Vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro: le buone prassi

di Maurizio Mazzetti /
1 Ottobre 2023 /

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Nell’articolo dedicato alla vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro si faceva osservare come le competenze dell’INL – Ispettorato Nazionale del Lavoro – cioè del principale soggetto che affianca le ASL sull’attività in materia, erano state dal luglio 2022 nuovamente estese a tutti i settori, anziché essere limitate all’edilizia e a poco altro; ma ciò non si era accompagnato con un rafforzamento degli organici degli ispettori tecnici, sì da vanificare nei fatti l’estensione: ad esempio, in Emilia Romagna gli ispettori tecnici erano 2 (due), una a Bologna ed una a Reggio Emilia. Con i consueti tempi dei concorsi pubblici, sono finalmente stati in questo 2023 assunti 800 ispettori tecnici, che stanno svolgendo un corso di formazione di sei settimane (https://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/comunicati/pagine/sicurezza-lavoro-assunti-800-ispettori-al-il-corso-di-formazione); né sul sito del Ministero del Lavoro, né su quello dell’INL sono presenti informazioni sulla futura distribuzione territoriale. Non è granché, ma è un timido passo avanti; vedremo come queste assunzioni influiranno sulla programmazione della vigilanza nel 2024.

Veniamo ora a parlare delle cosiddette buone prassi (o buone pratiche, per chi usa termini meno classicheggianti, ma i due termini sono di fatto sinonimi).

Il termine è adottato in molti settori produttivi, scientifici ed istituzionali (esempio, le troviamo inaspettatamente sul sito del CSM per l’analisi dei dati); qui ci limitiamo a parlarne per quel riguarda la sicurezza sul lavoro.

Le buone prassi sono definite, dall’articolo 2, lettera v) del TU 81/2008, come:

soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro

Ad elaborarle (e, auspicabilmente, a farle mettere in pratica …) sono soggetti privati come pubblici (regioni, INAIL), nonché gli organismi paritetici di cui all’articolo 51 del TU 81/2008. I detti soggetti pubblici, o meglio, oggi principalmente l’INAIL, le raccolgono, e la validazione come “buona prassi” è opera della Commissione consultiva permanente di cui all’articolo 6 del TU 81/2008, previa istruttoria tecnica dell’INAIL, incaricata poi anche della diffusione.

La Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha infatti elaborato un modello per la presentazione della candidatura alla “validazione” della buona prassi. Pur rinviando per maggiori dettagli al sito del Ministero del Lavoro (QUI), è da notare come detto modello presta particolare attenzione ad elementi, quali “Disponibilità, Trasferibilità, Coinvolgimento del personale” e soprattutto “Risultati raggiunti e attesi”; prevede anche strumenti ed indicatori per verificarne, ove validata o comunque adottata, impatto quanto a riduzione dei rischi e miglioramento delle condizioni di lavoro.

Si tratta quindi di strumenti tecnici ed organizzativi volontari, ulteriori e migliorativi rispetto agli obblighi normativi ai quali però devono attenersi, cui però il riconoscimento formale come buona prassi comporta alcuni vantaggi, peraltro non decisivi rispetto ad una semplice attuazione senza la validazione ufficiale:

  • la possibilità di usufruire dello sconto del tasso di Premio INAIL per prevenzione, di cui si è parlato trattando delle incentivazioni, in primo luogo (riduzione del tasso di premio dopo il primo biennio di attività utilizzando il relativo modulo di domanda, secondo le indicazioni riportate sul sito internet dell’INAIL stesso – vedasi l’apposito modello OT23);
  • un miglioramento dell’immagine aziendale nei confronti di clienti e stakeholders;
  • una chiamiamola pubblicità, o marketing, per i soggetti che le hanno elaborate.
  • Infine, è possibile ipoteticamente, ma con valutazione caso per caso, una qualche efficacia attenuante in caso di violazioni, senza peraltro raggiungere il valore di esenzione della responsabilità quella dei MOG e SGSL. Questi ultimi sono infatti sistemi assai più strutturati quando non certificati da soggetti terzi; tendenzialmente le buone prassi si caratterizzano per una minore complessità e minore vincolatività, quindi, almeno in teoria, più adatte alle imprese medie, piccole o piccolissime, che come è noto sono la maggioranza in Italia.

Va osservato peraltro che la definizione normativa delle buone prassi che pone il citato articolo 2 è più ristretta di quel che significa, in ambito europeo, l’espressione good practices: dal sito dell’Agenzia Europea per la sicurezza e salute sul lavoro, che gestisce anch’essa procedure di riconoscimento/validazione delle stesse (QUI) emerge che l’accezione europea del termine comprende anche altri strumenti volontari quali gli SGSL non certificati e le Linee Guida, di ben maggiore complessità e in Italia oggetto di definizioni e trattamenti diversi.

Ma più in dettagli, in che cosa consistono? Ci se ne può fare una idea recandosi sul sito (QUI)

Salta subito all’occhio che l’elenco di quelle validate è aggiornato …. al 2013 (?!); ne risultano in ogni caso validate 43, nei più diversi settori. Nella loro eterogeneità, ed anche assoluta originalità in qualche caso, alcune sono decisamente settoriali e verosimilmente di relativa ristretta applicabilità (ad esempio, rischi da polveri di farine, da attività witness svolte presso terzi, cioè assistenza tecnica a macchinari e impianti altrui, ribaltatori di bobine, check list di manutenzione macchine di testurizzazione, sicurezza sui pescherecci, applicazione sistemi con aghi di sicurezza, attività subacquee); altre ben più ampie e complesse, tali da avvicinarsi a veri e propri Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro, sia che coprano per intero un settore o un’attività (diverse sono quelle sicurezza nei cantieri edili, o in materia di formazione, generale o settoriale), sia riguardanti argomenti trasversali quali la valutazione complessiva dei rischi e la gestione delle emergenze.

