Quando accade un infortunio mortale, o quando vengono diffusi dati sul fenomeno infortunistico non positivi (delle malattie professionali tra media e politici nessuno sembra preoccuparsene), immancabilmente c’è chi, sinceramente ben intenzionato magari (ma talvolta solo strumentalmente), e collocato diciamo sbrigativamente a sinistra, reclama più controlli e/o sanzioni più dure di quelle esistenti, in particolare per i datori di lavoro. Quasi altrettanto immancabilmente, dall’opposto fronte politico culturale, per il quale ogni intervento pubblico è una indebita intromissione e limitazione delle libertà individuali, si lamenta invece la già attuale eccessiva invadenza dei controlli, molteplici e pesanti, che vessano i datori di lavoro, (che di per sé, sostengono, sarebbero felicissimi di essere in regola, ma non ci riescono) senza riuscire efficaci. E si prosegue sostenendo che non occorre reprimere di più, quanto prevenire, favorendo la cosiddetta “compliance”, cioè l’adesione spontanea agli obblighi, di qualsiasi genere siano (fiscali, contributivi, relativi alla sicurezza sul lavoro); e il recentissimo progetto di legge delega in materia fiscale offre un buon esempio di tale concezione, come lo offriva l’abortito progetto di riforma Sacconi del D. Lgs. 626/1994 di cui si è parlato nel precedente articolo. Dove però questa concezione mostra tutti i suoi limiti è nell’individuare gli strumenti preventivi per assicurare la suddetta compliance.
Ora, senza avventurarci in una disamina delle teorie generali del diritto, è di immediata evidenza che nessun sistema di norme (dalle regole della pallacanestro alle norme morali, per finire a quelle giuridiche) funziona senza un sistema di sanzioni per le violazioni: ovviamente cambia il tipo di sanzioni (nelle norme morali possono essere magari ultraterrene). Ma è altrettanto evidente che una adesione spontanea degli interessati è altrettanto importante, anzi essenziale, non basta l’applicazione di sanzioni o anche solo il timore delle stesse: una illegalità di massa travolge, prima o poi la norma stessa, fino ad un nuovo equilibrio. E ciò anche perché le procedure di applicazione delle sanzioni, almeno nella nostra società democratica, e specie se si tratta di sanzioni penali, sono, giustamente, intrise di sacrosante cautele, quindi costose e complesse; cosa che una corretta valutazione del rapporto costi benefici, nell’introdurre sanzioni giuridiche nell’ordinamento, dovrebbe sempre tenere presente. Un sistema sanzionatorio è quindi indispensabile, e suo presupposto è un adeguato sistema di controlli; e pare persino banale dire che entrambi dovrebbero essere tempestivi, proporzionati ai beni giuridici protetti ed alle responsabilità, quantitativamente e qualitativamente idonei = effettivi, efficienti ed efficaci; e nella breve disamina che ci si accinge a fare i lettori “non addetti ai lavori” potranno farsi una propria idea del sistema. Ma vigilanza e sanzioni, ripeto, pur sacrosante, non possono bastare; occorrono anche meccanismi incentivanti e premiali, che nella misura del possibile informino anche la vigilanza stessa, senza indebolirla; e su tali meccanismi si tornerà quando si accennerà ai costi degli infortuni ed al rendimento degli investimenti in sicurezza, e ai Piani (nazionali, regionali) di prevenzione. Il problema è quindi convincere le imprese a migliorare le conformità, adottando un approccio che bilanci persuasione “preventiva e attiva con il controllo durante le visite ispettive”. Se diamo uno sguardo al di fuori dei confini nazionali, pur limitandoci all’Unione Europea, osserviamo che la vigilanza in materia è affidata normalmente ad istituzioni statali, cioè gli ispettorati del lavoro, pur variamente denominati e magari con competenze anche amministrative sulla regolarità giuridica dei rapporti di lavoro. Tali sistemi prevedono ispezioni in loco per il monitoraggio e il controllo del rispetto delle leggi nazionali, oltre a strategie per la prevenzione degli incidenti e dei problemi di salute sul lavoro. Approcci e applicazione di tali regimi sono diversi nei vari paesi europei; tuttavia, le trasformazioni del lavoro, (nuove tecnologie e modalità di effettuazione della prestazione, delocalizzazioni, imprese transnazionali, appalti di manodopera, esternalizzazioni vere o fittizie), a livello europeo aprono una riflessione su metodi di ispezione e sanzioni (di solito misure proporzionali, che vanno dalle raccomandazioni alle sanzioni amministrative e ai procedimenti giudiziari). Ed emerge l’opportunità, se non la vera e propria necessità, di una valutazione standardizzata della sicurezza sul lavoro con relativi strumenti di misurazione, che non si limiti a “contare i caduti”, cioè gli eventi dannosi a posteriori, e neppure i cosiddetti near miss, cioè gli incidenti che solo per (buona) fortuna non hanno conseguenze sulle persone. Sul punto rinvio comunque al documento “The Role of Sanctions in European Labour Inspection Policy and Practice”, reperibile a questo indirizzo. E in ogni caso, per chi avesse ulteriore curiosità, rinvio all’ottimo sito dell’Agenzia Europea per la sicurezza e salute sul lavoro.
