Ad alcuni giorni dal tragico incidente nel cantiere chiamiamolo nuova Esselunga di Firenze, in cui hanno perso la vita cinque operai, e tre sono rimasti gravemente feriti, facciamo un sintetico quadro di quanto è emerso sinora. Quadro che mostra bene come si lavora in edilizia in Italia.
Sulle cause del crollo della grande trave che ha schiacciato le vittime saranno le indagini della magistratura a dire se c’è stato un cedimento strutturale o altra causa fisica, o se ci sono stati errori nell’allestimento. Secondo quanto riferiscono alcuni operai, i lavori sotto la trave crollata sarebbero iniziati quando ancora si stava lavorando di sopra; quindi, a trave forse non del tutto sistemata. Perché? Perché bisognava fare presto, i lavori a quanto pare erano in ritardo rispetto ai tempi previsti di realizzazione dell’opera (che significa ritardo nell’apertura del supermercato). E alle riserve avanzate da qualche lavoratore sull’opportunità di lavorare in piano a lavori di sopra ancora in corso, sarebbe stato risposto che diversamente poteva anche accomodarsi ed andarsene a casa.
Se è così, quand’anche il cedimento fosse stato strutturale, ci sarebbero stati dei comportamenti umani che, ancora una volta e come accade nella stragrande maggioranza dei casi, se non hanno provocato l’infortunio quantomeno ne hanno aggravato le conseguenze.
Nel cantiere operavano alcune decine di imprese, da 30 ad oltre 60, benché l’importo dei lavori fosse di 35 milioni. Che le imprese fossero tante è consentito dalle norme sugli appalti privati, possibili ”a cascata”, cioè nei quali, a differenze di quelli pubblici, appalti e subappalti sono completamente liberalizzati; e per carità di patria lasciamo perdere le asserite richieste dell’Europa che qualche acuto politico ha tirato in ballo (anche perché non di tutte tali richieste l’Italia è solerte e tempestiva esecutrice); si tratta di una precisa scelta: “Non bisogna disturbare coloro che fanno” disse poco dopo la nomina l’attuale Presidente del Consiglio, e così coerentemente fa questo governo (ma, ahinoi, le differenze con gli altri che l’hanno preceduto sono minori di quel che si pensa). Neppure il numero delle imprese appaltatrici e subappaltatrici è certo, il che la dice lunga sull’organizzazione del cantiere, organizzazione che è però la norma. Magari emergerà che alcune imprese erano imprese artigiane con un unico titolare; imprese formalmente autonome, con il titolare imprenditore di sé stesso, salvo scoprire magari che non solo non aveva alcuna specializzazione (specializzazione che legittimerebbe la qualifica di artigiano), ed era pagato da un unico committente dietro presentazioni di fatture mensili per il medesimo importo. Di sicuro, per ogni gradino di appalti e subappalti si restringono i margini di profitto per l’impresa, e quindi i costi vanno compressi il più possibile: e più è piccola l’impresa appaltatrice, più l’unico modo per farlo è comprimere le retribuzioni, aumentare lo sfruttamento, accelerare i tempi, e tanti saluti alla sicurezza ed ai suoi costi/investimenti. Infatti, a quanto pare parte della retribuzione era pagata in nero, risparmiando così su contributi previdenziali ad INPS e Casse Edili, e premi assicurativi all’INAIL, oltre che sottrarre quote IRPEF al Fisco. Ci sono poi diffuse voci, ovviamente pressoché impossibili da verificare, sul fatto che per affidare un subappalto l’impresa che sta ai livelli superiori della piramide pretenda con apprezzabile frequenza una sorta di pizzo (in nerissimo …) da quella subappaltatrice, come compenso per averla scelta.
