Il lavoro deve essere sicuro #15

di Maurizio Mazzetti /
9 Luglio 2023 /

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Strumenti organizzativi volontari di gestione e miglioramento della sicurezza sul lavoro: gli SGSL /Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro)

Iniziamo a parlare oggi di quegli strumenti organizzativi, adottabili volontariamente, finalizzati non solo alla gestione, ma anche al miglioramento della sicurezza sul lavoro. Parliamo qui di quelli più strutturati, i cosiddetti SGSL, che possiamo definire sistemi organizzativi che integrano obiettivi e politiche per la salute e sicurezza nella progettazione e gestione di sistemi di lavoro e produzione di beni o servizi. Le aziende hanno a disposizione due strumenti volontari:

  1. le Bs Ohsas 18001:07, sostituite dalla ISO 45001 del 2018, con periodo di transizione fino a tutto il 2021.
  2. le linee guida Uni-Inail del 28/9/2001

Le prime rientrano nella più ampia famiglia delle certificazioni di qualità, cioè di sistemi di gestione certificati, circa adozione e corretta gestione mantenuta del tempo, da soggetti terzi, in Italia Accredia …, secondo norme internazionali sempre più diffuse a causa della crescente internalizzazione dell’economia e delle richieste di certificazione nelle catene di subfornitura. Ricordiamo di seguito alcune delle certificazioni più diffuse, che seguono, nella loro struttura, lo schema comune ISO (International Standard Organization), e che rende più facile, introiettate le relative mentalità e cultura organizzative, l’adozione contemporanea anche di più certificazioni.

  • ISO 9001 – sui processi operativi “core” e processi di supporto,
  • ISO 14001 – sulla gestione ambientale,
  • ISO 22301 – assicurazione sicurezza e continuità operativa nelle emergenze,
  • ISO 26000 – guida alla cosiddetta responsabilità sociale dell’organizzazione,
  • ISO 37001 – sistemi di gestione per la prevenzione della corruzione

Perché dotarsi di un SGSL? Gli studi dimostrano ormai con sufficiente affidabilità che la maggior parte di infortuni e malattie professionali ha una causa, o almeno una concausa, organizzativa, su cui intervengono appunto gli SGSL. 

  1. consente la riduzione di infortuni e malattie professionali recentemente confermata da un recente studio dell’Inail (cfr. tabella successiva); sui costi ci si riserva un approfondimento in altra sede;
  2. consente di accedere alla richiesta di riduzione del tasso di premio INAIL per prevenzione (cfr. il relativo, precedente articolo)
  3. come previsto dall’articolo 30 del Decreto Legislativo numero 81/2008 ha efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni di cui al Decreto Legislativo numero 231/01 (rimando anche qui alla precedente trattazione)
  4. i costi per l’adozione di una SGSL costituiscono uno dei possibili Assi di finanziamento dei bandi ISI, sollevando parzialmente le aziende dai relativi oneri

 Vediamo i seguenti dati, organizzati in base ai 10 Grandi Gruppi in cui è strutturata la vigente Tariffa dei Premi INAIL

 TariffaSettori  If* (%)               Ig** (%)
0Servizi– 21– 15
1Pesca, Alimenti, Agricoltura    0    0
2Chimica, Plastica, Carta, Pelli– 26– 45
3Edilizia– 33– 42
4Energia, Acqua, Gas– 32. 33
5Legno– 34-73
6Metallurgia, Macchine– 6– 18
7Mineraria– 43– 51
8Industrie Tessili– 64– 40
9Trasporti, Magazzino– 13– 32
 
Dati in complesso

– 27

– 35

NB: * If=Indice di frequenza – ** Ig=Indice di gravità

Altri dati, su base campionaria e con maggior dettaglio, ma risalenti al 2018, si trovano all’indirizzo https://www.inail.it/cs/internet/docs/all-quaderno-osservatorio-accredia-2018.pdf; da esso emerge che, complessivamente, l’indice di gravità medio delle aziende certificate oggetto dell’indagine, rispetto alle aziende non certificate, si colloca intorno ad un -40%, risultato quindi di tutto rispetto

