Il rapporto Onu che mette in luce, per la prima volta in maniera così esplicita, le connivenze dirette ed indirette dell’Italia e dell’Unione Europea, attraverso il “sistema Libia”, con la violazione sistematica dei diritti umani e delle Convenzioni Internazionali (Amburgo, sul soccorso in mare e Ginevra, sui rifugiati), ha dall’altro verso dimostrato come le istituzioni siano tranquille di fronte ad accuse così enormi e gravi. Pagare dei criminali per organizzare dei lager dove avvengono torture, stupri, uccisioni, ai danni di donne, uomini e bambini che chiedono aiuto, è qualcosa di abominevole. Ma le istituzioni, almeno finora, sembrano pronte a sostenere questa e molte altre accuse, senza tanto scomporsi. Non traspare nemmeno un po’ di vergogna. Anzi.
I portavoce della Commissione, in prima battuta, hanno risposto al rapporto Onu con quella che sembra una formula studiata, più che per le sole conferenze stampa, per qualche processo. “Mai finanziati direttamente”. Che tradotto sarebbe “A mia insaputa”. Ci fosse mai un giudice a Berlino, o meglio, all’Aja, che un giorno chiedesse conto di queste indicibili verità, dovrà accontentarsi di un qualche reato “preterintenzionale” e non doloso, che nel caso della politica significa “assoluzione piena”. L’impunità, difronte ai crimini dei quali scrivono le cronache tutti i santi giorni, si costruisce a partire dalla “ragion di stato”. È il motivo principale per cui bisogna agire in “emergenza”, anche se non esiste al mondo un’emergenza che possa durare per sempre. Ma i “migranti” sono un’emergenza perenne. L’ossimoro evidente, cela la strumentalità.
Se quel giudice dell’Aja applicasse come Falcone la regola del “follow the money” per dar seguito alle investigazioni dell’Onu, si troverebbe in mezzo ad un labirinto tale di appalti, enti committenti, fondi, vertici, commissioni e sottocommissioni, circolari, da far invidia a Dedalo. I soldi, e sono davvero tanti, consegnati nelle mani delle mafie e dei trafficanti di esseri umani veri, quelli che nei barconi e nei barchini non ci vanno, sia per la Libia, e ora anche per la Tunisia, tracciano mille rivoli, e non viaggiano in valigia come per il Qatargate, ma vengono inviati coi bonifici. Milioni e milioni di euro, che servono a pagare uomini e mezzi, impiegati per “fermare” gli esseri umani. A cascata poi, aziende italiane ed europee che si aggiudicano appalti a molti zeri, per fornire imbarcazioni, sistemi di controllo delle frontiere, e tutto quello che segue. E poi le “agenzie”: non è un caso che quella più finanziata in Europa, e al centro di molti scandali, sia Frontex. Quella dei confini. Insomma, fermare gli esseri umani, poveri, che si muovono verso di noi, è un business secondo solo a quello della guerra.
Per farlo occorre violare molti articoli di Dichiarazioni, Convenzioni Internazionali e Costituzione, oltre che essere dotati di parecchio pelo sullo stomaco e di una coscienza che non teme l’insonnia. Tanta sicurezza nel mettere in piedi sistemi criminali “legali”, le autorità del “mondo libero” la trovano probabilmente seguendo il “To Big To Fail”: l’accusa è così grande, tanto da minacciare l’intera credibilità e tenuta dell’architettura europea, da non poter essere maneggiata da nessuno fino in fondo. La “dissimulazione” nel caso del Mediterraneo e delle politiche contro i diritti umani, è fondamentale per far fronte alle prove, come lo è la costruzione di “capri espiatori”. Chi pratica il soccorso nel mar mediterraneo, e in particolare nelle acque internazionali della “sar libica”, lì dove il “sistema” prevede l’intensificazione di catture e deportazioni di profughi da parte delle milizie camuffate da “guardia costiera”, è un testimone pericoloso. Va screditato, e se non basta a fermarlo, criminalizzato. Frontex trasmette una grande quantità di dati a ogni stato membro, in particolare sulle dinamiche dell’immigrazione irregolare.
Li invia anche all’Europol. Nikolaj Nielsen, di EUobserver, ci fa sapere che “1058 documenti di Frontex riguardanti le Ong” sono state condivise con Europol, la polizia europea, nell’ambito “delle indagini dell’Agenzia sulla tratta di migranti”. È anche sulla base di questi rapporti che ad esempio, in Grecia, paese noto per le isole prigioni per migranti e sotto inchiesta per i brutali respingimenti in mare, sono stati condannati per “solidarietà” numerosi attivisti ed attiviste. Accusati di collusioni con indefiniti “trafficanti”. Frontex conduce interrogatori dei migranti sopravvissuti o che riescono a passare le frontiere in mare e in terra. EUobserver ha chiesto l’accesso agli atti, ma Frontex si è rifiutata, adducendo motivi di segretezza, in quanto questi documenti “includono informazioni sulle rotte dei migranti e sul coinvolgimento di facilitatori e trafficanti di esseri umani”.
Ma è l’aggiunta successiva, nella risposta del portavoce dell’Agenzia, ad essere più interessante. Questi atti che riguardano le Ong, sono “molto utili alle inchieste giudiziarie in vari paesi membri.” Ancora più interessante la strategia di Europol per sviare dall’obbligo di rispondere sul tema al Garante Europeo per la protezione dei dati. La Polizia Europea ha risposto che “non risultavano documenti con riferimento alle Organizzazioni non governative”. Salvo rivelare poi al giornalista di EUobserver che Europol nei suoi database non le chiama così, ma “organizzazioni non commerciali”. In modo che se qualcuno, tipo il Garante, gli chiede se hanno dati e stiano facendo indagini sulle “ONG”, possano rispondere che non gli risulta. L’Onu, con i suoi investigatori, indica nomi e cognomi dei trafficanti e i loro ruoli apicali nel sistema libico. Ma Frontex ed Europol si stanno occupando d’altro. In modo da “aiutare” qualche procura di qualche stato membro a preparare un bel trappolone ai loro nemici veri, quelli che non vogliono rassegnarsi alla ragion di stato.
Questo articolo è stato pubblicato su L’Espresso il 6 aprile 2023