Ad alcuni “sindaci-amministratori” l’alluvione in Romagna ha insegnato poco

di Paolo Pileri /
24 Gennaio 2024 /

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Il 14 gennaio la trasmissione Report ha affrontato lo spinoso tema dell’alluvione in Romagna del maggio 2023. In previsione della puntata un post su Instagram annunciava di occuparsi anche del consumo di suolo. Sappiamo, infatti, che la cementificazione amplifica i danni da inondazioni; che costruire nelle aree alluvionabili equivale a mettersi in tasca vittime, danni e costi pubblici; che la Regione Emilia-Romagna è campione italiano di cementificazione proprio nelle aree a pericolosità idraulica, in particolare nella provincia di Ravenna.

Ma alla fine questa parte non è andata in onda. Peccato perché in quel post, che rimane un documento giornalistico rilevante, tra le tante cose c’è una intervista preziosa che ci fa capire meglio come i sindaci (alcuni) intendono il loro ruolo davanti al consumo di suolo. Bernardo Iovene intervista il sindaco di Faenza, Massimo Isola, relativamente alla lottizzazione dell’area dell’Orto della Ghilana di cui si è molto occupata la giornalista Linda Maggiori (noi ne abbiamo scritto il 6 novembre su Altreconomia e sul numero 265 della rivista). Ricordo solo che si tratta di un’area che durante l’alluvione è stata sommersa da un metro e mezzo di acqua e dove non ha alcun senso confermare l’edificabilità.

Il giornalista di Report ne chiede conto al sindaco: “Dopo quello che è successo ci può essere un ripensamento sulle concessioni da dare in determinate aree? Oppure tutto va come se niente fosse successo”. E il sindaco risponde: “A oggi non abbiamo sicuramente elementi per mettere in discussione iter e percorsi amministrativi se non all’interno di uno scenario che non è un gruppo o comitato di cittadini ma che è il commissario ci può dare all’interno del piano strategico”.

Mi soffermo su questa risposta perché mi ha messo letteralmente ko: non me l’aspetto da un sindaco-politico. Ho imparato invece che possono arrivare da sindaci-amministratori. Provo a dire perché e come mi ha ferito. Rispondendo in quel modo, il primo cittadino decide di fare passo indietro dal suo ruolo politico. Almeno così mi pare. Da politico potrebbe provare indignazione e dire al giornalista che lui vorrebbe togliere l’edificabilità da quell’area perché è davvero insensato mantenerla dopo quanto successo. Oppure che, da rappresentante dei cittadini quale è, farà i salti mortali per portare il caso in tutte le sedi istituzionali e politiche possibili spiegando quanto urgente sia dare potere ai sindaci per togliere edificabilità (e non solo metterla) tutelando così i suoli; insomma occorre una nuova legge e lui sarà in prima linea per domandarla. Da politico potrebbe dire che i vincoli ambientali che stabiliscono le inedificabilità in certe aree vanno immediatamente rivisti in quanto il clima cambiato impone nuovi scenari di salvaguardia. Potrebbe chiedere un’immediata sospensione di tutte le edificabilità in corso, in nome dei principi di precauzione e di salvaguardia ambientale e sanitaria.

Invece che cosa fa? Si toglie il cappello del politico visionario e interprete di cambiamenti culturali, scegliendo i panni più confortevoli di amministratore. E quindi, incredibilmente per me, trova naturale rimettere il suo mandato nelle mani di un commissario straordinario che è una figura non eletta ma nominata, al quale viene conferito uno speciale potere amministrativo-burocratico per poter prendere decisioni limitatamente alla finestra temporale in cui vale il suo mandato. Finito il suo lavoro, tutto tornerà come prima. Così facendo il sindaco non solo abdica al suo ruolo politico, ma rinuncia al lavoro di prospettiva visto che non chiede regole permanenti che consentiranno ai sindaci, un domani, di fare meglio il lavoro di governo del territorio. Si accontenta, se mai capitasse, di una modifica speciale, una tantum, per il suo caso e nulla di più. Infine, da carica eletta dai cittadini, afferma sorprendentemente che la sovranità delle decisioni spetta più al commissario straordinario che ai cittadini.

Ecco, la Costituzione all’articolo 1 non mi pare proprio dica così, semmai il contrario. Inoltre, chiudere la porta ai cittadini in quel modo non è proprio l’applicazione di quel che ci ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a fine anno “ascoltare significa, anche, saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo”. Vuoi vedere che quei cittadini stanno mostrando la direzione giusta al sindaco? Ma se non li consideriamo.

Il caso di Faenza è dolorosamente emblematico perché ci mostra quanto i sindaci siano sempre più distanti dall’interpretazione politica del loro ruolo e preferiscano rimanere in una palude amministrativa tutta loro che li distanzia dai cittadini e non migliora neppure il loro coraggio decisionale, men che meno quando la questione è ecologica, ovvero quando serve molto di più che padroneggiare regole burocratiche. Peraltro, li sentiamo spesso lamentarsi della burocrazia perché toglie loro i gradi di libertà che vorrebbero. Poi però, come vediamo, al momento opportuno la usano a piene mani e ci si rifugiano dentro. Temo che così facendo sia abbastanza evidente che non riusciremo a fare nessuna transizione ecologica degna di questo nome. E temo che non saremo di nessun aiuto ai giovani sui quali, sempre il presidente Mattarella ha detto a fine anno: “Rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere, e di cui non condividono andamento e comportamenti”. Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo di testimoni che disconosce le loro attese. E che l’abdicazione dei politici dalla politica non farà che aumentare.

Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 15 gennaio 2024

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