È ancora attuale rivisitare in un documentario di circa cinquanta minuti, molto ben costruito, la storia dei rapporti estesi e complessi tra i comunisti italiani e il mondo culturale, nel periodo che va dalla resistenza al nazifascismo fino al termine dell’esistenza del Pci? Un’eutanasia procurata nel 1991, quando il suo stato di salute era ancora abbastanza soddisfacente, in coincidenza con il crollo dell’Urss.
Oggi il pallino dell’egemonia di gramsciana memoria è passato nelle mani della destra meloniana dei Fratelli, e parenti vari, d’Italia, con insaziabili ambizioni di supremazia nella società e soprattutto nei media. L’ipercinetico e prolifico ministro della Cultura Sangiuliano, dopo essersi guadagnato i galloni con la mostra di Tolkien, autore amatissimo del signor Primo Ministro, di discutibile appartenenza alle rive droit che se l’è accaparrato, ora si proietta su Gramsci: ha ordinato alla clinica Quisisana, dove il dirigente comunista andò a morire dopo dieci anni di carcere duro fascista che ne avevano definitivamente minato la fragile salute, di apporvi la targa alla memoria che finora era stata rifiutata dalla proprietà dell’edificio (in precedenza era di Giuseppe Ciarrapico che vi morì nel 2019).
Naturalmente parliamo di azioni dimostrative e non certo di una strategia culturale di ampio spessore. Tutto ciò avviene da quando dalle parti della sinistra si è di fatto smesso di produrre cultura, e forse nemmeno di pensare a una società diversa dall’esistente. Proprio per questo il docufilm realizzato da Laurenzo Ticca, Ita/2023, per 3d edizioni, riveste un’importanza storica e anche politica di rilievo. Un film pensato per il centenario della fondazione del Pci a Livorno nel 1921, proiettato una sola volta e mai più visto.
Un film che ricostruisce attraverso spezzoni inediti di pellicole e interviste a dirigenti politici ed intellettuali della sinistra storica, tutta la ricchezza dei rapporti e del pensiero che costituiva il patrimonio culturale del più grande partito comunista d’occidente e l’importanza che ciò assumeva nella visione della società e nella linea politica che il partito portava avanti.
Il film descrive anche le fasi critiche e diverse di mutamento della cultura, dei linguaggi e della stessa società che produssero cleavages, incrinature in quel rapporto, soprattutto negli anni intensi del Sessantotto, che conobbe un ultimo sussulto di straordinario consenso grazie all’opera e alla personalità di Enrico Berlinguer. Un film parabola e metafora del dilemma che ancora oggi attanaglia a trent’anni dalla fine del Pci, su un’assenza che pesa nel tormentato agorà della politica italiana senza che i discendenti siano riusciti nemmeno in minima parte di riportare i fasti del periodo migliore della sinistra.
Il film si proietta a Bologna nella cineteca comunale Lumière, venerdì 19 gennaio alle 18.00. Interverranno per un commento finale, oltre all’autore Laurenzo Ticca, la produttrice e giornalista Didi Gnocchi e l’illustre politologo dell’università di Bologna Piero Ignazi.
Per acquistare il biglietto CLICCA QUI
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 14 gennaio 2024