Secondo quanto anticipato nel precedente articolo, in questa rubrica oggi si sarebbe dovuto parlare di Incentivi alle imprese per la sicurezza sul lavoro – Realizzazione di progetti prevenzionali in regime di compartecipazione con altri soggetti pubblici o privati titolati.
La cronaca, purtroppo, ci dà notizie di cinque infortuni mortali avvenuti in Italia giovedì 25 maggio, e, al momento in cui scrivo, oggi 26 maggio di altri due (che non rientreranno nelle statistiche INAIL in quanto accaduti uno ad un privato, ed il secondo ad un pensionato, a meno che non si dimostri che l’attività che quest’ultimo stava svolgendo non era gratuita ma in qualche modo assimilabile ad un rapporto di lavoro; e di cui quindi non parlerò). Accantono quindi per ora i progetti prevenzionali finanziati o cofinanziati dall’INAIL, e parlerò di questi eventi mortali. Perché, impatto emotivo a parte? Perché dalla pur necessariamente sommaria analisi delle circostanze di questi eventi, come sono riportate dai dispacci di agenzia, risultano confermate due affermazioni che, come forse qualcuno ricorderà, si fecero all’apertura di questa rubrica:
- Un infortunio è sempre evitabile
- La stragrande maggioranza degli infortuni è causata da comportamenti sbagliati, siano essi commissivi o omissivi; quindi, è su questi che devono focalizzarsi prevenzione e formazione.
Per ciascun evento, riporterò di seguito la descrizione fattane dall’agenzia ANSA, cui seguiranno alcune considerazioni.
“Un 25enne, Abdul Ruman, originario del Bangladesh è morto oggi pomeriggio (ieri …) all’ospedale Niguarda per le ferite riportate stamani in un infortunio avvenuto alla Crocolux, un’azienda che si occupa della produzione di accessori in pelle a Trezzano sul Naviglio (Milano). L’operaio era al suo primo giorno di lavoro ed è rimasto schiacciato sotto un pesante macchinario. Sull’infortunio la Procura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo e ha disposto l’autopsia. Oltre al sequestro del macchinario, le indagini dovranno appurare se il giovane aveva un regolare contratto. Secondo una prima ricostruzione, l’operaio durante lo spostamento di un macchinario, avvenuto alle 8.30 circa con il supporto del personale di una ditta esterna, è rimasto schiacciato e ha riportato un trauma cranico e toracico e ferite a una gamba e a un braccio. In elicottero è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Niguarda di Milano dove nel pomeriggio è morto.”
Questo evento è una piccola summa dei più frequenti elementi critici che possono portare ad un infortunio. La vittima era al suo primo giorno di lavoro, quindi certo non aveva fatto ancora alcuna formazione, né aveva esperienza. Ed era straniero, quindi forse anche con qualche difficoltà di comprensione della nostra lingua; non è certo avesse un contratto di lavoro regolare (non mi meraviglierei se fosse completamente in nero, e magari reclutato per quel solo giorno dalla ditta esterna incaricata dalla movimentazione). Abbiamo poi l’intervento di una ditta esterna per l’esecuzione di una attività non ordinaria, quale quella di movimentazione di un macchinario: evidentemente, qualcosa non ha funzionato, sia nella valutazione dei rischi da interferenze, quelli che dovrebbero essere contenuti nel DUVRI, né nell’organizzazione dell’attività. Può darsi che la caduta/crollo del macchinario e/o dell’attrezzatura di movimentazione (perché lo schiacciamento della vittima, di solito, la presuppone) sia dovuta a malfunzionamenti, rotture delle stesse, venir meno improvviso dell’energia elettrica, come pure ad un errore umano di chi le manovrava: ma una corretta valutazione dei rischi dovrebbe tenere conto anche di queste eventualità. Quindi, semplicemente, l’operaio non avrebbe dovuto trovarsi lì dove era: forse mancavano le appropriate regole di sicurezza, forse c’erano ma non applicate, forse in ogni caso non erano neppure conosciute/comprese dalla vittima. E per non lasciare Abdul al posto sbagliato al momento sbagliato, come invece accaduto, non ci sarebbero volute chissà quali interventi organizzativi, comunicativi, formativi.
