Israele e Palestina, la guerra della disinformazione

di Giacomo Natali /
14 Ottobre 2023 /

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Negli scorsi giorni, Donald Trump Jr. è stato molto criticato per un tweet nel quale dichiarava di avere visto più immagini del conflitto israelo-palestinese in sole ventiquattro ore dall’attacco di Hamas, che in due anni di guerra in Ucraina: un’uscita intesa principalmente a sminuire il conflitto russo-ucraino. Ma in un certo senso non aveva torto: la quantità di immagini e notizie che si sono riversate sui nostri dispositivi nelle ore immediatamente successive all’offensiva al confine della Striscia di Gaza ha ben pochi precedenti nella storia dei media. C’è però un problema: moltissime di queste erano false.

Il controllo dell’informazione e della disinformazione svolge da sempre un ruolo cruciale nei conflitti, ma negli ultimi anni si sta assistendo a una particolare evoluzione in questo senso. Molti casi controversi si erano già visti proprio a partire dalla guerra in Ucraina. Ma l’attuale conflitto israelo-palestinese, hanno osservato molti esperti di fact-checking, come il giornalista della BBC Shayan Sardarizadeh, sembra avere aperto le cateratte di questo fenomeno in modo inedito: con un proliferare continuo di filmati di videogiochi di guerra rilanciati dai media come immagini reali, video risalenti a mesi o anni prima presentati come breaking news e account fasulli che riescono a spacciarsi per autorità legittime con una facilità inedita.

Tra i motivi principali di questa situazione c’è il crollo di affidabilità e di controllo interno da parte della piattaforma Twitter, oggi rinominata X. Il 7 ottobre, per esempio, ottiene milioni di visualizzazioni un video che esponenti della destra americana come Charlie Kirk e Ian Miles Cheong sostengono mostri membri di Hamas attaccare casa per casa abitazioni civili, quando si trattava in realtà un’operazione di forze speciali israeliane, facilmente identificabili dalle uniformi. Al contrario, anche media nazionali di primo piano hanno rilanciato diversi video di presunti bombardamenti israeliani compiuti a Gaza in risposta all’attacco, in alcuni casi con la distruzione di interi edifici: filmati risalenti in realtà a maggio di quest’anno e a maggio dell’anno precedente. Centinaia di migliaia di visualizzazioni anche per diversi video che secondo le fonti in questione avrebbero ritratto l’abbattimento di elicotteri israeliani da parte di militanti di Hamas oppure una nuova ondata di razzi verso Israele, che erano in realtà filmati tratti dal videogioco di simulazione militare Arma 3. Una situazione che già si era vista durante la guerra in Ucraina, con addirittura il caso di un ministro della Difesa e un generale impegnati a disquisirne in diretta televisiva sul principale canale televisivo rumeno, senza che nessuno sapesse riconoscere che si trattasse in realtà di un videogioco.

Il giorno successivo all’attacco, domenica 8 ottobre, si è diffusa un’altra tipologia di false notizie, legata alla facilità con cui sulla piattaforma è oggi possibile impersonare account ufficiali, con tanto di “spunta blu” che garantisce la legittimità dell’account: un tempo assegnata manualmente da un team di verificatori, mentre oggi per ottenerla basta il pagamento di 8 dollari al mese. Ecco dunque che in centinaia di migliaia riprendono la notizia, lanciata da un finto quotidiano israeliano, del ricovero in ospedale del presidente Netanyahu. Tantissimi seguono anche le dichiarazioni di Verona Mark, inesistente giornalista della BBC e in milioni credono alla firma da parte di Biden di un finanziamento d’emergenza di 8 miliardi di dollari verso Israele, mentre il documento in questione riguarda in realtà 400 milioni destinati all’Ucraina. C’è poi il caso del sedicente Dipartimento di relazioni pubbliche dei Talebani, sempre dotato di spunta blu, che diffonde con successo la notizia che il governo afghano avrebbe richiesto l’apertura dello spazio aereo dei Paesi confinanti per inviare rinforzi. Lunedì 9 ottobre, oltre a continuare tutto quanto visto in precedenza, assumono un particolare rilievo due altre tipologie di notizie false: quelle basate su immagini di conflitti in altri Paesi e quelle riguardanti presunti festeggiamenti per l’attacco di Hamas. Alla prima tipologia appartengono i video di un’esibizione di paracadutisti egiziani postata a settembre su TikTok e presentata su X come una nuova invasione in corso da Gaza. Oppure il recente arresto di leader armeni del Nagorno-Karabakh da parte delle forze azere, spacciato come la cattura di generali israeliani da parte di Hamas. Rappresentativo della seconda tipologia, invece, è il caso del post virale di una presunta enorme manifestazione a Chicago a sostegno delle azioni di Hamas, che ritraeva invece una manifestazione pacifica di sostegno alla Palestina del maggio 2021. Dopo tanto parlare dei pericoli dei deepfake basati sull’intelligenza artificiale, colpisce tra l’altro come questi casi mostrino quanto basti in realtà utilizzare vecchie immagini fuori contesto e inventare notizie senza alcuna fonte a supporto, senza necessità di particolari competenze o tecnologie. Una situazione perfettamente esemplificata da un altro post virale che ritraeva una vera dichiarazione del presidente turco Erdoğan, ma semplicemente sottotitolata con un testo completamente inventato, diffusasi senza freni tra i tanti non in grado di capire il turco.

