L’articolo pubblicato dal New York Times il 18 agosto 2023 rende nota una stima agghiacciante: nei 18 mesi intercorsi dal 24 febbraio 2022, data dell’aggressione russa all’Ucraina, la guerra ha provocato la morte o il ferimento di 500 mila soldati, nell’insieme delle due parti in conflitto. Dato pesantissimo che va aggiunto agli altri orrori conseguenti alla violenza distruttiva messa in campo: le vittime civili, gli esodi di massa, gli edifici distrutti, il terreno devastato, i danni ambientali, economici, finanziari, le limitazioni delle libertà e dei diritti.
Senza contare le intimidazioni nei confronti di giornalisti, semplici cittadini, intellettuali e pacifisti come Olga Karatch, bielorussa, e Yuri Sheliazenko, ucraino, i quali non condividono la logica dello scontro militare come unica ratio. Tra costoro molti chiedono il cessate il fuoco e le trattative, e sono solidali con i giovani delle due parti che vorrebbero praticare l’obiezione di coscienza.
Si deve registrare di fronte a tale e tanta sciagura il silenzio colpevole dell’Unione Europea. Nonostante l’enormità delle perdite umane e delle distruzioni sembra che l’interesse primario dei leader nostrani sia il business della ricostruzione materiale dell’Ucraina devastata e quello della vendita di armi, fra l’altro sempre più letali. Nessuno si cura più di tanto delle vite umane, cinicamente immolate sugli altari di calcoli geopolitici che trascendono l’area stessa nella quale infuria la guerra. Oggi al centro dell’interesse Nato più che il Mar d’Azov è il Mar cinese.
Troppo deboli le voci di chi ripensa con lucidità e onestà intellettuale a come è scoppiato e si è esteso questo ennesimo inutile scontro militare che ad oggi ha prodotto il macabro risultato di mezzo milione di vittime, una insensata, devastante esibizione muscolare da parte dei contendenti che fanno a gara per rivendicare di aver ucciso più uomini rispetto al nemico.
La posta in gioco pareva essere l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, operazione alla quale Mosca intendeva opporsi risolutamente, manu militari se necessario. Ed è quanto è successo il 24 febbraio 2022. Analoga e altrettanto irresponsabile la determinazione dello schieramento atlantista, risoluto a sostenere tale richiesta fino in fondo. Ma l’espressione fino in fondo significa – come emerso sorprendentemente al vertice Nato di Vilnius del mese scorso – rischiare la terza guerra mondiale, con armi nucleari questa volta.
E allora?
Risvegliati dal sonno della ragione i politici Nato deliberano di rinviare a data da destinarsi l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, sicuramente a guerra conclusa e vittoriosa contro l’esercito di Putin. Ma da chi sarà sconfitta la Russia visto che l’esercito ucraino, nonostante le tonnellate di armi ricevute, non sembra in grado di reggere lo scontro e dato che gli eserciti dei Paesi amici non possono intervenire direttamente?
Probabilmente si sapeva fin dall’inizio che si sarebbe arrivati allo stallo attuale. Qualcuno ha bluffato pur sapendo che era un gioco con la morte, trattandosi di possibile scontro nucleare. Anziché provocare centinaia di migliaia di vittime si poteva e si doveva adottare una paziente politica del confronto e della trattativa.
Ben diversa consapevolezza e singolare lungimiranza esprimeva vent’anni fa lo scrittore Tzvetan Todorov nel corso di un’altra guerra sciagurata, l’aggressione all’Iraq da parte dell’esercito Usa, guerra inutile e disumana come tante, per non dire tutte.
Profondo conoscitore dell’animo umano e della storia dei popoli, l’intellettuale bulgaro naturalizzato francese, all’alba del nuovo millennio scriveva pagine memorabili e profetiche sul “nuovo disordine mondiale”. Questo si andava profilando in seguito alla crociata promossa da George Bush contro gli Stati terroristi dopo l’attentato alle Torri gemelle del 2001.
Lasciamo parlare direttamente lo scrittore.
“E mai dimenticare che dietro a vocaboli astratti quali guerra, vittoria, liberazione, si nascondono corpi dilaniati e case distrutte. Ogni individuo è unico e insostituibile, la vita di ogni essere umano è senza prezzo; inserire il numero delle vittime previste in calcoli strategici è un’oscenità. Questi individui non vivono isolati, sono oggetto di amore per i loro prossimi, la cui vita sarà sconvolta per sempre: uomini e donne, padri e madri, figli e figlie, destinati a ripensare fino alla propria morte a quella di un essere che avevano caro più di tutto al mondo e che non ritornerà.
Qual è il dio impietoso che decide che un cambiamento di regime giustifichi il sacrificio di mille, diecimila o centomila vite e la sofferenza incancellabile di dieci volte tanti esseri a loro vicini?
Come ci si può allontanare fino a questo punto dalla comunità umana… per decidere come all’epoca di Hiroshima che un quarto di milione di vite umane è un prezzo ragionevole da pagare per affrettare la vittoria?
La separazione stessa fra vittime civili e militari diventa in questo caso artificiosa: che cosa sono questi soldati se non ragazzi che erano dei civili qualche mese prima e che sono destinati a ridiventarlo qualche mese più tardi?
Al di là del presente vi è il futuro: i feriti destinati a restare mutilati, malati, impotenti; i bambini condannati a crescere senza genitori, promessi all’amarezza, alla rivolta e ai sogni di vendetta.
Al di là degli esseri, vi è lo scenario di vita: le case, con tutto ciò che vi si è accumulato per anni, proiezioni dell’identità fuori di sé. Le vie e le strade che le congiungono. Edifici, campi e paesaggi trasformati in rovine, in terreni abbandonati, in spazi sventrati.
Ѐ questo, e tante altre sofferenze vissute da individui anonimi, che si accetta di considerare come quantità trascurabile quando si sceglie di raggiungere rapidamente il proprio scopo mediante la guerra anziché, lentamente, attraverso negoziati e pressioni.”[1]
[1] Tzvetan Todorov, Il nuovo disordine mondiale. Le riflessioni di un cittadino europeo, Garzanti 2003, p. 34.