Per una sintetica esposizione di struttura, contenuto e storia di tali certificazioni rinvio all’allegato: qui mi limito a ricordare che la normativa ISO 45001 è applicabile, almeno in linea teorica,  a qualsiasi organizzazione indipendentemente dalle sue dimensioni, tipo e attività, anche se la realtà è ben diversa. È applicabile in ogni caso ai rischi legati alla sicurezza sul lavoro che restano sotto il controllo dell’organizzazione, tenendo conto di fattori come il contesto in cui opera l’organizzazione e i bisogni e le aspettative dei suoi lavoratori e delle altre parti interessate, stakeholders nell’inglese dei consulenti. Ovviamente, l’efficacia sui rischi psicosociali è assai variabile, in dipendenza del peso dei fattori di contesto esterni all’organizzazione.

Quante sono, allora, le aziende certificate in Italia?

I dati complessivi aggiornati a marzo 2023 (dell’Ente italiano di Certificazione, Accredia, https://services.accredia.it/ppsearch/accredia_stats_reserved_2.jsp?ID_LINK=1755&area=310&date=20234&type=Norma&groupby=aziende&submit=Cerca) danno poco meno di 85.784 aziende certificate con almeno una certificazione di qualsiasi tipo, di cui 10.464 con una certificazione ISO 45001; (Accredia censisce aziende che arrivano ad averne 12; si tenga presente che le certificazioni sono periodicamente revisionate e si possono perdere). 

Sono, in ogni caso, poche,  se si considera che secondo i dati ISTAT nel 2021 in Italia risultavano attive circa 1,5 milioni di imprese con almeno un dipendente, (https://www.istat.it/storage/settori-produttivi/2023/Capitolo-3.pdf, (su circa 3,5 milioni di aziende complessive), e con un ordine di grandezza attuale sostanzialmente invariato.

È possibile individuare le ragioni di una simile, scarsa diffusione? 

Intuitivamente, anche in base ad un sommario esame di struttura, documentazione e requisiti dei sistemi certificati ISO 45001, l’adozione degli stessi richiede una organizzazione aziendale di certe dimensioni e complessità, difficile quando non impossibile da assicurare nelle imprese di minori dimensioni, che sono in Italia la stragrande maggioranza. Già si è parlato delle difficoltà a adottare quel minimo, basico SGSL che disegna l’attuale TU 81/2008, basico perché qualsiasi Sistema di gestione, certificato o meno che sia, presuppone in partenza il rispetto della normativa obbligatoria. Vi furono, in passato, tentativi, anzi sperimentazioni anche di un certo respiro, di realizzare e adottare SGSL semplificati per le aziende di minori dimensioni, anche senza arrivare ad una certificazione di Accredia, con attestazioni/asseverazioni rilasciate da altri soggetti, di solito Enti bilaterali. Ma non si estesero, per difficoltà intrinseche, e perché nelle catene di subfornitura ciò che conta sono le certificazioni rilasciate da soggetti terzi (sempre più spesso richieste contrattualmente, specie in settori ad elevato contenuto tecnologico), quando non sono le imprese di maggiori dimensioni a qualificare i fornitori secondo propri sistemi. Ma non mi risulta (ma posso, e anzi vorrei, sbagliarmi) che tali qualificazioni pongano particolare attenzione alla sicurezza sul lavoro assicurata dal fornitore.

Non può essere poi trascurato l’aspetto dei costi delle certificazioni, proporzionali a dimensione e complessità dell’organizzazione, ma con una soglia minima relativamente elevata: per i consulenti che aiutano la costruzione e implementazione del sistema (audit esterno), per il soggetto certificatore che verifica e certifica, quelli interni, sia in fase di implementazione, sia per il mantenimento; si tratta in particolare di costi del personale adibito all’attività.

Il sistema marcia poi nella cultura e nei comportamenti di chi nell’organizzazione lavora: e certo flessibilità estrema, precarietà, esternalizzazioni, delocalizzazioni, politiche delle risorse umane “rapaci”, massimizzazione del valore per gli azionisti nel breve periodo anziché del valore dell’azienda nel medio lungo, non aiutano certo. Se è vero che un SGSL è un investimento che ben si ripaga, come tutti quelli in sicurezza sul lavoro, è altrettanto vero che non tutte le organizzazioni/aziende possono permetterselo, pur magari volendolo. Ma se detti SGSL, come tutte le certificazioni, restano una mera sovrastruttura di adempimenti, l’obiettivo è mancato.

