Nonunadimeno, cronaca della grandiosa manifestazione di Roma

di Sabrina Magnani /
30 Novembre 2023 /

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Contro il patriarcato e per la libertà delle donne
quella marea che non si ferma

Il sole splende su Roma in questo sabato di fine novembre ed è forte, caldo e accecante, quasi stordisce, mentre cammino per via Cavour per raggiungere il Circo Massimo da cui partirà il corteo in occasione della Giornata internazionale contro la violenza alle donne che, mai come quest’anno, appare così tragicamente attuale. Già alle 13 prendere la metro è impossibile, con tutti i treni, anche quelli aggiunti in più, pieni. Il corteo inizia già dalle pensiline della metro: giovanissime e giovanissimi le affollano con un qualcosa di rosso addosso, un nastro, una sciarpa. Famiglie con passeggini in quella calca senza batter ciglio in attesa di salire sul prossimo treno. Cartoni e cartoncini di varie forme e grandezza con appelli a “educare i figli invece che a proteggere le figlie”, o con scritto in pennarello che “provare rabbia è un privilegio”.

I convogli arrivano già pieni e fermano più avanti. Niente. Inutile aspettare qui, meglio salire e farsela a piedi. Siamo in tanti e tante a risalire le scale della metro mentre rivedo scene di manifestazioni rimaste nella memoria: quelle per i diritti dei lavoratori o per la pace contro le guerre in Iraq dei primi anni del Duemila, e capisco che questa manifestazione è imponente come quelle. Ma non è solo la quantità delle persone, è la loro trasversalità che subito mi colpisce e che, procedendo spedita per via Cavour, mi si conferma. Ci sono almeno tre generazioni, ma vedo anche la signora con il deambulatore e c’è a fianco una giovane ragazza, molto probabilmente la nipote, con una bambina di pochi anni, la pronipotina.

Ci sono le giovani famiglie con figli e figlie al seguito, fidanzati con le fidanzate, signore ben vestite ed esponenti di centri sociali, tutte con un segno rosso sul volto. Il rossetto passa da uso estetico a uso politico per segnare quel sangue che troppe donne portano nel corpo e nell’anima.

Il sole di fronte quasi accieca e la sua luce è potente come la forza dei passi e dei volti che vanno diritti alla meta. Scorrono di fianco la scalinata di San Pietro in Vincoli mentre dalle strette strade adiacenti arrivano tanti altri rigoli di quel fiume che sempre più si amplia, fino a divenire una vera marea quando giungo in prossimità del Circo Massimo, già invasa da decine di migliaia di persone.

Al nostro fianco continua a scorrere Roma antica con la sua potente bellezza. Anche le arcate del Colosseo, sullo sfondo di un cielo azzurro intenso e nitido, quasi irreale, sembrano dare forza a quell’incedere, a quella presenza che si impone, con i suoi corpi di donne e di uomini, di ragazze e ragazzi che direttamente, senza alcuna mediazione, vogliono prendere posizione contro la cultura del dominio e della sopraffazione maschile; della denigrazione sessista, del machismo come unica cifra di un’identità in evidente crisi ma che certo non può risolversi nell’annientamento dell’altra.

La fiumana fatta marea riempie tutto intorno al Circo Massimo con centinaia di cartelli, di bandiere e bandane rosa e rosse, con cori contro il maschio predatore, contro l’amore “che se c’è un no è stupro”, che posso dirti di no anche se sono ubriaca perché ne ho il diritto senza che tu lo interpreti come un invito a impossessarti del mio corpo. “Fino all’ultimo posso dirti di no e tu devi capire che è un no e nient’altro”: lo ripetono quasi all’unisono gruppi spontanei, e la forza delle più giovani riesce a far sciogliere in un coro liberatorio anche le donne più attempate, mentre il rullo delle chiavi di casa fatte risuonare per vari minuti contagiano le sponde della cavea del grande spiazzo sotto la strada affollata.

Tra fumogeni rosa e il tintinnare forsennato delle chiavi simbolo dei luoghi dell’intimità e della convivenza in luoghi di mattanza echeggiano gli interventi, in fondo, delle esponenti del network di Nonunadimeno nel grande camion dove troneggia la scritta rosso fuoco “interruzione volontaria di patriarcato”. E quando inizia la sua risalita e il corteo dietro a esso si muove è un fiume potente, enorme, che si sposta lentamente ma senza fermarsi se non nel momento della performance delle murghe al suono profondo del tamburo.

Mentre il sole comincia a calare facendo brillare le chiome dei pini marittimi, il serpentone continua e risuona di mille cori, colori, suoni, libero di gridare “per chi non ha più voce”, libero di tingersi di rosa e ribadire che “le donne sono proprietà solo di se stesse”, che “il patriarcato ha le ore contate”, che “se le streghe sono tronate allora lo siamo tutte”, che “se una di noi viene toccata reagiamo tutte”, che “se non torno più a casa tu mamma distruggi tutto, brucia tutto”.

Perché nulla si deve tenere di un sistema fondato sulla forza, sull’incapacità di trattenersi a un no, di reggere umanamente a un no, di un dominio che investe ogni sfera della vita, privata e pubblica, dove non bastano le riforme per la parità di genere nei salari, per i nidi che aiutano le madri, per migliorare la sicurezza sui luoghi di lavoro frutto di un capitalismo che sa solo sfruttare il lavoro e specialmente quello delle donne. Perché non è un sano sistema sociale quello in cui non si accoglie, non si ascolta, non si dà legittimità all’empatia che sola può essere collante di socialità, che non garantisce l’autonomia anche economica delle donne così da renderle libere di decidere del loro presente e futuro. Ma soprattutto perché nulla si deve tenere di un sistema che non dà pienezza alla libertà totale delle donne e con esse di ognuno che ancora oggi viene tarato come diverso e come tale oggetto di discriminazione e di violenza.

È, in essenza, quello che si leva dal corteo grande come pochi altri degli ultimi decenni, un grande grido di libertà e di consapevolezza, che il transfemminismo impone per liberare un’intera società da tutti i suoi muri, dall’indifferenza che è complice, dalla violenza in ogni sua forma esercitata contro ogni donna, migrante, povera e povero; contro ogni essere che abbia solo “la colpa” di non essere considerato come soggetto di dominio.

È del tutto libera questa marea che non ha nulla di politico, se per esso si intende la rappresentatività istituzionale, ma lo è nella sua essenza, nel suo profondo, collettivamente e in ogni sua parte. Perché è il desiderio di una soggettività condivisa, che dal corpo fisico di ciascuna e ciascuno prorompe in corpo sociale che qui mostra tutta la sua unità e la sua capacità di rivoluzione.

È già quasi sera quando il serpentone svolta in via Laterana e si dirige verso piazza San Giovanni, pulsante di decine di migliaia di voci e di volti, di mani e pugni alzati, di canti intonati a tratti, di sguardi che si incrociano e si sorridono perché è chiaro che quello di oggi non è un grido isolato, ma una voce condivisa, una comunità forte e coesa, nelle sue mille sfaccettature, che rifiuta la violenza sessista e discriminante con tutta la sua forza. E che domani continuerà oltre queste strade, oltre queste piazze, con e oltre questi corpi e questi volti radiosi.

Immagine di copertina, profilo facebook Non Una Di Meno

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