Il 21 novembre la commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson ha presentato un piano di azione europeo per il Mediterraneo che sarà discusso al Consiglio europeo dei ministri dell’interno dell’Unione europea il 25 novembre. Il ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi ha reagito con entusiasmo all’annuncio, dicendo che la Commissione ha accolto le richieste di Roma sull’immigrazione, ma in realtà il piano non prevede nessun codice di condotta per le organizzazioni non governative che fanno soccorsi in mare, come invece era stato richiesto da Roma nel precedente consiglio dei ministri. “Il testo mette al centro della discussione alcune importanti questioni in tema di gestione dei flussi migratori e lo fa nella prospettiva già auspicata dal governo italiano”, ha commentato Piantedosi.
La proposta della Commissione permetterà di rafforzare gli accordi con i paesi di transito e di origine dei migranti per fermare le partenze, di finanziare Frontex (l’agenzia europea per il controllo esterno delle frontiere) e di provare a favorire un maggiore coordinamento tra i paesi europei nel soccorso in mare. L’unica vera novità è il punto 17 del piano in cui la Commissione si impegna a promuovere una discussione all’International maritime organization (Imo), l’autorità marittima internazionale, per modificare le linee guida sul soccorso, prevedendone di specifiche per le navi umanitarie che operano nel contesto europeo.
Cosa prevede il piano
Il documento si concentra in particolare sugli arrivi lungo la rotta del Mediterraneo centrale attraverso la quale nel 2022 sono arrivare in Europa dalla Libia e dalla Tunisia 90mila persone, il 50 per cento in più dell’anno precedente. Il piano – che si articola in venti punti – prevede lo stanziamento di 580 milioni di euro entro il 2023 per finanziare accordi bilaterali e internazionali con i paesi di transito e di origine per fermare le partenze, in particolare di finanziare Libia, Egitto e Tunisia per rafforzare i controlli alle frontiere, combattere il traffico di esseri umani, consolidare la cooperazione con il Niger sempre per fermare le persone durante il viaggio, favorire gli accordi di riammissione dei migranti in paesi terzi non di origine, incentivare i rimpatri.
Il piano prevede inoltre che sia favorito il ricollocamento dei migranti nei diversi stati europei, rafforzando il cosiddetto meccanismo di solidarietà volontaria lanciato nel giugno del 2022. Ma la parte centrale del documento è dedicata al soccorso in mare dopo la crisi tra Roma e Parigi sulla nave Ocean Viking: si promette un maggiore coordinamento nel soccorso in mare tra i diversi paesi europei e si annuncia di voler fare pressione sull’Imo per cambiare le regole del soccorso, in particolare per le navi umanitarie. Questo ultimo punto è controverso e ha sollevato questioni tra i giuristi che sostengono non si possa venire meno agli obblighi di soccorso stabiliti dal diritto internazionale, né scrivere regole specifiche valide solo per le navi delle ong.
La teoria Piantedosi
Il 16 novembre il ministro dell’interno Matteo Piantedosi era intervenuto alla camera e al senato per un’informativa urgente sulla vicenda delle navi delle ong bloccate nel porto di Catania dopo avere loro imposto degli sbarchi selettivi e ha illustrato la sua visione dell’immigrazione.
Implicitamente Piantedosi ha ammesso che il numero di persone soccorse nel 2022 dalle navi delle ong è minimo rispetto al totale delle persone arrivate via mare. Su 90mila persone arrivate via mare nel 2022, infatti, solo 11mila sono state soccorse dalle navi delle ong, il 12 per cento del totale. Tra l’altro, ha riconosciuto il ministro, nello stesso periodo l’Italia ha accolto 172mila persone in fuga dall’Ucraina. Inoltre Piantedosi ha denunciato un fattore che è già stato smentito da numerosi studi universitari e di istituti di ricerca indipendenti come l’Ispi: il principio del pull factor.