E in Italia? In Italia il sistema di vigilanza è delineato dall’articolo 13 del TU 81/2008, con l’articolo 14 dedicato ai provvedimenti sanzionatori conseguenti (anche relativamente alle irregolarità giuridiche del rapporto di lavoro, stante la frequente, ovvia coesistenza di queste con violazioni della normativa di sicurezza); e poiché la vigilanza stessa, come vedremo, coinvolge anche le ASL, la materia è ulteriormente regolata da uno specifico Accordo Stato Regioni del 22 luglio 2022. Peraltro, oggi la vigilanza è inserita in più ampi Piani regionali di prevenzione, che contemplano altre attività (assistenza, formazione, incentivi vari), di cui si parlerà in separata sede.
La vigilanza è svolta dalla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, dall’Ispettorato nazionale del lavoro e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco; esistono poi norme ad hoc per il settore delle attività estrattive. Nelle province autonome di Trento e di Bolzano operano specifici organi locali; per Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco il compito è affidato ai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni. Per porti, navi ed aeromobili la competenza è, infine, delle autorità marittime (come le Capitanerie di porto e strutture subordinate) e aeroportuali. Gli addetti alla vigilanza assumono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e ad essi è espressamente vietata ogni attività di consulenza a qualsiasi titolo (comma 5 dell’art. 13); si tornerà sulle implicazioni di questo divieto.
Il sistema negli anni ha subito diverse modifiche, in particolare per quel che riguarda il ruolo dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Prima della riforma sanitaria del 1978, la sua era una competenza esclusiva, cui si affiancarono i Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, variamente denominati e coordinati dalle singole regioni (SPSAL, SPISAL, SPRESAL e via siglando). In diverse regioni, ad esempio in Emilia Romagna, tali servizi si articolano in strutture operative parallele, sempre variamente denominate, una delle quali si occupa degli aspetti diciamo hard, cioè della sicurezza di macchine ed impianti, ed una di quelli organizzativi (Valutazione dei rischi, formazione, sorveglianza sanitaria, obblighi documentali ecc.). Negli anni il ruolo dell’Ispettorato, struttura meno agile e di tipo “ministeriale”, e deputato anche al controllo della regolarità giuridica dei rapporti di lavoro, si era progressivamente contratto, sia per le regole di funzionamento, sia per i limiti alle assunzioni, che da un certo momento in poi hanno esclusivamente funzionari amministrativi, e non più tecnici. Il Ministero del Lavoro, comunque variamente negli anni denominato, ha sempre cercato di mantenere il controllo di tutta l’attività ispettiva, amministrativa e tecnica; ha sempre scontato però, al di là della normativa, minori dotazioni di personale e strumenti (informatici, in primo luogo, poi finanziari) rispetto a INPS ed INAIL per la vigilanza amministrativa, e delle ASL per quella tecnica. E se, almeno formalmente, durante il governo Renzi i servizi ispettivi di INPS ed INAIL sono diventati parte dell’Ispettorato, quelli delle ASL hanno mantenuto la propria autonomia. L’accordo Stato Regioni del luglio 2022 conferma, tuttavia, all’Ispettorato Nazionale (attraverso le sue articolazioni sovra regionali, interprovinciali e provinciali) un ruolo di coordinamento generale; tale ruolo deve però fare i conti con la tuttora perdurante carenza di funzionari tecnici (mi limito ad un esempio: in Emilia-Romagna, nel dicembre 2022, l’INL aveva in servizio DUE funzionarie tecniche, una a Reggio Emilia ed una Bologna). Come conseguenza, la competenza dell’Ispettorato si era ridotta anche normativamente, limitandosi fino al luglio 2022 ad edilizia, agricoltura e attività molto specifici quali i lavori nei cassoni, per poi tornare, almeno formalmente, piena (ma con il non piccolo problema di ritenere che qualche settimana di formazione possa mettere in grado il personale che si è sempre occupato di vigilanza giuslavoristica, con relativo background formativo, di svolgere anche una vigilanza tecnica). L’accordo del luglio 2022 individua, anzi conferma, tre tipologie di intervento:
- vigilanza integrata: la vigilanza realizzata contestualmente nella medesima azienda dal personale dall’ASL per gli aspetti di salute e sicurezza e dal personale ispettivo dell’INL (compresi ispettori INPS e INAIL) per gli aspetti giuslavoristici;
- vigilanza coordinata: la vigilanza che i due Enti effettuano separatamente in aziende e momenti diversi, con condivisione successiva al primo accesso al fine di evitare duplicazioni degli accertamenti. La registrazione degli accertamenti su piattaforme tecnologiche rappresenta strumento privilegiato della vigilanza coordinata, almeno nelle intenzioni; sul non sempre eccelso funzionamento di tali piattaforme tecnologiche, che talvolta di tecnologico non hanno granché, non è possibile dilungarsi in questa sede.