Daniele Salvini di 33 anni – stava lavorando a Bagolino, nel Bresciano, per un’azienda che fornisce servizi di potatura, quando, mentre stava tagliando un albero, è stato schiacciato dal tronco di un albero ed è morto sul colpo. Quando sono arrivati i soccorritori, era già morto. L’uomo era padre di un bambino di otto mesi. Secondo le prime ricostruzioni a travolgerlo non è stata la pianta che stava direttamente tagliando, ma una vicina danneggiata da anni dopo la tempesta Vaia del 2018. Il 33 enne era residente nel paese della Valsabbia, in provincia di Brescia, lavorava per un’azienda locale ed era sposato da poco.
Nei lavori di potatura i rischi più frequenti, e gravi, sono quelli di caduta dall’alto nonché, come in questo caso, di schiacciamento da caduta di tronchi (la caduta di singoli rami è meno grave, di solito). Non emerge se lo sventurato Daniele fosse dotato dei prescritti DPI – Dispositivi di protezione Individuale (che sarebbero comunque stati inutili, vista la dinamica dell’evento), né se avesse ricevuto la prescritta formazione. Ma riteniamo pure che, come peraltro probabile, tali elementi fossero presenti: quel che è mancata è una completa valutazione dei rischi legati all’ambiente in cui si doveva svolgere il lavoro, ambiente nella sostanza, se non magari a norma di legge, assimilabile ad un cantiere temporaneo e mobile. Se esisteva nei paraggi una pianta già danneggiata, le cui condizioni precarie erano ben conosciute in quanto risalenti al 2018 (e, nel tempo, certo non migliorate …), sarebbe stato doveroso predisporre opportune cautele, cioè metterla in sicurezza, abbatterla se non possibile, operare comunque.
A Rende, in Sicilia – , un uomo di 62 anni è morto per le ferite riportate in un incidente sul lavoro a Rende. Secondo quanto si è appreso, l’uomo era impegnato in alcuni lavori di tinteggiatura in un’azienda nella zona industriale di rende. L’uomo si trovava su un ponteggio quando, per cause ancora in corso di accertamento, è precipitato nel vuoto da un’altezza di tre metri. Sul posto, sono giunti immediati i soccorsi e il lavoratore è stato portato nell’ospedale di Cosenza dove è morto poco dopo il ricovero. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che hanno avviate le indagini per stabilire le cause dell’incidente
A parte l’ignoranza in geografia, o la mera superficialità, di chi ha redatto la notizia (se Rende fosse in Sicilia, non si capirebbe perché ricoverare l’infortunato in un’altra regione, a Cosenza … bastava andare su Google Maps), ci troviamo qui di fronte al tipico infortunio mortale in edilizia, cioè una caduta dall’alto. Altrettanto “tipica” è l’età della vittima, ultrasessantenne, e ciò nonostante ancora al lavoro su un ponteggio (attività che consiglierei di svolgere, o almeno di conoscere da vicino, ai tanti soloni che, comodamente seduti alle proprie scrivanie o in qualche talk show televisivo, o aula universitaria o convegno, discettano dottamente del necessario prolungamento della vita lavorativa, a pena di bibliche catastrofi se non realizzato, ma che in decenni non sono riusciti nemmeno a definire compiutamente un elenco dei lavori usuranti). Ma ancora una volta: il ponteggio era a norma? (mah …) La vittima era stata formata adeguatamente? (In ogni caso, data l’età, è verosimile avesse almeno sufficiente esperienza). Era stanco per il lavoro, assetato/affamato/accaldato, magari? È stato un malore extra-lavorativo a farlo cadere? Chissà …. Ma sicuramente non era dotato dei dispositivi di ancoraggio che proteggono nel caso di caduta da un ponteggio; e se erano presenti, o non hanno funzionato, oppure non erano utilizzati (come accade di frequente in particolare dai lavoratori più anziani, sia perché impacciano e rallentano il lavoro, sia perché con l’età e l’esperienza sembrano aumentare la confidenza, con diminuzione della percezione del rischio, mentre calano resistenza alla fatica e riflessi). Ma invito, manzonianamente, le/i mie/miei venticinque lettrici/lettori a riflettere se, e quante volte, hanno visto un operaio su un ponteggio o un tetto indossare i dispositivi anticaduta.
