Rojava: la prima rivoluzione del nuovo secolo viene dalla Siria. Intervista a Saleh. M. Mohammed

di Mosè Vernetti /
21 Giugno 2023 /

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Parla il leader del Partito dell’Unione Democratica: “Il governo italiano, come quello degli altri paesi europei, dovrebbe comprendere appieno che quanto accade nella nostra regione ha un impatto rilevante sulla stabilità e la sicurezza tutta l’Europa. Se qui ci fosse una regione stabile e sicura, nessuno dovrebbe scappare verso l’Europa”.

Dal 2015, in un angolo di terra schiacciato tra Iraq e Turchia, ha preso vita l’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES). Siamo in Siria e più precisamente in Rojava, quel territorio autogovernato e de facto indipendente, nel quale a partire dalle rivolte contro il regime di Assad nel 2011, è nato un progetto di democrazia confederalista, da molti definita la prima “rivoluzione” del nuovo secolo. Sono stati i Curdi siriani ad animare questo processo, condividendo con tutte le altre etnie che abitano il territorio la necessità di autodeterminarsi e di unirsi in risposta all’oppressione prima, e all’abbandono dopo, del regime di Assad. Si tratta di un processo di attivazione democratica dal basso dove il potere politico, economico e giudiziario sono decentralizzati, dove ogni carica istituzionale, dal livello locale a quello provinciale, è presieduta sia da un uomo che da una donna.

Questo straordinario processo politico nasce in un contesto di estrema difficoltà: la guerra contro il regime di Assad e le milizie sostenute dall’Iran; la guerra contro lo Stato Islamico (Isis/Daesh); le continue aggressioni dell’esercito della Turchia contro le milizie curde.  Subito dopo la sconfitta di Daesh sul territorio, portata avanti in primis dall’esercito di difesa del popolo curdo (YPG e YPJ-l’unità di protezione delle donne), sono cominciati gli attacchi e le violenze da parte della Turchia. Oggi l’AANES amministra un terzo del territorio siriano, ed è abitato da oltre 6 milioni di persone.
Di recente sono stato in Rojava per conoscere questa esperienza da vicino ed è li che ho incontrato Saleh Muslim Mohammed, leader del PYD (Partito dell’Unione Democratica) primo partito del Rojava, ed espressione politica delle formazioni combattenti delle YPG e delle YPJ.
Dal 14 febbraio del 2018 il Ministero degli interni della Turchia ha posto sulla sua testa una taglia di 4 milioni di lire turche (all’epoca circa 1.5 milioni di dollari). Con lui discutiamo soprattutto delle conseguenze della recente rielezione di Erdogan sulle sorti del Rojava.

Recep Tayyip Erdogan ha vinto le ultime elezioni presidenziali in Turchia. La sorprende?
Lo abbiamo detto molte volte nei mesi scorsi e prima le elezioni: nella storia non si è mai visto un regime autoritario rimosso dal potere attraverso delle elezioni. Se Erdogan avesse immaginato di poter perdere il suo potere, non avrebbe indetto le elezioni dello scorso 14 e 28 maggio. Erano sicuri di poter vincere grazie alle loro estorsioni. Erdogan è rimasto al potere non grazie a delle elezioni democratiche, ma grazie alla pressione e alla manipolazione del suo partito sulle persone ed ai seggi.

