e felicità che l’industria turistica continuamente promuove e il loro riduttivo tradursi in attività prevalentemente individuali e dissipative, prive di qualsiasi elemento di riflessività, come l’iper-mobilità (Christin, 2019) e il consumo fine a sé stesso.
Marco D’Eramo ci ricorda che il turismo è un “atto di libertà, ma disciplinato”, aggiungendo che “sta tutta qui l’irrisolvibile autocontraddittorietà della pratica turistica” (2017, p.191). Anche il sociologo francese Rodolphe Christin si inserisce in questo solco sostenendo che il turista sogni di emanciparsi dal lavoro, ma che l’industria reprime questo “potenziale di dissidenza comportamentale” organizzando la realtà in modo che questa spinta non si traduca in processi emancipativi, ma in “una gamma di anestetici e sfoghi che la società consumistica elargisce ai suoi cittadini” (2019, p.79).
Il turismo si appropria così di un desiderio non privo di una certa carica sovversiva [..]. Il turismo è la soluzione proposta dal capitalismo liberista per canalizzare la spinta sovversiva intrinseca alla volontà di trasformare la propria condizione. E lo fa attivando dei dispositivi che intercettano e catturano sia la soggettività che il movimento fisico che ingenera, rendendoli innocui e trasformandoli in forze che concorrono all’economia di mercato (ivi, p.105/106).
Il problema non è a mio avviso il fenomeno turistico in sé, che al contrario nelle sue premesse iniziali conteneva la promessa di promuovere una maggiore coesione e benessere sociale (Higgins-Debiolles, 2006) e che ancora oggi potrebbe essere un catalizzatore di spinte per un cambiamento sistemico in direzione di una globalizzazione alternativa, se fosse riformulato mettendo al centro criteri di equità, giustizia e sostenibilità (Higgins-Debiolles, 2008). Né tantomeno ha senso prendersela con i turisti, dato che questi al limite cercano semplicemente un momento di evasione dall’alienazione lavorativa, finendo spesso per imbattersi in percorsi altrettanto alienanti (D’Eramo, 2017). Il problema deriverebbe dalla visione tipicamente liberale e occidentale che si è imposta e che ha informato la struttura dell’industria turistica enfatizzando la dimensione individualistica del consumo a discapito della dimensione sociale e comunitaria di reciproca cura (Inayatullah, 1995; Higgins-Debiolles, 2006). Ripensare il sistema turistico vuol dire in primo luogo allora liberarci dagli imperativi di una società di consumatori. Ma vuol dire anche aprirsi all’alterità, poiché le persone avranno sempre più bisogno di capirsi reciprocamente e cooperare in un mondo in cui spazio e risorse vanno progressivamente esaurendosi e il turismo può avere un ruolo importante in questo processo (Higgins-Debiolles, 2006).
Le strategie necessarie per effettuare questi cambiamenti potrebbero divenire materia di discussione nel dibattito relativo agli studi sul turismo negli anni a venire e credo che dall’ecologia politica possano provenire importanti spunti. André Gorz, ritenuto essere tra i padri fondatori di questa in-disciplina (Armiero, Barca, Velicu, 2019), aveva formulato una critica radicale contro la dinamica dei bisogni sempre crescenti e continuamente frustrati indotti dal sistema capitalista, sostenendo questi abbiano la funzione di sorreggere l’economia capitalista moderna ed al contempo siano concausa dei processi di degradazione ambientale (Gorz, 2015 [1977]).
Una riappropriazione della capacità di individuare i bisogni di ognuno, così come della possibilità di soddisfarli, dipende innanzitutto dalla disponibilità di tempo. Gorz riteneva che la riduzione dell’orario di lavoro, connessa all’individuazione di una soglia produttiva individuata come socialmente necessaria in base al criterio della sufficienza, fosse una delle misure necessarie per immaginare una società ecologicamente giusta oltre la sola razionalità economica e il consumo (ibid.). Questa liberazione di tempo consentirebbe alle persone di definire i loro interessi autonomamente e prendersi cura di loro stesse (Keucheyan, 2021). Allo stesso modo credo che una ridefinizione complessiva del sistema turistico non possa non tenere conto della parallela necessità di interventi funzionali alla riduzione del tempo dedicato al lavoro, anche (e soprattutto) per coloro su cui l’industria turistica si regge. In assenza di politiche di questo tipo, credo sarà difficile pensare le vacanze in maniera diversa da come sono state organizzate fino ad oggi, con l’insopportabile densità di corpi abbronzati sulle spiagge in agosto e i piccoli o grandi centri turistici che si riempiono a dismisura nei fine settimana dei restanti mesi per poi svuotarsi rapidamente.
Matteo Lupoli è dottorando al Dipartimento di Sociologia e diritto dell’economia dell’Università di Bologna. Collabora stabilmente con il Cidospel (Centro internazionale di documentazione e studi sociologici sui problemi del lavoro). Si occupa principalmente dello studio del turismo e dei problemi a questo connessi, con particolare attenzione alle condizioni di lavoro e ai processi di degradazione ambientale.
Questo articolo è stato pubblicato su Into The Black Box il 23 maggio 2024
Note
Armiero, M., Barca, S., Velicu, I. (2019). “Undisciplining Political Ecology: a Manifesto”. Undisciplined Environments. https://undisciplinedenvironments.org/2019/10/01/undisciplining-political-ecology-a- minifesto/
Canada, E., Murray, I. (2021). Lockdown Touristification. Barcellona: Alba Sud Editorial.
Christin, R. (2019). Turismo di massa e usura del mondo. Milano: Eleuthera.
Corvo, P. (2007). Turisti e felici? Il turismo tra benessere e fragilità. Milano: Vita e Pensiero.
D’Eramo, M. (2017). Il selfie del mondo. Milano: Feltrinelli.
Higgins-Desbiolles, F. (2006). More than an “industry”: The forgotten power of tourism as a social force. Tourism management, 27(6), 1192-1208.
Higgins-Desbiolles, F. (2008). Justice tourism and alternative globalisation. Journal of Sustainable Tourism, 16(3), 345-364.
Heller, A. (1974). La teoria dei bisogni in Marx.
Inayatullah, S. (1995). Rethinking tourism: unfamiliar histories and alternative futures. Tourism Management, 16(6), 411-415.
Gorz, A. (2015) [ed.or. 1977]. Ecologia e Libertà, Napoli Salerno: Orthotes.
Keucheyan, R. (2021). I bisogni artificiali. Come uscire dal consumismo. Perugia: Ombre corte.
Salerno, G.M. (2020). Per una critica dell’economia turistica. Macerata: Quodlibet.