Ennesimo incidente sul lavoro avvenuto nel Sud Barese, a Monopoli, dove due operai, Vito Germano di 64 anni, e Cosimo Lomele di 62, sono morti in un cantiere edile. Secondo una prima ricostruzione, i due operai si trovavano all’interno di uno dei vasti scavi per le condutture dell’impianto fognario di un nuovo complesso edilizio, quando un costone roccioso si è staccato e li ha travolti.
Anche in questo caso, l’evento è quello tipico degli ambienti cosiddetti confinati, cioè vi è un crollo con seppellimento o urto da parte di materiali in spostamento verticale (anche se qui pare che lo scavo fosse ampio). Dunque c’è uno scavo, in un cantiere edile che vogliamo credere regolarmente denunciato ed autorizzato, all’interno del quali si lavora; non emerge se le vittime stessero procedendo con gli scavi stessi o fossero impegnati nella posa delle fognature o in altre attività; e neppure se la morte è dovuta a soffocamento/seppellimento, o alle lesioni da urto o schiacciamento (anche qui, appare improbabile che eventuali DPI, pur se presenti e correttamente utilizzati, avrebbero evitato le conseguenze mortali). Con tutta evidenza, non erano presenti opere che contenessero il costone poi staccatosi, oppure, se presenti, si sono rivelate inadeguate: il relativo rischio non era stato valutato nei preventivi Piani di attività? Ci sono stati errori di progettazione/realizzazione/approntamento, del cantiere o delle misure di contenimento? Oppure il rischio era stato valutato, ma si è andati avanti ugualmente, per risparmiare il tempo ed il denaro che le suddette opere di contenimento avrebbero richiesto (ipotesi che personalmente ritengo probabile …)? E non posso non osservare che anche in questo caso Germano e Cosimo, ultrasessantenni, erano impegnati (costretti?) a lavorare, in attività faticose e pericolose, dalle norme previdenziali e dal fatto che in edilizia l’attività lavorativa, anche quando svolta in regola dal punto di vista normativo e contributivo – e spesso non lo è – per sua natura è discontinua.
Da quanto sin qui esposto, si conferma che tutti questi eventi sarebbero stati evitabili, se solo le norme fossero state correttamente applicate; e che le attività nei cantieri temporanei e mobili comunque denominati continuano ad essere, intrinsecamente, le più rischiose. Cinque vite si sarebbero potute salvare, cinque famiglie non avrebbero dovuto affrontare, e supportare, un lutto. Ora gli organismi di vigilanza eseguiranno i loro accertamenti, riferendo alle Procure della Repubblica, ci saranno procedimenti penali e magari condanne; l’INAIL indennizzerà e prenderà in carico con il personale socio educativo i familiari superstiti, e agirà in rivalsa verso i responsabili; politici, sindacalisti, quasi mai rappresentanti delle associazioni datoriali, si produrranno in condanne, appelli, richieste e proposte (quelle dei sindacati su più controlli, pene più severe, disincentivi vari alle imprese irregolari poco o punto soddisfatte; quelle dei datori di lavoro si semplificazioni e aiuti). Alle vittime magari qualche amministrazione locale dedicherà una strada, una rotonda, un parco. Abdul, Daniele, lo sconosciuto tinteggiatore di Rende, Germano e Cosimo, diventeranno parte delle statistiche, come nelle statistiche confluiranno le informazioni sulle cause e circostanze dell’evento, buone per analisi e convegni, nonché quelle su indagini, condanne, tipo e valore degli indennizzi, importi recuperati in rivalsa: ma con la sconsolante impressione che il circo, (per usare un termine che rubo al commissario Montalbano di Camilleri) riprenderà uguale al prossimo evento mortale. Perché non c’è sistema di regole che funziona senza una intima, convinta adesione (e, prima, conoscenza consapevole) da parte di coloro cui si applica, e senza una cultura del rispetto delle stesse che non sia formale e motivato solo dal timore di sanzioni. Elementi, ahinoi, che in materia di sicurezza sul lavoro non sono ancora diffusi quanto sarebbe necessario.