Firenze investe in “sicurezza” e, con gli attuali 1.656 dispositivi di controllo, conquista il primato nazionale nel rapporto tra telecamere e residenti. Dal 2022 ad oggi le telecamere sono aumentate del 20%, un incremento in linea con le politiche territoriali che confondono la sicurezza socio-ambientale con il securitarismo e la paura.
Secondo il Rapporto nazionale sull’attività della polizia locale, nel 2022 il capoluogo toscano si aggiudicava la terza posizione in Italia, immediatamente dopo Milano e Roma, grazie alle sue 1.392 videoinstallazioni.
A distanza di un anno, le videocamere fiorentine – di “ultimissima” generazione – sono aumentate di 264 unità. Se ne conta una ogni 230 abitanti. Un primato nazionale. Benché infatti in termini assoluti Milano batta nettamente Firenze, la città lombarda si ferma al rapporto di una telecamera per 614 residenti (dati del 2022).
Ancora lontana per Firenze, tuttavia, una posizione d’eccellenza nella classifica globale che vede ai suoi vertici Mosca con una telecamera ogni 60 abitanti…
In effetti, in merito alla priorità della sicurezza (leggasi: securitarismo) i programmi di mandato del sindaco Nardella sono sempre stati chiari: il memorabile slogan delle “1000 telecamere” (punto 8) si sposava (e si sposa ancora) con “più forze dell’ordine”. Non meraviglia perciò che oggi il primo cittadino chieda a Roma duecento agenti per il “presidio territoriale”.
Ma a chi giova questa capillarità di controllo in una città desertificata e ingiusta, che offre ghetti a cinque stelle ai ricchi turisti globali, riservando alloggi di fortuna ai marginalizzati?
In “Sorvegliare e punire” Michel Foucault metteva in relazione – nell’ambiente carcerario –sistemi di controllo, potere e tecnica, metodi di punizione e di disciplinamento: ovvero come e quanto l’interiorizzazione di un onnipresente controllo abbia il potere di condizionare il comportamento, limitandone gli impulsi, disciplinandolo. Il filosofo riconosceva nel Panopticon, architettura radiale dal cui centro è possibile osservarne ogni ambiente, il tipo edilizio consono al sistema d’una sorveglianza prodromica alla punizione. Intuizione formale, quella panottica, cui pare alludere – ma forse inconsciamente – la vagheggiata smart city, agglomerato urbano governato da una “control room” a partire dagli stimoli registrati dai suoi terminali di controllo.
Le politiche urbane di segno neocapitalista attribuiscono dunque un ruolo di primo piano agli strumenti di controllo disciplinare, inflitti alle classi pericolose mentre un molle laissez-faire è destinato ai grandi player economici. Daspo urbano, zone rosse, militarizzazione dello spazio pubblico, illuminazioni stradali tipo carcere, videocontrollo: strategie adatte per sopperire alla mancanza di sicurezza sociale e ambientale, derivata principalmente dal sistema di violento accaparramento e rapina, attuato dalle stesse forze economiche che animano le politiche cittadine.
Chi ancora frequenta le strade di Firenze, prende atto quotidianamente della vera insicurezza, sociale e ambientale, e delle sue cause. Vuoto di residenti; precarietà abitativa di individui socialmente ed economicamente sfavoriti; drammatica contrazione di spazio pubblico e gratuito a disposizione della costruzione di relazioni sociali; inscalfibile (criminogena) penalizzazione delle droghe leggere; inciviltà alla guida in strade rese insicure dall’eterna cantierizzazione per le grandi opere; traffico automobilistico inesauribile. Eccetera.
Insomma, in una città dalla scarsa vivibilità per i ceti medio-bassi, dall’ecosistema atrofizzato, la formula “sicurezza, degrado e decoro” è assurta a mantra della comunicazione e delle pratiche istituzionali. Il securitarismo, sbandierato in luogo della sicurezza sociale e ambientale, che, a fronte di mai verificate “minacce”, induce nella cittadinanza nuove presunte necessità di protezione, costituisce una propaganda di sicuro successo. Da smantellare pezzo a pezzo.
Questo articolo è stato pubblicato su Per un’altra città il 9 gennaio 2023