25 aprile. Chi dobbiamo ricordare, a chi dobbiamo riconoscenza

di Aldo Tortorella /
27 Aprile 2023 /

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Pubblichiamo qui di seguito la trascrizione del discorso pronunciato da Aldo Tortorella in occasione della manifestazione del 25 aprile a Milano

Debbo innanzitutto chiedere scusa per questa involontaria assenza fisica da una manifestazione così grande e significativa, più importante di come è sempre stata.  Oggi è il giorno della grande Festa della Liberazione, il giorno della memoria e della riconoscenza. Ma sono passati quasi 80 anni da quell’aprile del 1945 e dalla fine di una guerra spaventosa, decine  di milioni di morti, militari e civili, in Occidente e in Oriente, distruzioni immani,  e qui da noi un Paese devastato, lutti infiniti, miseria, fame  e l’ignominia di aver partecipato al genocidio del popolo ebreo.  Ma il trascorrere del tempo appanna la memoria, molti non sanno più neppure chi combatteva da una parte e chi dall’altra. E non capiscono perché si parla ancora di riconoscenza e per chi.  C’è bisogno più che mai di riportare alla mente e al cuore la realtà storica  di un mondo così lontano contro la naturale dimenticanza e  le interessate  falsificazioni. Quella guerra non fu un frutto del caso ma un crimine orrendo voluto dai nazisti tedeschi seguito dai fascisti italiani. Ma vi è chi lavora per distorcere la realtà storica e per trasformare le colpe in meriti.

È doloroso a dirsi perché è un segno della sconfitta elettorale dell’antifascismo, ma sono compromessi in questa tendenza allo stravolgimento della storia anche alcune delle massime autorità della Repubblica.  Per scusarsi di aver detto una menzogna in occasione della strage delle fosse Ardeatine, l’attuale presidente del Senato ha incolpato la sua stessa ignoranza. Non aveva controllato, ha detto, una notizia ripetuta  mille volte, e cioè che in via Rasella era stato colpito un gruppo di vecchi musicisti e perciò lo aveva ripetuto senza sapere che si trattava di un battaglione armato  di tutto punto, con un’età media di 33 anni, collegato alle SS. Ora sappiamo come la seconda autorità di garanzia della Repubblica si è informata sino a ieri. E non è da meno la prima autorità di governo secondo cui i 335 martiri delle fosse Ardeatine furono uccisi “solo perché italiani”.  Ma quelli uccisi “solo perché italiani” furono i pochi detenuti per reati comuni aggiunti alla fine per completare il numero della rappresaglia nazista, mentre tutti gli altri furono assassinati o perché ebrei o perché  stavano in galera come partigiani e antifascisti di tutte le tendenze politiche e dunque non eguagliabili ai detenuti comuni. E qui non si sono neppure presentate le scuse.

Le ripetizioni di falsità anti partigiane  apprese da taluni  in una lunga milizia in organizzazioni postfasciste  non è però solo ignoranza. L’obiettivo politico è quello di mettere sotto accusa l’antifascismo e il movimento partigiano. La volontà è quella di cancellare l’antifascismo come fondamento della democrazia italiana.

È la medesima tendenza che si affermò non appena fu rotta la unità antifascista in Italia due anni dopo la Liberazione e prima ancora nel mondo. Furono tempi che verranno poi definiti dagli storici che li hanno esaminati come una vergogna per la Repubblica.  Parve che essere stati partigiani fosse una colpa. Gli abusi di alcuni furono riversati su tutti.  Arresti, carcerazioni preventive, migliaia di anni di carcere. C’era stato un errore anche nostro che credevamo di aver vinto e volevamo la pacificazione  com’era giusto, ma fu un errore non fondarla, come avvenne per il nazismo in Germania, su una campagna di chiarimento popolare sul fascismo quale crimine e non solo per la tirannide, per il razzismo, per il genocidio del popolo ebreo, per la violenza assassina contro gli oppositori. Su 20 anni di dittatura 10 erano stati di guerre di aggressione: Etiopia, Spagna, poi Grecia, Francia,  Jugoslavia, URSS. Generazioni intere mandate  a morire per cause totalmente ingiuste. Occorreva rendere ben chiaro che il fanatismo nazionalista e il razzismo sono il contrario dell’amore alla propria terra e punire chi si era macchiato di reati orrendi. L’amnistia voluta da un governo unitario antifascista e varata da Togliatti ebbe come interpreti giudici compromessi col fascismo. Per medesimi atti di guerra i dirigenti fascisti furono assolti come militari “regolari” obbligati ad eseguire gli ordini, mentre i partigiani vennero condannati quasi come partecipi di bande private.