- vigilanza congiunta: la vigilanza realizzata contestualmente nella medesima azienda in cui gli aspetti in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro sono curati congiuntamente dal personale tecnico dell’ASL e dell’INL (da intendersi residuale anche per la duplicazione di provvedimenti sanzionatori.
Il sistema funziona? Una risposta non è facile. Dati numerici, su ispezioni effettuate e loro esito, in termini di irregolarità rilevate (percentualmente e per tipologia di infrazioni), non sono facilmente disponibili, in quanto ad eccezione di quelli dell’INL (comunque mancanti della situazione delle province di Trento e Bolzano…….) sono disseminati su una pluralità di archivi. Il numero dei soggetti potenzialmente ispezionabili non è sempre determinabile con sufficiente esattezza, alle aziende, e relative unità produttive “fisse” = Unità locai/produttive (anche più d’una per azienda), si aggiungono i cantieri, in senso lato (edili, stradali, forestali, di altre attività di manutenzione), la logistica, l’agricoltura. La vigilanza si effettua con tre metodologie:
- “a vista, come appunto per lo più in edilizia ed agricoltura, o come è stato per le verifiche sulle misure anti Covid_19, in cui l’obiettivo principale è la deterrenza, “l’effetto alone” sui soggetti non ispezionati;
- richieste di intervento/segnalazioni di lavoratori, RLS, organizzazioni sindacali, il cui numero e fondatezza può variare molto, anche in dipendenza dei rapporti di forza tra datori di lavoro e lavoratori (quando non della vera e propria ricattabilità di questi ultimi);
- infine, attraverso campagne mirate su settori ed aziende a rischio, individuate attraverso strumenti di intelligence, con Piani di attività annuali sia dell’INL sia delle ASL. Per queste, come abbiamo già ricordato, l’INAIL, attraverso una specifica piattaforma “Flussi Informativi” (ma una ventina di anni fa si consegnavano dei CD …) mette a disposizione annualmente degli organi di vigilanza, in forma riservata, i dati di infortuni e malattie professionali delle singole aziende. Sui numeri di controlli in passato la situazione era molto diversificata a seconda dei territori, e della sensibilità/disponibilità delle ASL (che sempre strutture regionali sono) a vigilare; e ricordo di aver udito, ovviamente ufficiosamente, una dozzina di anni fa, ad un convegno, un qualche rappresentante del Ministero della Salute, o del Lavoro, confessare che percentualmente la maggior parte delle ispezioni in materia era effettuata in due sole regioni, cioè Emilia-Romagna e Toscana
Di sicuro l’importo delle sanzioni amministrative irrogate, ex comma 6 dell’articolo 13, finanzia l’attività di prevenzione svolta sui luoghi di lavoro, svolta attraverso i piani cui si è accennato sopra.; ma vediamo prima le sanzioni e la loro irrogazione.
Sanzioni – Alle sanzioni è dedicato un intero Capo, articoli da 55 a 60, destinatari delle stesse le varie figure individuate come in qualche modo responsabili: nell’ordine, datore di lavoro e dirigente art. 55, preposto art. 56 (ricordiamo, solo dal novembre 2022 da individuare formalmente) – progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori art. 57, medico competente art. 58, lavoratori art. 59, lavoratori autonomi, componenti dell’impresa familiare, coltivatori diretti e simili art. 60. Le sanzioni possono essere nei casi più gravi penali (reati contravvenzionali puniti con l’arresto o l’ammenda, ammende con importi variabili, anche per la stessa fattispecie, in dipendenza della gravità), regolate per la loro applicazione dal Codice di Procedura Penale; ovviamente restano valide le norme penali per i reati più gravi come omicidio colposo e lesioni colpose gravissime, gravi ecc., con le più gravi pene della reclusione della multa e altre pene accessorie. Per le infrazioni più lievi sono previste sanzioni amministrative pecuniarie (procedura di cui alla legge 689/1981). Ulteriori analoghe sanzioni le troviamo poi nei singoli titoli specifici del Testo Unico 81/2008 (es. Luoghi di lavoro). Ci si è già espressi sulla problematica efficacia dello strumento penale, giustamente dotato di tutte le relative cautele e garanzie, in termini di tempi ed effettività. L’articolo 61 introduce però due importante novità, cioè
- se c’è azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, commessi con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne dà immediata notizia all’INAIL, per l’eventuale costituzione di parte civile e azione di regresso.
