Si chiamava Mario Pisani e aveva 73 anni. È lui la vittima più anziana dell’esplosione che martedì ha colpito la centrale idroelettrica di Bargi, nell’appennino bolognese. Viveva a San Marzano di San Giuseppe, piccolo borgo in provincia di Taranto. Gran parte della sua carriera si era svolta in Enel, la stessa che controlla l’impianto del lago di Suviana. Martedì era sul posto inquadrato come consulente, e non più da dipendente. Anche gli altri 11 lavoratori coinvolti non avevano un contratto con la casa madre, ma si trovavano lì tramite ditte appaltatrici.
Tra i dispersi c’è anche un lavoratore napoletano di 68 anni, Vincenzo Garzillo, che stava supervisionando la riattivazione dei macchinari. Dopo aver lavorato alla centrale idroelettrica di Presenzano ed essere andato in pensione un anno fa, era diventato consulente della Lab Engineering di Chieti. L’età di Pisani è una delle tante piccole storie contenute nella vicenda della centrale. Il suo caso ha riacceso l’attenzione sul tema di chi, già in pensione, rimane a lavoro. E su come molti anziani sul posto di lavoro finiscano per perdere la vita. Gli esempi sono molti. A ottobre Luigi Bernardini, 76 anni, operaio presso una ditta in subappalto, ha perso la vita lungo il tratto ligure della A12. Una distrazione mentre lavorava.
«A quell’età doveva godersi la pensione» commentò il segretario della Cisl locale. A febbraio a Vallà, frazione di Riese Pio X in provincia di Treviso, è morto Adriano Gallo, 72 anni. Era impiegato in un vivaio, un muletto lo ha travolto. A marzo a Fornaci di Braga, in provincia di Lucca, è rimasto gravemente ferito un uomo di 72 anni. Scaricava metalli, ma una parte del prodotto gli è precipitata addosso. Nello stesso mese a Bari è toccato a un quasi ottantenne: a 79 anni un operaio è precipitato nella tromba dell’ascensore di un palazzo in costruzione. «I dati Istat ci dicono che i lavoratori over 50 sono in aumento. Ma per quell’età, 73 anni, bisogna scandalizzarsi.
C’è una distinzione da fare tra due fattori che intervengono. Da un lato c’è la difesa della professionalità. Ci sono mestieri gratificanti, che il pensionato stesso desidera continuare a svolgere. Dall’altro ci sono i casi – sopratutto nella cantieristica e nell’edilizia – in cui lavorare in vecchiaia è una necessità. Questo è inaccettabile. A una certa età la pensione deve permettere a tutti di dare un contributo alla società in altro modo». A parlare al manifesto è Tania Scacchetti, segretaria generale Spi, il sindacato pensionati della Cgil.
Non sappiamo a quale categoria appartenesse Mario Pisani. Dalle prime informazioni disponibili sembra che si trattasse di un professionista particolarmente specializzato. «Ciò che lascia perplessi è che su un lavoro del genere Enel si sia avvalsa di competenze esterne, anche di ex dipendenti, come in questo caso, e non di personale proprio» spiega Vittorio Rubini, delegato sindacale Filctem proprio a Bologna. «Nei posti di lavoro ci sono più anziani di quanto dovrebbe essere. Il know-how nell’ultimo decennio è stato esternalizzato». Dello stesso parere Antonella Raspadori, dirigente Spi in Emilia Romagna.
«Sono rimasta particolarmente colpita dalla presenza di questo lavoratore con un’età così importante. Non è in sé un fenomeno diffuso. Ma c’è da dire questo: in molti settori, ad esempio la sanità, mancano le competenze. E quindi si ricorre ai pensionati». In un paese come l’Italia, dove l’età media è altissima e l’aspettativa di vita in buona salute importante, è fisiologico un aumento dei lavoratori non più giovani. Ma la presenza di personale d’età troppo avanzata, specie in luoghi di lavoro potenzialmente più rischiosi di altri, è un problema. Quando poi questa presenza è dovuta alla necessità di integrare una pensione troppo magra – e non è detto sia il caso del settantatrenne morto a Bargi, ma è la storia di molti – il problema diventa pura ingiustizia.
Questo articolo è stato pubblicato sul manifesto l’11 aprile 2024