Se n’è andato domenica, a 59 anni, Luca Di Meo. Aveva partecipato ai movimenti a cavallo della fine del secolo. Era stato parte attiva del Luther Blissett bolognese e poi della band di scrittori che alla fine degli anni Novanta aveva prodotto Q, il romanzo che sconvolse il panorama letterario italiano e aprì nuove rotte all’immaginario e alla politica dal basso.
Aveva fondato il progetto Wu Ming, uscendone per motivi personali nel 2008, in mezzo al guado dei romanzi Manituana e Atai, la rivoluzione d’oltreoceano e gli indiani d’America da una parte e il ritorno sulle tracce dell’esordio nel mezzo della battaglia di Lepanto dall’altra. «Uno di noi – cioè: uno del quartetto che scrisse Q – ‘non c’è più’ in quel senso lì. Anni di lavoro sul confine tra presenza e assenza, sull’esserci senza apparire, poi arriva quel senso lì», scrivono i Wu Ming salutando Luca su Giap, il sito che tiene insieme la galassia delle loro produzione e della comunità con la quale interagiscono.
A dare la notizia della morte è stato Christiano Presutti, compagno di Luca dai tempi delle scorribande post-situazioniste bolognesi e poi socio nel progetto Fútbologia. Si ponevano una sfida forse ancora più gigantesca di quelle precedenti: ribaltare la narrazione del calcio e sul pallone, sfidando spettacolo e speculazione sul terreno di gioco di una cultura popolare.
Con Luca perdiamo un’intelligenza sregolata e lucida, decisa ma travagliata come spesso accade a chi affronta a mani nude, con sincerità e generosità, le ingiustizie e l’asprezza dei tempi. Con uno dei suoi pseudonimi, sui social, è stato anche un poetico creatore di invettive feroci e liberatorie, un Robin Hood del vituperio artistico contro i nemici di sempre: sfruttatori e razzisti.
Chi scrive lo ricorda in un pomeriggio di una decina di anni fa, a tavola, in mezzo a una discussione sull’intreccio inestricabile tra movimenti sociali e controculture, tra marxismo eretico e underground, che aveva caratterizzato gli anni Ottanta-Novanta.
Eccolo appoggiarsi con la testa allo schienale, socchiudere gli occhi e abbandonarsi a un lungo flusso di coscienza, un monologo improvvisato che scorre senza intoppi in un crescendo cristallino, pronto per essere trascritto e messo in pagina. Racconta in forma di climax l’evolversi della pazza giornata del 5 luglio del 1984, quella dello sbarco a Napoli di Diego Armando Maradona, dall’alba al tramonto.
C’è tutto, in queste parole apparentemente fuori contesto: l’attraversamento di una città impazzita che sovverte le regole per incontrarsi in piazza; i festeggiamenti per un evento che non è ancora arrivato, la celebrazione di una cosa in potenza, di là da venire eppure già da celebrare; la temeraria sfida collettiva alla fortuna da parte di una città notoriamente scaramantica. A ben pensarci, è ciò di cui abbiamo bisogno per attaccare il presente e riprendersi il futuro.
Il saluto a Luca Di Meo, secondo le sue disposizioni, si terrà mercoledì a Bologna alla sala laica della Certosa dalle 10.30 alle 11.30. E dalle 11.45 alle 12.30 alla sala del commiato di Borgo Panigale.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 1 agosto 2023