Il lavoro deve essere sicuro #10. Norme che indirettamente svolgono una funzione dissuasiva, oltre che riparativa, comportando conseguenze patrimoniali negative.

di Maurizio Mazzzetti /
16 Aprile 2023 /

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Procediamo ora ad un sommario esame di quelle norme che svolgono una funzione prevenzionale indirettamente, non assistite cioè da sanzioni penali e/o amministrative, ma attraverso sanzioni civili e obblighi di risarcimento economico: e vediamo in primo luogo la norma fondamentale, che è l’articolo

del Codice civile 2087, che si riproduce integralmente:

Art. 2087.    (Tutela delle condizioni di lavoro).

 L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Queste poche righe sono estremamente pregnanti e tali, negli anni, da avere prodotto biblioteche di commenti e corposi repertori di giurisprudenza; e vanno lette in connessione in particolare con l’articolo 2043

Art. 2043. (Risarcimento per fatto illecito).

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno

Il danno ingiusto, sempre da provare con onere della prova a carico del danneggiato, qui è tale se provocato dalle mancate misure necessarie a tutelare integrità fisica e personalità morale dei lavoratori

Un cenno di approfondimento sui punti suscettibili di diverse interpretazioni, limitandosi allo stretto indispensabile

  • Destinatari delle norme –  Secondo una interpretazione estensiva  l’obbligo Codice civile riguarda anche coloro che imprenditori non sono, secondo la definizione di imprenditore che dà il Codice Civile all’art 2082 (=) Colui che esercita professionalmente un’attività’ economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi; coloro cioè che utilizzano prestazioni di lavoro (pubbliche amministrazioni, associazioni, fondazioni, enti morali, organizzazioni “di tendenza” come i sindacati, ecc.). Analogamente, per prestatori di lavoro si intendono tutti i lavoratori dipendenti, i parasubordinati, i lavoratori irregolari (che siano in nero, o operanti sotto una qualificazione giuridica non rispondente alla realtà, come le false partite IVA o le altrettanto false associazioni in partecipazione, i falsi artigiani, oppure con altre irregolarità nel rapporto di lavoro), e i lavoratori autonomi. Si ricordi che il Testo Unico 81/2008 si applica a tutti i lavoratori presenti nelle unità produttive, indipendentemente dalla tipo di rapporto.
  • Necessità delle misure – Il concetto di necessità può essere letto in vari modi: è sufficiente un livello minimo (che potrebbe essere il mero rispetto formale della normativa) o si deve richiedere un livello massimo, obiettivo almeno tendenziale una tutela integrale senza alcun evento dannoso, posto che l’articolo non aggiunge a “misure” altri aggettivi (tutte, ad esempio)? Attenzione, se si ritiene che vada perseguito il livello massimo, l’esonero dalla responsabilità civile previsto dal TU INAIL diventa a rischio, e il risarcimento del danno differenziale, subito da chi lavora, ulteriore rispetto all’indennizzo INAIL, sempre dovuto.
  • Tipologia delle misure – In quanto necessarie secondo “la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica”, le misure vanno quindi prese ed eventualmente esaminate caso per caso. Si può obiettare che in certe attività/lavorazioni/processi, “nuovi”, l’esperienza può mancare; e poi, esperienza di chi?  Del datore di lavoro, dei suoi collaboratori, degli stessi lavoratori? (Quindi, minori misure se c’è esperienza?!). Quanto alla tecnica, questa si evolve velocemente: è quella disponibile all’avvio dell’attività, o quella sopravvenuta? E se fosse quella via via sopravvenuta, da ritenere più sicura (ma non è detto), esiste un obbligo di adeguamento continuo? E questo indipendentemente dagli oneri economici che tale adeguamento costante comporterebbe? Si noti che quando scienza e tecnica hanno individuato situazioni gravemente pericolose (una per tutte, l’uso dell’amianto) sono intervenute prescrizioni normative obbligatorie; ma resta un’ampia area grigia. Infine, tutela integrale (nessun rischio, ove possibile) o parziale “sufficiente”, cioè tale da mitigare il rischio e ridurne le conseguenze se non è possibile eliminarlo del tutto?
  • Integrità fisica e personalità morale – il riferimento alla “personalità morale” (temine desueto, figlio di altra epoca, di non automatica sovrapposizione con i termini più moderni di benessere psicofisico e integrità psicologica) è importante nell’ottica di una tutela integrale di chi lavora; ma allora, qualsiasi elemento che la turbi può creare un danno ingiusto risarcibile, pur senza costituire violazione di obblighi più precisi? Ad esempio, il mero stress da carichi di lavoro, contatto con il pubblico, condizioni di svolgimento della prestazione disagiate (turni notturni e festivi, necessità di attenzione costante in lavori svolti da soli, cfr. i macchinisti delle ferrovie, e/o in condizioni ambientali stressanti, es. i conducenti di autobus urbani, chi raccoglie pomodori sotto il sole a picco). E credo si possa dire che, oggi, almeno in Italia, se sull’integrità fisica il rispetto della normativa garantisce una tutela adeguata, sugli aspetti psicologici, cioè sullo stress lavoro correlato, sia pure senza arrivare ai patologici fenomeni di mobbing, c’è molto da fare: e che sugli stessi rischi legati all’odierna organizzazione del lavoro (smart working, lavoratori dipendenti da piattaforme, connessioni continue, allungamento della giornata lavorativa verso l’h 24, tempi di vita e di lavoro, efficienza versus benessere, eccetera), o meglio forse dell’intera organizzazione sociale, c’è ancora da indagare.