Due parole, infine sulle Le linee guida Uni-Inail, risalenti al 2001 vigente ancora il D. Lgs. 626/1994, e per le quali, peraltro, non ho trovato dati numerici sulla diffusione (Uni-Inail (https://www.inail.it/cs/internet/attivita/prevenzione-e-sicurezza/promozione-e-cultura-della-prevenzione/sgsl/uniinail.html).

Esse costituirono forse il tentativo più strutturato, pionieristico in un certo senso (sei anni prima delle BS Ohsas 18001: 07), di andare oltre il mero dettato normativo senza ricadere nei costi e rigidità dei sistemi certificati, costituendone semmai diciamo in preparazione. Riproduco quanto si legge sul sito dell’INAIL:

Si tratta di un documento di indirizzo alla progettazione, implementazione e attuazione di sistemi di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro, rivolto soprattutto alle Pmi che caratterizzano il sistema produttivo italiano. Nello spirito della volontarietà della adozione di SGSL, vogliono essere un valido aiuto nei confronti delle aziende e dei consulenti aziendali.

Queste linee guida, pubblicate da Inail in accordo con le Parti sociali e l’Uni, hanno validità generale e la loro applicazione va modulata sulle caratteristiche complessive dell’impresa che intende adottarle; non sono destinate alla certificazione (né all’uso ai fini della vigilanza da parte degli organi istituzionali) e quindi, qualora un azienda voglia certificare l’adozione del proprio sistema di gestione, il riferimento corretto diventa la norma Bs Ohsas 18001:07 (oggi, ISO 450001) “ La struttura delle linee guida Uni-Inail ricalca quella del ciclo di Deming ed è sovrapponibile e integrabile con altri sistemi gestionali (Iso 9000 per la qualità, Iso 14001 per l’ambiente, ecc.).”

Dette Linee di indirizzo si dettagliano con riferimento a specifici 12 comparti produttivi; per i curiosi,  https://www.inail.it/cs/internet/attivita/prevenzione-e-sicurezza/promozione-e-cultura-della-prevenzione/sgsl/modelli-applicativi.html

Infine, una considerazione comune agli SGSL certificati e alle Linee Guida, ben presente a tutti gli addetti ai lavori che si trovano ad operare per consulenze, rilasci e verifiche: tutti questi sistemi si prestano ad essere realizzati solo sulla carta. È ben possibile produrre ed esibire tutta la documentazione necessaria, ma non realizzare, nei fatti, il sistema, lasciando il tutto a livello di mero adempimento formale, a livello appena più elevato che l’avere le carte a posto circa la normativa obbligatoria, senza che il SGSL penetri nelle teste e nei comportamenti di chi lavora nell’organizzazione. Non so se questa è problematica comune a tutte le certificazioni di qualità; posso dare però una testimonianza personale. Nel 2005 ero responsabile di una unità organizzativa territoriale INAIL facente parte di un gruppo (una sede per regione) destinato ad un progetto di certificazione dell’attività secondo la norma ISO 14001 (progetto poi non esteso, e poi superato da modifiche organizzative interne che ne avrebbero richiesto una riscrittura integrale). Bene, si fece tutto quanto richiesto circa documentazione ed attività, superammo audit interni ed esterni pre-certificazione, e conseguimmo nel 2006 l’agognata certificazione, con anzi i complimenti dei certificatori allo staff di direzione che aveva condotto l’operazione. Personalmente, io rimasi invece dell’idea che ci fossimo piuttosto venduti bene, ma che il sistema fosse rimasto tutto alla superficie: fossi stato un certificatore, non avrei certificato nulla al primo colpo, e richiesto ben altro.

A proposito di strumenti volontari, esistono altre Linee Guida tecniche, di contenuto appunto più tecnico, che fanno riferimento in particolare alle funzioni svolte dall’Ispesl prima del suo assorbimento da parte dell’INAIL nel 2010; vi sono poi le cosiddette Buone prassi, ed altri strumenti. Ma di tutti questi, ad un prossimo articolo.

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