Qual è il rapporto fra la storica questione curda e il confederalismo democratico?
Esiste una nazione curda, ed esiste uno spazio geografico denominato Kurdistan, diviso tra Turchia, Iran, Siria e Iraq. La porzione più grande, il Kurdistan del Nord, è in Turchia, da sempre oppressiva con i curdi. Il trattato di Losanna del 1923, che definì i nuovi confini dei quattro stati, stabilì che non si sarebbe dovuta creare una nazione curda. I curdi nel Rojava,nel Nord-Est della Siria, ritengono che la soluzione della questione curda possa manifestarsi attraverso l’espansione del modello di democrazia radicale che stiamo implementando ormai da otto anni, e attraverso il quale oggi amministriamo un terzo del territorio siriano. Fino ad oggi non si è trovata una soluzione perché nessuno di questi quattro stati è veramente disposto a democratizzare la propria società. Dopo cento anni di divisione la soluzione alla questione curda dovrà probabilmente fare riferimento allo specifico contesto degli stati che si dividono il territorio curdo. In Siria siamo determinati a espandere il nostro modello democratico e confederalista in tutto il paese, a favore di tutti i cittadini e delle etnie che compongono questo stato. Lo stesso dovrebbe accadere negli altri paesi. In Rojava oggi il nostro partito sta conducendo e facilitando il progetto confederalista, che non riguarda solo i cittadini curdi. L’Amministrazione del Nord e dell’Est della Siria garantisce la piena coesistenza fra tutte i popoli le etnie presenti nella regione: curdi, arabi, assiri, yazidi, turkmeni, armeni. 

Come nasce il suo partito e quale ruolo ha avuto nella costruzione del progetto confederalista?
Il PYD è stato fondato nel 2003 e da allora abbiamo promosso un’idea ed un progetto di “democrazia radicale”, dove tutte le persone sono parte attiva e determinante dei processi politici e decisionali. Difendiamo da sempre questi principi, ancor prima delle rivolte del 2011. Da allora, dopo che il regime siriano ha abbandonato la Siria del Nord-Est, abbiamo avuto l’opportunità di implementare il progetto confederalista.
Nel 2011 le nostre istituzioni hanno annunciato di separarsi dal regime di Assad per autogovernarsi e autodeterminarsi. Oggi abbiamo costituito tre cantoni (Al Jazeera, Afrin e Kobane) e altre quattro provincie. Più e più persone si stanno unendo all’AANES perché il progetto offre una piattaforma libera e non imposta violentemente da un potere statuale, e in più riconosce il diritto di tutte le minoranze ad autodeterminarsi e dare il proprio contributo all’esistenza dell’amministrazione stessa. Stiamo riuscendo a vivere insieme democraticamente.


Democrazia radicale e democrazia liberale, cosa cambia?
Le istituzioni dell’amministrazione autonoma sono decentralizzate. Le decisioni politiche prese dall’alto sono il risultato della partecipazione dei Consigli Civili. I Consigli dei Cantoni e delle Provincie lavorano in base alle necessità che emergono dal basso. Tutti partecipano alle scelte politiche del paese e tutti contribuiscono cambiamento della società.

Cosa minaccia maggiormente la sopravvivenza del Rojava e dell’Amministrazione del Nord e dell’Est della Siria, specialmente da quando l’attenzione globale si è spostata da questa regione alla guerra in Ucraina?
Abbiamo diverse sfide. Questo è un progetto democratico davvero sofisticato che richiede il cambiamento della mentalità delle persone. Il lavoro più difficile è quello culturale interno per convincere le persone che il modello confederalista rende tutti più liberi nelle differenze. A livello esterno abbiamo minacce da tutti i lati. Il regime siriano è sempre stato una dittatura e non è in grado di accettare un progetto democratico sulla propria terra. La Turchia è spaventata perché teme che la società turca sarà influenzata dalle nostre idee e in più non accetta il fatto che questo progetto ha come forza trainante la minoranza curda. Lo stesso vale per l’Iran, un regime assolutistico dominato dal radicalismo islamico.

Com’è cambiato il rapporto tra curdi e Turchia negli ultimi anni?
Lo stato fascista turco non è mai stato amico dei curdi, non ha mai accettato di costruire davvero uno stato democratico, e non è mai stato pacifico nei nostri confronti. Oggi per la Turchia noi del PYD siamo un’organizzazione terroristica. Nel 2014, mentre noi combattevamo e sconfiggevamo Daesh a Kobane, loro hanno sempre sostenuto le milizie jhadiste in tutta la Siria, offrendo anche supporto logistico dal territorio turco. Hanno sempre sperato nel successo di Daesh e dello stato islamico per sconfiggere i curdi e appropriarsi della nostra terra.