Tra queste norme rientrano quelle, già illustrate in precedenza, del bonus malus dell’assicurazione obbligatoria INAIL e delle azioni di regresso verso i datori di lavoro, o di surroga verso terzi, in caso di loro responsabilità nel verificarsi di eventi dannosi; su cui non si torna ora. Per far fronte a tali conseguenze patrimoniali negative chi può permetterselo (aziende e singoli i cui compiti possono esporre a tali responsabilità) stipula specifiche polizze assicurative; quindi, regolate dal Codice civile e dal cosiddetto Codice delle Assicurazioni, cioè il D. Lgs. 209/2005. E’ di tutta evidenza che l’onerosità di tali polizze diminuisce l’efficacia di tali conseguenze patrimoniali negative, non solo perché non stipulabili da tutti i soggetti, ma anche perché sono efficaci se c’è un patrimonio attivo da ”aggredire” (brutto termine, ma in uso tra i giuristi); se non c’è, lo stesso pagamento di una qualsiasi sanzione pecuniaria, che sia amministrativa, civile o penale, non può avvenire, dal punto di vista civilistico si arriva all’esecuzione forzata e poi alle varie procedure fallimentari.. E che tale patrimonio manchi non è così infrequente, tra oggettive difficoltà economiche, specie in periodi di crisi, e proliferare di imprese fantasma, o false (spesso in forma di cooperative e consorzi), che vivono, per lo più in edilizia, nei servizi e nella subfornitura,  di concorrenza sleale (pagando retribuzioni sotto i minimi, in parte in nero, evadendo/eludendo ogni tipo di versamento fiscale e contributivo), e sparendo non appena, o spesso prima, che la loro irregolarità emerga o venga scoperta. Ci sarebbe da fare un lungo discorso sulla responsabilità, solidale la definiscono i giuristi,  delle imprese più grandi che se ne servono; ma tale responsabilità solidale, sempre maldigerita dalle associazioni datoriali, e applicata nel tempo con maggior o minor estensione, oggi (segno dei tempi e dei governi di centrodestra, o meglio di una certa cultura aziendalista un po’ stracciona, altro che concorrenza leale e mercati aperti) è, diciamo, attenuata quando non abolita: ma qui si entra nel campo del diritto del lavoro, e mi arresto. In tema di impossibilità a pagare sanzioni amministrative segnalo, peraltro, che per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione che l’impossibile pagamento, per ragioni economiche, della sanzione amministrativa prevista dal D. Lgs. 758/1994 non costituisce causa di forza maggiore tale da consentire comunque l’estinzione del reato; è considerata causa di forza maggiore solo una patologia grave con assoluta incapacità di intendere e di volere.