I lavoratori occupati nel cantiere erano per lo più stranieri, come le quattro vittime, come peraltro accade normalmente, e non da oggi, nell’edilizia; lavoro pesante, ingrato, rischioso, tendenzialmente per natura precario e a termine, che gli italiani evitano quando possono. Emerge che alcuni di questi lavoratori potrebbero non essere in regola con il permesso di soggiorno; se fosse stato così, non avrebbero potuto essere neppure assunti regolarmente, ma c’erano e lavoravano. Ed è facilmente immaginabile quanto fragili e ricattabili siano costoro, e a quali condizioni siano disposti a lavorare, tutti i lavoratori stranieri, i cui permessi di soggiorno sono legati ad un contratto di lavoro: perso il lavoro, dopo qualche tempo scade il permesso di soggiorno, e si finisce in una clandestinità combattuta a parola, ma nei fatti tollerata quando non incoraggiata perché funzionale a crociate politico mediatiche da un lato, e a precisi interessi economici di tanta imprenditoria un po’ stracciona purtroppo assai diffusa in questo paese…
C’è poi voluto tempo per identificare i lavoratori, benché sia le norme sugli appalti in generale, sia quelle sugli appalti in edilizia, prescrivono che ogni lavoratore debba avere un cartellino cartaceo di riconoscimento, con eventuale mancanza sanzionata. Non ha bisogno di spiegazioni la dubbia efficacia di un cartellino cartaceo, e non elettronico come da tempo chiedono inutilmente i sindacati degli edili; ma immaginate che complicazione per le imprese edili, specie quelle micro, dotarsene, avrà premurosamente pensato chi governa(va), quindi non se ne farà ancora nulla, temo, chissà per quanto. Alcuni lavoratori erano residenti addirittura in altre regioni, con i familiari che neppure sapevano lavorassero lì: luminoso esempio della flessibilità di cui qualche politico si vanta di aver assicurato al sistema produttivo. Incidentalmente, sarebbe interessante sapere a quale Cassa Edile erano iscritti costoro, se iscritti (le Casse Edili sono organismi bilaterali istituiti e finanziati da datori di lavoro e sindacati a base provinciale, che assicurano alcune prestazioni integrative alla retribuzione, ad esempio per le giornate in cui non si lavora causa maltempo).
Altri lavoratori sarebbero stati assunti con il contratto dei metalmeccanici: meglio che niente, si dirà. Peccato che, ovviamente, il contratto dei metalmeccanici non preveda alcuna formazione obbligatoria specifica per lavorare in un cantiere, e lo dice anche la presidente dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) Federica Brancaccio che la formazione ad hoc nei cantieri serve quale che sia il contratto applicato collettivo. Ma per quanto esposto sopra, c’è da dubitare che anche i lavoratori inquadrati come edili avessero ricevuto formazione idonea, o una qualsiasi formazione.
Bene, (anzi, male), tutto ciò premesso, cosa si potrebbe, anzi si sarebbe potuto e dovuto fare per ovviare a situazioni di questo genere? Diamo un minimo di ipotetiche soluzioni per limitarci al settore edile:
- Applicare e soprattutto far funzionare la specifica normativa sui cantieri temporanei e mobili (…), rendendo possibili i controlli
- Rivedere la normativa su appalti e subappalti – basta appalti a cascata, occorrono limiti e condizioni, sul modello di quel che è già previsto negli appalti pubblici – e rafforzare le forme di responsabilità solidale di committenti e appaltanti
- Rafforzare numericamente e riqualificare la vigilanza, con in più obbligo di tesserini di riconoscimento elettronici che possano tracciare i lavoratori
- Migliorare la formazione e vigilare sui relativi obblighi (vedremo il nuovo, emanando Accordo stato regioni)
- Qualificare le imprese (per quanto sotto questo termine possono esservi idee molto diverse sulla qualità), ed introduzione di una patente a punti “seria” (sulla quale pure abbiamo concetti e uso diversi).