Anche in quei tempi lontani la demonizzazione della Resistenza iniziò con la distinzione tra i partigiani buoni e quelli cattivi che sarebbero stati i “rossi”, i comunisti che non volevano la democrazia e avrebbero voluto fare come in Russia, come ha sostenuto il presidente attuale del Senato dopo la sua esternazione  sui “musicisti” di via Rasella. E ha fatto eco la presidente. C’era, certo, come in tutto l’antifascismo l’ammirazione per la incredibile vittoria sovietica a Stalingrado senza la quale non si sa come sarebbe andata a finire. Ma i partigiani delle brigate Garibaldi guidate da Luigi Longo, che erano almeno la metà del Corpo dei Volontari della Libertà, furono fedeli alla linea del Comitato di liberazione nazionale di cui il Pci era parte essenziale, e all’orientamento di Togliatti che dette la parola d’ordine della “democrazia progressiva” e non quella della “dittatura del proletariato”. I partigiani delle formazioni Garibaldi furono, come tutti gli altri, i primi costruttori della democrazia italiana. I princìpi della Costituzione furono scritti anche da Togliatti in collaborazione tra gli altri con Dossetti, allora vicesegretario della DC.  E la Costituzione è firmata anche da Terracini, comunista italiano.

Io ero allora uno di quei partigiani rossi. In tanti eravamo poco più che adolescenti, cresciuti sotto il fascismo. Abbiamo tutti imparato l’amore per la democrazia dai nostri dirigenti di allora vittime del fascismo e io, come altri, da uno dei massimi dirigenti del Pci clandestino, fondatore del Fronte della Gioventù, precoce docente di fisica  espulso dall’insegnamento perché ebreo: Eugenio Curiel, assassinato dai fascisti nel febbraio del 1945  qui a Milano  a porta Magenta , medaglia d’oro della Resistenza, teorico della democrazia progressiva. 

Ecco a chi dobbiamo riconoscenza.

A tutti i caduti nella lotta del ventennio, da Giacomo Matteotti ad Antonio Gramsci, da don Minzoni a Piero Gobetti, dai fratelli Rosselli a Giovanni Amendola. Agli operai e ai contadini vittime delle squadracce e a quelli che poi affollarono le galere. L’antifascismo non è di un partito ma di tutti partiti che combatterono disuniti e perdenti prima  e poi uniti e vittoriosi nella Resistenza. Dobbiamo riconoscenza alle migliaia di partigiani e partigiane anziani e giovanissimi trucidati o caduti in battaglia, alle vittime innocenti delle rappresaglie barbare naziste e fasciste.

Non caddero, si dice, solo i partigiani ma anche i brigatisti neri e i ragazzi di Salò che pensavano di servire la patria e servivano i nazisti tedeschi. Eguale deve essere la pietà umana ma ricordiamolo sempre, non può essere eguale il giudizio. Ci fu chi cadde per confermare la tirannide e chi cadde per la democrazia e per la libertà.

Dire che la Costituzione non contiene la parola antifascismo non è uno strafalcione ma indica che il presidente del Senato non conosce la Costituzione di cui dovrebbe essere il garante. È stato giusto giudicare questo presidente del Senato inadatto o incapace di esercitare la funzione che gli spetta e chiederne le dimissioni. Nella Costituzione è scritto l’antifascismo assoluto: e cioè la proibizione di ricostituire un partito fascista in qualsiasi forma. Ma, ancor più, la Costituzione è essa stessa   l’espressione dell’antifascismo. L’unità antifascista non era stata una intesa   per la restaurazione della democrazia prefascista. Al contrario, essa era stata animata dalla volontà di una democrazia nuova e dallo sdegno per quei gruppi dominanti che avevano evocato il fascismo e se ne erano giovati. Perciò la Costituzione dichiara che la democrazia è fondata “sul lavoro”, cioè non sul capitale, e stabilisce l’esigenza di una democrazia sostanziale e non solo formale, indicando alla Repubblica il dovere di superare gli ostacoli economici e sociali che si oppongono ad una pari partecipazione alle scelte del Paese. Una Costituzione che detta la priorità dell’interesse pubblico su quello privato.

