Sanremo e la tv della non politica

di Francesco Abbate /
10 Febbraio 2024 /

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Se uno show che raggiunge tutto il paese decide di evitare messaggi che riguardino la vita pubblica, si rischia seriamente di sprofondare in una farsa

Qualche anno fa, la società Niantic, in collaborazione con Nintendo, lanciava il gioco Pokemon Go. I numerosissimi giocatori che furono attratti dal fenomeno, che si rivelò essere più una moda del momento che altro, dovevano scovare i personaggi del gioco, i Pokemon, all’interno della realtà aumentata entro cui questi erano nascosti. In questo modo, il gioco era riuscito ad alterare i flussi delle persone nei luoghi fisici, con un potenziale commerciale enorme. Fortunatamente il gioco ha avuto vita breve. Il mondo distopico in cui saremo guidati come marionette da digital creators all’interno di un mondo nel quale sarà impossibile distinguere tra reale e virtuale deve ancora venire e, forse, non verrà mai. Bisognerebbe, del resto, riporre fin troppa poca fiducia nel genere umano per pensare il contrario. 

Eppure, guardando Sanremo qualche dubbio legittimo sorge. Sul palco dell’Ariston, infatti, tra canzoni di valore artistico discutibile e gag che sembrano ideate dagli organizzatori di una qualsiasi sagra della porchetta di paese più che da dei professionisti del prime time, a farla da padrone è il fantasanremo. Accade, in altri termini, che il pochissimo spazio televisivo di cui ciascun «artista» dispone al di fuori del tempo della canzone, sia letteralmente monopolizzato da un gioco che, per altro, mette in palio nientepopodimeno che la «gloria eterna». Il punto è che, il gioco in questione, si confonde con la realtà, in un modo ancora più intrusivo di quanto non riuscisse a fare Pokemon Go, prevedendo dei bonus e dei malus in base a quanto detto o fatto da ciascun artista in gara. Così, quasi tutti regalano i fiori al direttore d’orchestra (+10 punti), abbracciano Amadeus prima o dopo l’esibizione (+10 punti) o ringraziano qualcuno (+5 punti). Alcuni poi si presentano scalzi (+5 punti) mentre altri con «l’ombelico in bella vista» (+5 punti), o ancora con un outfit piumato (+10 punti). C’è poi chi twerka (+10 punti), chi scende in platea (+15 punti), chi spazza il palco come fece Gianni Morandi (ben 18 punti), chi batte il cinque con Amadeus (+5 punti) e chi lancia messaggi contro la guerra (+10 punti) o contro ogni forma di discriminazione (+10 punti). La battaglia è evidentemente spietata e all’ultimo bonus, basti pensare che il vincitore della passata edizione del fantasanremo, Marco Mengoni, ha totalizzato ben 670 punti. 

A questo punto mi pongo le seguenti due domande. La prima, la dichiarazione contro la guerra di Dargen D’Amico l’ha fatta per i 10 punti in palio o perché la voleva fare davvero? E Big Mama avrebbe comunque lanciato il messaggio di amore libero senza i 10 punti di bonus che questa dichiarazione le ha permesso di ottenere? Per rispondere, mi viene in sostegno lo stesso Dargen, che la sera successiva precisa di non voler essere politico, come se il fatto stesso di stare su quel palco con un microfono in mano davanti a milioni di telespettatori possa non esserlo. Ecco, mi sembra che questa puntualizzazione, risolva un bel po’ di dubbi e aiuti a chiarire anche il secondo interrogativo che volevo porre, ovvero: com’è possibile che delle persone, che per altro si auto comprendono come artisti, si lascino letteralmente agire dagli ideatori di un gioco, parlando e facendo gesti, ovvero ciò che è più proprio, più personale e inalienabile, suggeriti da qualcun altro? Se possiamo prendere sul serio quanto detto da Dargen D’Amico circa la propria volontà di non voler essere affatto politico (e pare che possiamo farlo con relativa tranquillità dal momento che non sono previsti bonus per questo tipo di dichiarazioni), allora la risposta è servita ed è da individuare proprio nel vuoto politico, capace di svuotare totalmente di senso la presenza su un palco, con un microfono in mano, davanti a milioni di telespettatori. Accade, in altri termini, che se in un programma che raggiunge un intero paese viene a mancare in modo radicale la politica, se si decide intenzionalmente di sottrarsi a veicolare messaggi che riguardino la vita pubblica e i modi in cui questa si declina, ivi comprese le guerre che non sono altro che il fallimento della mediazione politica, si rischia seriamente di sprofondare in una farsa, in un gioco demenziale senza alcun valore dal quale si viene agiti come vere e proprie marionette. Succede che la parola proferita e i gesti fatti possano perdere totalmente di significato e che, chi sta dall’altra parte ad ascoltare e guardare, possa, in fin dei conti, convincersene. Succede che una canzone sui migranti, come quella dello stesso Dargen D’Amico, possa avere una melodia stranamente euforica senza tuttavia destare alcun effetto sul pubblico, lasciandolo del tutto apatico rispetto alla tragedia delle morti nel Mediterraneo. Succede inoltre che l’unico senso di stare li sopra davanti a milioni di persone, possa essere dato dal semplice fatto di apparire, di esistere per gli altri, e null’altro. 

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 9 febbraio 2024

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