Purtroppo il Governo, con comunicati che è difficile non accostare alla neolingua orwelliana di 1984, quando parla di nessun arretramento nella lotta per la sicurezza, va nei fatti in tutt’altra direzione; si vedano in particolare le parti sui cartellini e la durata della formazione obbligatoria (oggi bastano 16 ore !), tanto più che a latere è in arrivo l’ennesimo condono e l’ennesimo ammorbidimento del sistema sanzionatorio in materia previdenziale e fiscale. Rimando ai comunicati del Ministero (insolitamente tempestivo)
https://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-70/25046 https://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/comunicati/pagine/sicurezza-sul-lavoro-in-arrivo-nuovi-interventi
Sulla realtà della vigilanza lascio invece la parola agli ispettori del Lavoro, nella loro lettera indirizzata alla Ministra Calderone https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/24/la-ministra-calderone-snobba-gli-ispettori-del-lavoro-loro-scrivono-lennesima-lettera-ecco-perche-i-controlli-sono-pochi-ci-incontri/7456937/)
I costruttori edili, per bocca della loro presidente Federica Brancaccio, (finalmente, direbbe qualcuno) hanno chiesto il 26 febbraio al Governo un “Patto di cantiere” – https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2024/02/26/i-costruttori-al-governo-chiediamo-un-patto-di-cantiere_96d2c7bc-4706-4259-b836-943328b51927.html.
Più dettagliata e interessante l’intervista della stessa Brancaccio a Rai News 24, reperibile su You Tube (https://www.youtube.com/watch?v=51YAjCK9TuE&t=193s)
Le sue proposte in linea di massima sono condivisibili: qualificazione per le imprese, formazione per lavoratori, professionisti, soggetti che controllano, da potenziare numericamente. La Brancaccio sostiene, con qualche sorpresa, che alle imprese edili serve manodopera in regola, ma mancherebbero i canali giusti per reclutarla (al punto che si attivano percorsi di formazione con lavoratori che stanno all’estero). Ed è questa mancanza che favorirebbe il ricorso al lavoro nero o comunque irregolare; che però, ci si permette, spesso è il modo più semplice per le piccole imprese per restare sul mercato o per realizzare sovraprofitti. La Brancaccio non reclama meno controlli, anzi, verosimilmente, nella consapevolezza che le imprese irregolari fanno concorrenza sleale; ma auspica ispezioni in un’ottica non repressiva, ma preventiva e consulenziale, analoga a quelle che svolgono gli enti bilaterali paritetici, particolarmente forti nell’edilizia. E qui, apriamo una breve parentesi. Quella che svolgono gli enti bilaterali è in realtà una forma di audit esterno, da cui non discendono sanzioni, ma appunto verifiche e consulenze, utili ed auspicabili certo, ma non assimilabili né sostitutive della vigilanza vera e propria. Negli audit eventuali violazioni della normativa, sul lavoro e/o sulla sicurezza, non conducono obbligatoriamente a segnalazioni agli organi di vigilanza o all’Autorità Giudiziaria. Per contro, la vigilanza svolta dagli ispettori dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e dai loro omologhi delle ASL, è, a legislazione vigente, svolta in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, con obbligo di contestazione delle irregolarità, di irrogazione delle sanzioni, di sospensione dell’attività, di impartire prescrizioni, di rapporto all’Autorità giudiziaria; il tutto a pena di omissione d’atti d’ufficio, o peggio. Oltre la vigilanza, è possibile una assistenza, ma di carattere generale e mai mirata su una singola azienda Le due cose non possono stare insieme: o si è in regola o non lo si è; sanzioni e prescrizioni sono cose diverse da assistenza e consulenza e non possono essere svolte dagli stessi soggetti; e se un ente avesse entrambe le attribuzioni, le persone che vigilano, o all’inverso fanno consulenza, dovrebbero essere diverse., sempre a legislazione vigente. Peraltro, di questa idea degli ispettori “consulenti”, che devono aiutare e non vessare le aziende con troppi controlli, non è nuova: già ne (stra)parlava l’indimenticato ministro Sacconi (autore della legge 30, impropriamente detta legge Biagi, cui si deve la maggior precarizzazione del lavoro in Italia) in occasione dell’emanazione del D. Lgs. 124 /2004 sul coordinamento della vigilanza ispettiva. Lo stesso Sacconi tentò di presentare un Testo alternativo al poi emanato TU 81/2008 in cui agli enti bilaterali venivano assegnate appunto funzioni di vigilanza, o dovremmo dire meglio di revisione ed audit, e certificazione della sicurezza addirittura con efficacia esimente (meritatamente, cassato, ma questo Governo ci lavora su in materia fiscale). E anche la riorganizzazione dell’Ispettorato del Lavoro effettuata dal ministro poletti sotto il governo Renzi nel 2015 andava nell’ottica di non disturbare troppo le aziende con pretesi troppi controlli (i numeri, come è noto, dicono l’esatto contrario, i controlli restano sin troppo pochi rispetto al numero di aziende, come i pur parziali dati sulla vigilanza del solo INL dimostrano).