“La presenza delle navi delle ong nel Mediterraneo, in prossimità delle coste libiche, continua a rappresentare un fattore di attrazione sia per i migranti sia per i trafficanti di uomini”, ha detto Piantedosi. Il ricercatore Matteo Villa dell’Ispi ha raccolto i dati delle partenze dalla Libia dal 2014 e le ha messe in relazione ai dati della presenza delle navi delle ong. In particolare dal 1 gennaio al 28 maggio del 2021, “nei momenti in cui le navi non c’erano, in media sono partiti più migranti (135 al giorno) rispetto a quando le navi erano presenti in quel tratto di mare (125 al giorno)”, afferma Villa.
Non è mai stato dimostrato che le navi umanitarie siano un fattore di attrazione per chi vuole partire. Inoltre Piantedosi ha affermato che le navi non si sono coordinate con le autorità italiane durante i soccorsi e che le hanno informate soltanto una volta che i soccorsi erano avvenuti. Inoltre, secondo il ministro, devono essere gli stati di bandiera delle navi a fare richiesta del porto di sbarco e non i comandanti delle navi. Per rispondere a Piantedosi nei giorni successivi l’ong Medici senza frontiere (Msf) ha pubblicato tutte le comunicazioni inoltrate dal capitano della Geo Barents alle autorità marittime di Libia, Malta, Italia e Norvegia (stato di bandiera della nave) prima, durante e dopo i soccorsi.
“Da quando siamo scesi in mare nel 2015, per colmare il vuoto di ricerca e soccorso, operiamo in piena trasparenza e nel rispetto delle norme con l’unico obiettivo di salvare vite”, ha scritto Msf in un comunicato, inoltre l’ong ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio (Tar) contro la decisione di imporre uno sbarco selettivo dei migranti in base al decreto Piantedosi il 5 novembre. “Il decreto ha operato un’illegittima e discriminatoria selezione tra i sopravvissuti, autorizzando a sbarcare solo quelli ‘vulnerabili’ in violazione alla normativa internazionale”, conclude il comunicato.
Piantedosi ha detto infine che le navi possono essere considerate “luoghi sicuri temporanei” e che, trasportando “migranti irregolari”, agiscono in aperta violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, e il loro transito in acque italiane deve essere considerato un “passaggio non inoffensivo”, in violazione dell’articolo 19 della convenzione Uclos.
“La corte di cassazione e i tribunali italiani hanno affermato in diversi casi che i comandanti delle navi devono rivolgersi allo stato italiano e non ai governi dei loro stati di bandiera”, chiarisce l’esperto di diritto del mare Fulvio Vassallo Paleologo, citando per esempio la sentenza della corte di cassazione del 2020 nel caso della comandante Carola Rackete, che nel 2019 ha forzato il blocco imposto dalle autorità italiane e ha attraccato nel porto di Lampedusa per far sbarcare i migranti che aveva soccorso con la nave SeaWatch.
Le navi possono essere dei “luoghi sicuri temporanei”, “ma le leggi internazionali sono incontrovertibili sul fatto che l’obbligo è quello di portare i naufraghi a terra più velocemente possibile”. Le navi mettono al corrente anche gli stati di cui battono bandiera, ma tutte le legislazioni nazionali e internazionali prevedono che “l’obbligo di fornire un porto sicuro di sbarco è dello stato che ha coordinato il soccorso, che spesso non è lo stato di bandiera”. Per salvare la vita delle persone “è ovvio che i soccorsi sono spesso svolti e coordinati dagli stati più vicini”.
“E la Libia e la Tunisia non possono essere considerati porti sicuri, perché non riconoscono la Convenzione di Ginevra sui rifugiati”, continua Vassallo Paleologo. Anche se ora il tentativo dell’Italia è quello di chiedere a Bruxelles di fare pressione sull’Imo per cambiare le linee guida nel caso di navi umanitarie, “è difficile che questa linea possa passare”, commenta Vassallo Paleologo. Sarebbe una condotta discriminatoria. “La cosa peggiore che sta succedendo è che il governo italiano sta travisando i fatti e le norme”, conclude il giurista.
Questo articolo è stato pubblicato su Internazionale il 22 novembre 2022