Peraltro, non si può non osservare come ve ne siano anche in settori con connessione alla sicurezza sul lavoro meno stretta (cfr. Formazione, Responsabilità Sociale delle Imprese) quando non opinabile, (addirittura le differenze di genere, totalmente o parzialmente, a meno che non le si voglia ricomprendere tra i rischi psicosociali). E il parallelo con lo sconto INAIL per prevenzione, cui concorrono, ad esempio, anche certificazioni ambientali e corsi di lingua per lavoratori stranieri, è inevitabile.

Così poche? Qui iniziamo a muoverci in una certa nebbia. La Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro risulta ricostituita nel 2021 con successivi aggiornamenti nella composizione fino a maggio 2023. E’ composta da 40 esperti (titolari e analogo numero di supplenti), individuati da Ministeri, Enti, Regioni e parti sociali; l’elenco delle buone prassi validate, sulla pagina specifica dedicata alla Commissione, resta il medesimo di cui sopra presente sul sito del Ministero, quello aggiornato al 2013. Da qualche contatto informale con soggetti in passato variamente interessati dalle procedure di validazione, emerge che la Commissione stessa non sarebbe stata operativa per alcuni anni, per ragioni non esplicitate pubblicamente.

Quanto all’INAIL, nel proprio sito (QUI) compare un elenco aggiornato al gennaio 2020; ma esso contiene solo quattro ulteriori buone prassi, di cui tre risalenti al 2016 (e con qualche sospetto di duplicazione) ed una a gennaio 2020; nulla emerge circa l’eventuale attività della neocostituita Commissione. Viene da pensare che siano magari le richieste di validazione a latitare, verosimilmente, azzardo, perché il rapporto tra gli oneri della validazione stessa (modulistica apposita, relazioni, report ecc.), siano stati progressivamente valutati come sfavorevole rispetto ai benefici; e il numero progressivamente decrescente di buone prassi validate dopo il 2012 lo confermerebbe. Da parte sua l’INAIL nel 2019 emise un bando di concorso per buone pratiche per la sicurezza nei cantieri, prorogato al 2020, destinato a enti pubblici, imprese, coordinatori della sicurezza nei cantieri; sul sito (QUI) sono presenti le sette buone pratiche vincitrici (con premi monetari tra 5000 e 1000 euro, per aumentarne, sia pure modestamente, l’attrattività); ma non troviamo un elenco delle altre eventualmente presentate. E’ inoltre aperto un secondo concorso, con termini che scadono a dicembre 2023 (QUI).

Peraltro, le buone prassi (nel senso dell’art. 2 del TU 81) non validate, di fatto, sono assai più numerose; e per rendersene conto basta consultare i siti di Associazioni come l’AIFOS o l’AIAS, o consultare i programmi dell’annuale Fiera Ambiente e Lavoro; e per quel che vale, personalmente conosco un paio di tali “soluzioni organizzative e tecniche etc.” anche adottate in un certo numero di aziende, che non hanno neppure richiesto la bollinatura del Ministero, in un caso addirittura benché sollecitate a farlo.

Un’occasione perduta? Difficile dirlo; la mia impressione personale è che segnano certo un apprezzabile sforzo di miglioramento, ma che abbiano una diffusione “randomizzata”, pressoché casuale, attraverso un modello imitativo nel quale le agenzie pubbliche svolgono un ruolo essenzialmente di facilitatori. Non va dimenticato peraltro che simili procedure sono ormai generalizzate nelle grandi aziende, anche se non definite tali e magari non conosciute all’esterno, salvo quando non interessano fornitori e subappaltatori, situazioni diffuse nell’odierna struttura produttiva a filiere; e con ovvi legami a tutta la nota problematica della qualificazione di fornitori ed appaltatori, già attenzionata. Ad esempio, Amazon, come emerso in un convegno organizzato dall’INAIL Emilia Romagna lo scorso giugno, ha all’interno dei propri centri logistici un interessante sistema di gestione della sicurezza; sistema ovviamente che però si arresta appena si esce dal perimetro aziendale, sono note le condizioni in cui operano i corrieri. Ci sarebbe anche da ragionare sulla qualificazione dei soggetti appaltanti e delle condizioni in cui è possibile appaltare parte dell’attività: ma qui si sconfina nell’organizzazione aziendale e nel diritto del lavoro, elementi dei quali la gestione della sicurezza è solo un elemento, per quanto spesso (ci si tornerà) sottovalutato.

Infine, in assenza di dati sulla diffusione delle buone prassi, è ovviamente impossibile una valutazione complessiva sulla loro validità ed efficacia; parimenti, è altrettanto impossibile valutare oneri di adozione e mantenimento e relativo rapporto in termini di benefici (tagliando con l’accetta, maggior sicurezza, minori eventi lesivi, minori costi). Sarebbe possibile semmai, con tutte le cautele del caso, se esaminate una ad una e con un minimo di informazioni sulla loro effettiva messa in pratica quanto ad estensione e risultati; tutte informazioni che, se pure raccolte, al momento paiono restare nella disponibilità di chi le ha adottate. Ed è un peccato …

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