L’aggressività della Turchia Potrebbe peggiorare in futuro?
Forse. Attualmente la Turchia sta vivendo una pesante crisi economica, e tale crisi è anche connessa alla guerra che Erdogan sta conducendo contro i curdi. Tutto ciò sta causando grosse perdite economiche e la loro posizione di sta indebolendo. La continuazione di queste operazioni militare dipenderà anche dalla sua posizione all’interno della NATO. La Turchia viola regolarmente i due cessate il fuoco firmati con USA e Russia, bombardandoci con i droni e uccidendo civili indiscriminatamente.

Qual è la situazione degli sfollati interni e dei rifugiati e qual è il ruolo del paese che da anni ricatta l’Europa nella crisi umanitaria che state affrontando?
Abbiamo centinaia di migliaia di sfollati che si dividono fra gli oltre venti campi sul nostro territorio e le città del Rojava. Soltanto da Afrin sono recentemente fuggite dalle 300 alle 400 mila persone a causa degli attacchi turchi. Nessuno si sta curando di questi sfollati e l’AANES è stata lasciata sola dalla comunità internazionale. Invece per i rifugiati che scappano verso il Libano e la Turchia, i paesi ospitanti ricevono aiuti consistenti. La Turchia sta ricevendo ingenti somme di denaro che non sta spendendo per l’accoglienza, e gli stessi fondi vengono spesso utilizzati per dare ospitalità ai terroristi islamici. I jihadisti di Daesh scappati in Turchia sono stati usati come mercenari dalla stessa Turchia in Libia, Azerbaijan e in altri contesti. Il governo turco riceve aiuto dalla UE e dalla comunità internazionale, spendendo somme ridicole per i rifugiati. Noi condividiamo semplicemente il nostro pane con gli sfollati e i rifugiati, senza un vero supporto finanziario. È una situazione miserabile e intollerabile.

Nel campo di Washokany ci è stato raccontato che il regime di Assad impedisce il supporto internazionale per i rifugiati e gli sfollati interni in Rojava.
Questo è un altro problema. Gli aiuti dalla comunità internazionale sono gestiti dal regime di Assad (che è tuttora il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite). Tutto ciò che viene fatto per affrontare l’enorme crisi umanitaria viene implementato dal regime di Damasco, che non fa arrivare nessun tipo di finanziamento nella nostra regione, nonostante viva 1/3 della popolazione siriana. Il regime blocca tutto: finanziamenti, visitatori, giornalisti.

Qual è il suo messaggio ai leader europei sulla perdurante crisi siriana?
L’Europa dovrebbe fare i conti con la realtà dei fatti. In questa area del mondo vengono perpetrati numerosi crimini contro l’umanità. Tutti rimangono in silenzio perché la Turchia è un membro della NATO ed è economicamente fondamentale per l’Occidente. Per i giornalisti è diventato molto difficile venire qui a testimoniare i crimini che la Turchia e il regime di Assad continuano a commettere. Chiediamo all’Europa di aprire gli occhi e prendere delle decisioni coraggiose. Noi siamo parte della comunità umana. Se davvero ci fosse interesse ad un futuro democratico per il Medio Oriente, dovrebbe essere riconosciuto il fatto che la nostra amministrazione, qui nel nord della Siria, ha diffuso alcuni tra gli unici “semi” per la democrazia nell’intera regione. L’Europa dovrebbe aiutarci anche nel suo interesse.

Ma non c’è soltanto “chiusura degli occhi”, pensi soltanto alle dichiarazioni del Ministro Lollobrigida sulla sostituzione etnica…
Gli Stati europei dovrebbero capire che se c’è una parte della Siria stabile e democratica è grazie all’AANES. Se riuscissimo ad implementare il nostro progetto democratico nel resto del paese, le persone costrette a scappare sarebbero molte meno. E ciò che stiamo provando a fare qui è di creare le condizioni per permettere ai cittadini siriani di tornare dall’Europa. I paesi europei dovrebbero investire di più sul nostro esperimento supportandoci con convinzione. Non vogliamo che le persone fuggano in Europa recidendo per sempre il legame con la loro terra. Ma senza una pace duratura l’esodo continuerà.