Due parole, infine, sul peculiare meccanismo di responsabilità previsto da D. lgs. 231 del 2001. A rigore, lo si sarebbe dovuto illustrare tra le sanzioni, ma lo si fa ora sia per non evitare di appesantire troppo la trattazione delle stesse, sia per la sua atipicità, che riunisce diversi tipi di sanzione. Infatti, tale norma ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento, una responsabilità diretta dell’ente collettivo (intendendosi come tali sia gli enti forniti di personalità giuridica, e le società e associazioni anche prive della stessa) per la commissione di una serie di reati da parte delle persone fisiche ad esso legate, che abbiano agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente. In particolare, è stabilita una responsabilità del datore di lavoro e dell’azienda in caso di illeciti compiuti dai propri dipendenti. In tali casi il datore di lavoro può tutelarsi da azioni legali se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo – MOG – idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Sui MOG, e più in particolare sui connessi SGSL – Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro – si dedicherà una specifica trattazione.  Alla sicurezza sul lavoro è dedicato uno specifico articolo, il 25 septies, sui reati di “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”. La norma prevede diverse tipologie di sanzioni: pecuniarie, interdittive dell’attività (sospensione o revoca di licenze, autorizzazioni e simili, divieto di contrarre con la PA, esclusione o revoca di sussidi, finanziamenti, agevolazioni, divieto di pubblicità, divieto di pubblicità, di durata variabile, minima di qualche mese). Le sanzioni pecuniarie si applicano sempre se l’illecito dipende da reato – cd responsabilità amministrativa da reato -; l’unità di base è la cosiddetta quota, di importo variabile tra i 258 e i 1549 euro. Le quote non possono essere meno di cento né più di mille; il numero di quote è deciso dal giudice in base a vari elementi (ad esempio, la reiterazione, o la pluralità di illeciti, le aumentano), numero talvolta ridotto in caso di comportamenti diciamo collaborativi/riparativi, o particolarmente lievi, sempre commisurato alle condizioni economiche e patrimoniali del soggetto responsabile.   Per quel che interessa qui, in base all’articolo 25 septies, in caso di violazione delle norme di sicurezza sul lavoro (art. 589 del Codice penale) per l’omicidio colposo le quote sono le 1000 massime; per le lesioni gravi e gravissime le variano da 250 a 500, con le interdizioni che durano da tre mesi ad un anno: per lesioni più lievi ex 590 Codice penale fino a 250 quote, con interdizioni fino a 6 mesi.

Ora, è di immediata evidenza che tale sistema sanzionatorio è draconiano, tale anche da far cessare l’attività all’ente responsabile; ma si sa che l’efficacia preventiva di un sistema sanzionatorio non è direttamente proporzionale all’entità delle sanzioni, che anzi, se percepite come sproporzionate, vedono l’applicazione indebolita nei limiti del possibile, senza ulteriori conseguenze negative per chi sarebbe tenuto ad applicarle. Qui a temperarne la severità, almeno nelle intenzioni, è arrivata la diffusione (qualcuno dice la proliferazione incontrollata) dei MOG, per il loro valore esimente da tali responsabilità. Perché siano davvero esimenti, detti MOG devono possedere però determinate caratteristiche, dettagliatamente elencate dalla norma. In particolare, occorre che (art. 6 comma 1 lettera a) si sia “adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi “. La criticità, che gli addetti ai lavori ben conoscono,  sta in quell’espressione “efficacemente attuato”: perché i MOG in questione, come pure i loro prossimi parenti, i più settoriali SGSL, certamente fattori non solo preventivi degli illeciti, ma propulsivi di una gestione di qualità dell’ente, si prestano (e per molti tecnici è il loro limite maggiore) ad essere presenti solo sulla carta: altro che efficacemente attuati, magari non sono attuati affatto nella realtà, ma presenti solo sulla documentazione, pur  magari massiccia e dettagliata. E perché siano efficacemente attuati, occorre che si superi la logica del mero espletamento degli indispensabili adempimenti, documentali in primo luogo, per trasformarli in strumenti operativi orientati al risultato; e la strada è lunga e irta di potenziali difficoltà, perché viene in gioco la complessiva cultura organizzativa dell’ente, e non è detto che sia idonea a supportare un MOG o un SGSL. Non mi risulta siano sono disponibili statistiche su quanti enti hanno adottato MOG e SGSL, dal momento che la loro presenza non va notificata a qualche autorità, solo se certificati l’ente certificatore ne tiene un archivio; e sarebbe interessante vedere, nei casi di responsabilità amministrativa dell’ente, in che proporzione era presente un MOG e quante volte ne è stata riconosciuta l’effettiva efficacia esimente. A qualche volenteroso studioso il suggerimento ….

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