Nessuno mette in dubbio che episodi simili o analoghi a quelli mostrati in molti di quei video possano essere davvero avvenuti. Ma la facilità e il successo con cui queste false notizie non solo si diffondono ma diventano talvolta dominanti è preoccupante e mette in discussione l’intera filiera dell’informazione, che ha l’enorme potere di influenzare l’opinione pubblica e dunque indirettamente anche lo svolgimento stesso dei conflitti. Altrettanto importante è sottolineare come questo non sia avvenuto solo su Twitter/X e che il fenomeno vada considerato molto più ampio, ma il caso della piattaforma di proprietà di Elon Musk ha appunto un significato e una gravità particolare. Pur avendo sempre avuto un numero di utenti basso rispetto alle altre piattaforme social, infatti, Twitter ricopre ormai da una quindicina d’anni un ruolo cruciale come fonte principale per chi si occupa di informazione: giornalisti, politici e altri influencer che hanno il potere di indirizzare la successiva conversazione pubblica. Un po’ come un mercato all’ingrosso di informazioni fresche, dal quale si rifornisce chi poi rilancia le notizie su altre piattaforme social, sui giornali o in televisione. Un fornitore talmente comodo, rapido ed economico che ha soppiantato, salvo poche eccezioni, quasi ogni altro metodo di raccolta delle informazioni. Dunque un guasto in quel punto della filiera finisce per colpire il mondo intero: come un’infezione capace di causare una pandemia disinformativa.

Alla già controversa dinamica attraverso la quale operano normalmente molti social media, va aggiunta in questo caso specifico anche una responsabilità diretta di Elon Musk, che dalla acquisizione della piattaforma nell’ottobre del 2022 ha smantellato ogni sistema di verifica dei contenuti. Musk interviene anche personalmente sulla piattaforma, come ha fatto anche in questi giorni, per esempio con un post nel quale suggeriva di informarsi sugli sviluppi della crisi a Gaza seguendo gli account @WarMonitors e @sentdefender: entrambi ampiamente riconosciuti come veicolo di disinformazione. Travolto dalle critiche, Musk ha cancellato il tweet e cercato di correggere il tiro, ma è evidente che queste fonti inaffidabili godano di una protezione e di una visibilità senza precedenti, anche per il fatto di essere privilegiati, da parte degli algoritmi di X, per la capacità di generare discussione, interesse e in definitiva traffico sulla piattaforma. In questi giorni, secondo la società israeliana di analisi on-line Cyabra, almeno il 20% degli account attivi sulla crisi sono fake, spesso neppure operati da umani, ma attraverso bot. In particolare su X e TikTok, ma anche sulle altre piattaforme.

Perché lo fanno? C’è chi ha motivazioni politiche e sfrutta le lacune di questo sistema. Per esempio molti account riferibili alla Russia hanno sostenuto notizie false di proprio interesse, come nel caso di fotografie usate per sostenere che Hamas fosse armata con armi ucraine. Così come altri casi riguardano il fronte opposto. Spesso però si rischia di girare a vuoto nel cercare una logica dietro a certe notizie fasulle, perché per molti utenti si tratta soltanto di un meccanismo per garantire un flusso di traffico verso i propri account, talvolta all’inseguimento della pura adrenalina del successo virale on-line, ma il più delle volte per interesse economico. Seminare il caos, paga.

Nel frattempo, situazioni già complesse nella loro realtà vengono presentate attraverso lenti distorte, rendendo sempre più difficile distinguere quale sia la situazione reale. Un po’ a sorpresa è intervenuta sulla questione la stessa Commissione europea, che ha inviato una lettera a Elon Musk, dandogli ventiquattro ore per affrontare questa criticità e minacciando in caso contrario una multa pari al 6% del fatturato dell’azienda o la sospensione del servizio in Europa. In attesa di sviluppi su questo fronte, che appare però improbabile possano essere davvero significativi, una responsabilità pesantissima cade nelle mani dei giornalisti e delle altre professioniste e professionisti dell’informazione. Che devono capire che un’era si è probabilmente conclusa ed è necessario sviluppare nuovi anticorpi, nuove metodologie, nonché nuove fonti più affidabili, per migliorare un ecosistema informativo fondamentale non solo per la democrazia, ma anche per la sicurezza globale.

Questo articolo è stato pubblicato su Atlante Treccani il 14 ottobre 2023. Immagine di copertina Nijwam Swargiary/Unsplash

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