La credibilità dei satrapi meridionali

di Isaia Sales /
10 Aprile 2024 /

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C’è una sproporzione tra il peso dei problemi del Mezzogiorno e la legittimità, la capacità di chi guida le sue Regioni più significative. Puglia, Campania e Sicilia. Cioè Emiliano e De Luca per il centrosinistra, Schifani per il centrodestra.

Non è questo un buon momento per il Sud. Ci sono stati altri periodi complicati, ma mai si è andati tanto vicini a considerare il Meridione un’appendice ininfluente della nazione. La sensazione è di assistere impotenti a un inarrestabile sfilacciamento del collante unitario del Paese. L’Autonomia differenziata per le Regioni, che potrebbe essere approvata definitivamente dal Senato a fine aprile, è quella corda sospesa su cui prossimamente camminerà l’unità d’Italia senza nessuna rete protettiva.

E proprio mentre si pone concretamente la questione su cosa fare per “non cessare di essere una nazione” appare in tutta la sua impressionante inadeguatezza la classe dirigente meridionale. C’è una sproporzione in questo momento storico tra il peso dei suoi problemi e la credibilità, la legittimità, la capacità di chi è la guida delle sue Regioni più significative, Puglia, Campania e Sicilia, cioè EmilianoDe Luca (per il centro-sinistra) e Schifani per il centro-destra. Aggiungiamo ai tre il ministro Fitto che da Giorgia Meloni ha ricevuto una specie di protettorato sulle terre meridionali.

Verrebbe quasi da dire che il Sud esprima una delle più discutibili classi dirigenti nel periodo di sua massima difficoltà nel rapporto con la Nazione. Ma, in questo momento, appaiono più evidenti i limiti del Pd, che ci aveva abituato invece a una migliore qualità dei sindaci e dei presidenti di Regione.

Provo a riassumere la situazione con qualche dato. Negli ultimi decenni alcune delle certezze “consolanti” di noi meridionali si sono letteralmente frantumate. Una parte dell’Italia avrebbe voluto staccarsi dal Sud, ma era consolatorio immaginarci come vincitori alla lunga della battaglia demografica. Negli anni a venire l’Italia avrebbe avuto bisogno di noi, dei nostri figli e dei nostri nipoti per sopperire alla mancanza di nuovi nati nelle aree più sviluppate.

Nel Centro-Nord immaginavamo più malattie e decessi per patologie legate a ritmi di vita usuranti, mentre noi ci vantavamo dei nostri vecchi centenari e del minor numero di infarti e di tumori. E se i nostri ragazzi emigravano per lavorare o studiare, eravamo sicuri che sarebbero tornati.

Insomma, avevamo costruito un racconto sulla nostra arretratezza in gran parte rassicurante, basato sulla legge naturale dell’equilibrio sociale, una specie di contrappeso civile e umano: chi ha di più sul piano del benessere vivrà in una società più atomizzata, con pochi bimbi, con ragazzi che non studiano per andare subito al lavoro.

Invece, la dura legge dell’economia a doppia velocità si è alla fine imposta: dove c’è meno sviluppo si fanno meno figli, si campa di meno (si muore due anni e mezzo prima, in media, addirittura in Campania e Sicilia si ha una speranza di vita alla nascita di quattro anni inferiore al Trentino), ci si cura peggio, si apprende di meno.

Oggi i meridionali emigrano sia per lavorare, sia per studiare e curarsi. Due milioni e mezzo sono andati via dal 2002 ad oggi, di cui molti laureati. Un milione e 100 mila non sono ritornati. E il Sud non è più la riserva demografica dell’Italia.

Abbiamo sperimentato che la precarietà del lavoro incide inevitabilmente sulla possibilità di fare figli. La Svimez ha stimato che per il 2080 il Sud perderà ben 8 milioni di residenti! Nel 2022, il 20 per cento di malati oncologici è costretto a curarsi negli ospedali del Centro-Nord.

Questa situazione si è prodotta proprio nel periodo in cui le Regioni hanno assunto un peso sproporzionato. Il Sistema sanitario nazionale è stato debilitato dalle competenze regionali, che nel Sud ha voluto dire: qui ci si prende cura del potere prima che della salute. Molte università centro-settentrionali si reggono sull’utenza meridionale. L’Italia è un caso di studio tra le nazioni europee su come l’arretratezza di una parte produca ricchezza nell’altra.

Ma come può difendere il Sud le sue ragioni quando a rappresentarle sono alcuni di quelli che hanno contribuito a produrle?

Michele Emiliano e Vincenzo De Luca sono i ras della Puglia e della Campania, i dioscuri di quel satrapismo che niente ha a che fare con una concezione minimamente progressista della politica, dei federatori di trasformisti che non possono più essere tollerati se si vuole contrapporre un’idea alternativa all’egoismo territoriale della destra nordista al governo.

Il “campo largo” in Campania e in Puglia è diventato campo libero per ogni presenza. Vedere il Pd alle prese con la compravendita dei voti è qualcosa di disonorevole per la grande storia da cui quel partito viene.

Ma la clientela e il trasformismo non producono buoni risultati: la Campania e la Puglia, assieme a Calabria e Sicilia, sono agli ultimi posti nelle statistiche del malessere. Per difendere i suoi diritti, insomma, il Sud avrebbe bisogno di ben altri rappresentanti. Nei fatti, i migliori alleati dei leghisti sono i satrapi meridionali.

Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica

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