 L’antifascismo non era e non è solo una negazione. Certamente, esso contrastava una ideologia regressiva che faceva tornare indietro di secoli la concezione dell’umanità e degli individui, della nazione, dei rapporti sociali, dello Stato. L’umanità divisa in razze superiori e inferiori, la nazione concepita come comunità chiusa e ostile a tutte le altre, la i rapporti sociali come gerarchie immutabili, lo Stato come proprietà del Capo. Ma la negazione di queste aberrazioni corrispondeva ad altrettanti “sì”, ad altrettante affermazioni positive. Sì alla democrazia, sì alla libertà e alla giustizia sociale sì alla eguaglianza nei diritti umani senza distinzioni razziali inventate dall’ignoranza e inesistenti per la scienza, sì all’eguaglianza sostanziale che deve ogni discriminazione comprese quelle imposte dal predominio maschile autore di una civiltà carica di guerre e di ingiustizie, sì ai diritti civili e sociali, sì alla pace e all’amicizia tra le nazioni e alla creazione di più vasti agglomerati tra di esse, sì alla democrazia rappresentativa in rapporto con quella diretta, sì al ripudio tutte le guerre d’aggressione ultima delle quali quella della Russia del capitalismo selvaggio e del cieco nazionalismo  contro l’Ucraina con sofferenze terribili per il popolo ucraino e per i giovani russi mandati a morire. 

L’antifascismo di oggi dovrebbe essere innanzitutto lotta per una giusta pace, per evitare che la guerra si trasformi in atomica e mondiale. E deve superare l’errore commesso dalle forze progressiste  di limitare l’antifascismo alla sola funzione certo essenziale e determinante della lotta alla tirannide. Si è trascurato la sua funzione per la giustizia sociale, la sua vicinanza ai bisogni e alle aspirazioni delle classi diseredate,  la sua lotta per il progresso culturale e civile facilitando così l’affermazione di antichi pregiudizi e di ancestrali paure alimentate dalle forze ostili all’avanzamento democratico.

L’ antifascismo ha bisogno oggi come ieri dell’unità delle forze progressiste ed è indispensabile oggi non solo per la difesa del patrimonio politico e morale della Resistenza, ma per affrontare le sfide del tempo attuale. I rischi di oggi per la democrazia non sono quelli della ripetizione meccanica del passato, delle vecchie forme istituzionali fasciste oggi improponibili in questa parte del mondo. Ma nel patto atlantico c’è Orban che ha sottoposto il potere giudiziario al potere politico e ha messo bavaglio giuridico alla stampa e c’è Erdogan il dittatore turco che ha riempito le galere di suoi oppositori. 

 Il nuovo antifascismo di oggi deve essere capace di affrontare i temi del presente. Deve imparare dai movimenti dei giovani per salvare il pianeta dalla rovina ambientale creata da uno sviluppo dissennato frutto di un mondo di competizione feroce. Deve imparare dai movimenti contro il precariato, contro le pessime paghe, contro l’assenza di prospettive e di speranze dopo gli studi. Dai movimenti giovanili contro le mafie, e per la giustizia sociale. Deve affrontare il dramma delle migrazioni con animo solidale e lottare per un grande piano occidentale di restituzione all’Africa delle ricchezze rubate per secoli con la richiesta di perdono per lo schiavismo e i massacri compiuti. Il nuovo antifascismo è quello che affronta le questioni di oggi con lo spirito che fu quello della resistenza. Quei ragazzi lottarono e spesso morirono solo per gli ideali di giustizia e libertà. I vecchi partigiani hanno fatto quello che hanno potuto. Moltissimi ci hanno lasciato. I superstiti come me sono al limite. Ma non tutto quello che è stato seminato si è inaridito. Una nuova resistenza è nata tra i giovani, e diventerà sempre più forte.  Sono loro i nuovi partigiani e a loro va il mio saluto e il mio augurio. 

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