Il Consiglio dei ministri del 26 febbraio, pressato da sindacati, media e forse opinione pubblica perché faccia qualcosa, annuncia, infine, che dal 01 ottobre 2024 verrà introdotta, per le imprese, la patente a punti, vecchia richiesta delle organizzazioni sindacali, e, magari con nomi diversi, anticipata qua e là per l’Italia da qualche amministrazione regionale o locale illuminata, ma per i soli appalti pubblici. Vediamo su di essa i lanci di agenzia ANSA “
“Arriva dal primo ottobre 2024 la patente a punti per la sicurezza sul lavoro. Lo prevede la bozza del dl Pnrr. Sono tenuti al possesso della patente le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili. La patente è rilasciata dall’Ispettorato nazionale del lavoro dopo l’iscrizione alla camera di commercio; l’adempimento, da parte del datore di lavoro e dei lavoratori degli obblighi formativi; il possesso del Durc, del Documento di Valutazione dei Rischi e del Documento Unico di Regolarità Fiscale. La patente parte da trenta crediti e consente di operare con una dotazione pari o superiore a 15 crediti”
Primo commento del segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri “Qui la gente continua a morire, di chiacchiere ne abbiamo le tasche piene” … “Parziali risposte” … “in un clima che non è quello che ci dovrebbe esserci quando si parla di morti sul lavoro”……. “non c’è una copertura economica chiara”. “Tutto è da decidere e da definire”…. “la patente a crediti c’è, ma la vita di un lavoratore vale 20 crediti: si può lavorare con 15 e 5 si recuperano con un corso di formazione“.
Gli fa eco l’omologo della CGIL Landini (https://www.cgil.it/ci-occupiamo-di/salute-e-sicurezza-nel-lavoro/salute-e-sicurezza-landini-da-incontro-risposte-non-allaltezza-dei-problemi-vqdn3ogm)
“L’incontro non è stato all’altezza dei bisogni che abbiamo. Ci hanno convocati alle 8.30 quando c’è il Consiglio dei ministri nel pomeriggio e ci hanno consegnato un testo dopo un’ora perché glielo abbiamo chiesto, ciò dimostra che non c’è una grande volontà di trovare degli accordi con le organizzazioni sindacali”… “Ci sono delle cose che non costano… ma il governo continua a non fare: abbiamo chiesto una norma molto precisa, ossia ripristinare la parità di trattamento economico e normativo per tutti i lavoratori e le lavoratrici di tutta la filiera degli appalti. Era una legge cancellata nel 2003, non ripristinarla significa lasciare la giungla del subappalto. Questo è il modo per estendere le norme pubbliche al privato, migliorandole… abbiamo chiesto di mettere in discussione il subappalto a cascata, di introdurre la patente a punti, significa introdurre il cartellino anche sui cantieri… siamo molto lontani dalla sensibilità che ci vorrebbe su questi temi nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici che noi rappresentiamo”.
Posizioni molto distanti, come da intervista del segretario della Fillea Genovesi (CGIL (https://www.filleacgil.net/images/cannata/RASSEGNE_STAMPA/GenovesiSicurezza_26e27febbraio24.pdf). È difficile non concordare sul giudizio negativo intorno alle misure proposte dal Governo, che a dire di Genovesi peggiorano addirittura la situazione. Ma mentre da parte sua la CISL lancia, non si capisce bene in che forma, una proposta di Patto nazionale (https://www.cisldeilaghi.lombardia.cisl.it/wp-content/uploads/2024/02/Volantone-salute-e-sicurezza.pdf) , non ci resta che attendere. Si tornerà sull’argomento quando si avranno i provvedimenti definitivi e nei loro dettagli; se sono rose fioriranno, recita il detto; per il momento però si prevedono ancora piante con molte spine e pochi fiori.