Alcuni politici in Italia direbbero “aiutiamoli a casa loro”…
La Turchia usa i rifugiati e ricatta l’Europa. E ciò è sotto gli occhi di tutti.

L’amministrazione USA ha dichiarato che le loro truppe rimarranno sul vostro territorio finché Daesh non sarà sconfitto. Quale è la sua opinione su questo tema?
Daesh è stata sconfitta geograficamente, ma ci sono ancora “milizie dormienti” in molte aree della regione, e in particolare in Turchia. Se gli americani volessero davvero sconfiggere Daesh, dovrebbero smettere di finanziare e supportare la Turchia. L’anno scorso c’è stata una fuga di massa dalla prigione di Al-Hasakah e centinaia di ex combattenti dell’ISIS sono fuggiti in Turchia. Abbiamo numerose informazioni di intelligence che confermano la partecipazione diretta della Turchia nella pianificazione di questi attacchi.

Che cosa succede con le famiglie dei combattenti dell’ISIS ancora presenti nella vostra regione?
Nel campo di Al-Hawl, a poca distanza da qui, si trovano ancora decine di migliaia di famiglie dei combattenti del cosiddetto stato islamico. La comunità internazionale dovrebbe fare molto di più per far tornare i bambini e le madri nei loro paesi. Stiamo parlando di oltre 40 paesi di tutto il mondo, che nella maggior parte dei casi provano il totale disinteresse all’intera vicenda. Rimanendo in questi campi, i bambini continuano ad essere ideologizzati dalle loro madri sulla cultura dello Stato Islamico e potrebbero essere una minaccia in futuro. Se i paesi di origine se ne disinteressano e ci lasciano da soli a gestire questa crisi, prima o poi esploderà.

Che succede invece sul fronte degli ex-combattenti di Daesh?
Abbiamo nelle nostre prigioni oltre 12.000 combattenti che a provengono da 30-40 paesi differenti. Dovrebbero essere processati, e le Nazioni Unite dovrebbero occuparsene, istituendo un Tribunale Speciale ad hoc. Noi da soli non possiamo gestire tutti i processi. Abbiamo tanti terroristi di origine europea, e ce ne stiamo occupando da soli. Questo è un problema più grande di noi e riguarda tutta la comunità internazionale.

Poco prima delle elezioni in Turchia, la Siria di Assad è stata riammessa nella Lega Araba. Che impatto ha sulla regione tale scelta?
I paesi della Lega Araba hanno normalizzato le relazioni diplomatiche e politiche con Assad, soprattutto perché, nonostante 12 anni di conflitto interno, il suo governo non è collassato. Noi abbiamo rapporti con i paesi della Lega Araba e gli abbiamo fatto sapere che se vogliono ristabilire una relazione con il popolo siriano, devono obbligare il regime a fare delle vere riforme nel paese. Assad senza pressioni non cambierà. L’AANES è l’unica vera alternativa democratica ad Assad per il governo dell’intero paese. Purtroppo, Siria, Turchia e Russia condividono pienamente soltanto su una cosa: quella di cancellarci e di far collassare la nostra amministrazione. E non hanno un piano per i milioni di rifugiati con cui Erdogan ricatta l’Europa.

Ha qualcosa da dire al governo italiano?
Si, il governo italiano, come quello degli altri paesi europei, dovrebbe comprendere appieno che quanto accade nella nostra regione ha un impatto rilevante sulla stabilità e la sicurezza tutta l’Europa. Se qui ci fosse una regione stabile e sicura, nessuno dovrebbe scappare verso l’Europa.
Siamo pronti a cooperare insieme per far ritornare i rifugiati nelle loro case. Nel territorio dell’AANES vivono democraticamente oltre sei milioni di persone, dovremmo essere interlocutori diretti dei paesi europei. Infine, la Turchia dovrebbe essere messa in mora per il supporto che ha fornito a ISIS.

Questo articolo è stato pubblicato su Micro Mega il 21 giugno 2023

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