- 2. Le organizzazioni sindacali e la associazioni dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro hanno facoltà di esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa (articoli 91 e 92 del Codice di procedura penale), circa i reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
Pur con qualche differenza territoriale, e in assenza di dati pubblici, la personale esperienza di chi scrive è che la statuizione del comma 1 funziona abbastanza bene; non posso esprimermi su applicazione ed efficacia del comma 2.
L’articolo 14 regola poi dettagliatamente il peculiare istituto della sospensione dell’attività, con connesse sanzioni accessorie, prescritta dagli addetti alla vigilanza prescrivono al datore di lavoro inadempiente, anche per violazioni meramente giuslavoristiche, fino alla regolarizzazione; con sanzioni amministrative pecuniarie in caso di mancata sospensione. Durante il COVID-19, i vari DPCM succedutisi prescrivevano un’analoga sospensione dell’attività, non ulteriormente sanzionata, per l’inosservanza delle misure di sicurezza anti-pandemiche.
Infine, due parole sul meccanismo di irrogazione delle sanzioni, che è regolato anche dal D. Lgs. 758/1994 (norma anch’essa riguardante pure le violazioni in materia giuslavoristica), articoli 20 e seguenti. In estrema sintesi, quando l’organismo di vigilanza accerta un infrazione costituente un reato contravvenzionale (che l’accertamento sia di sua iniziativa, o su incarico del Pubblico Ministero), impartisce al contravventore una specifica prescrizione, fissando un termine tecnicamente congruo (massimo sei mesi, prorogabili eccezionalmente una sola volta) per la regolarizzazione. La prescrizione può imporre specifiche misure per far cessare i pericoli per salute e sicurezza; l’organo di vigilanza trasmette poi al Pubblico Ministero una specifica notizia di reato (articolo 347 del Codice di procedura penale, e si apre un procedimento penale, che resta però sospeso per il termine assegnato al contravventore per l’adempimento.). Entro max sessanta giorni dal termine assegnato l’organo di vigilanza controlla se la prescrizione è stata rispettata: se sì, irroga una sanzione amministrativa (un quarto dell’ammenda massima prevista) e segnala l’adempimento al Pubblico Ministero il quale, se non ci sono altri possibili reati, archivia il procedimento penale; se non lo è stata, il procedimento penale segue il suo corso.
Numeri e esiti dell’attività di vigilanza – Quanto ai numeri, sul sito del Ministero del Lavoro troviamo i dati 2022 relativi alla vigilanza tecnica del solo Ispettorato Nazionale del Lavoro: 17.035 accessi nel 2022 a fronte di 13.924 nel 2021), violazioni contestate +44%, dalle 17.643 del 2021 alle 25.481 nel 2022, provvedimenti di sospensione delle attività imprenditoriali, 8.210 a fronte dei 3.971 dell’anno precedente, di cui circa il 35% (2.814) determinati da gravi violazioni in materia di sicurezza. Sono numeri molto parziali, ma per le ASL i dati sono contenuti nei siti, o comunque resi disponibili, delle singole ASL e relative articolazioni organizzative, o magari raccolti a livello regionale dagli Assessorati competenti; e non sempre aggiornati (per esempio, sul sito dell’AUSL di Bologna, sezione del Dipartimento di Sanità Pubblica, l’ultima relazione caricata si riferisce al 2020, e dà oltre 2500 unità locali ispezionate e oltre 6500 verifiche su macchine e impianti).
Oggi nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) regionali è prevista l’ispezione annuale di un 5% delle unità produttive locali; per l’Emilia-Romagna i dati diffusi in occasione della Fiera Ambiente e Lavoro a Bologna a dicembre 2022 danno, per il 2021, un 7,7%, con 5098 cantieri e 746 aziende agricole); la specifica vigilanza sulle misure anti Covid-19 arrivava al 9% delle unità locali.
Il SINP, infine – Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione – da ultimo modificato dalla legge 17 dicembre 2021 n. 215, la cui gestione tecnica resta all’INAIL e quella “politica” ai ministeri interessati, alle Regioni e all’INAIL, prevede una specifica parte dedicata al “il quadro degli interventi di vigilanza delle istituzioni preposte”. Non si ritrovano però ancora statistiche nazionali in materia, forse in quanto (cito dalla pagina https://www.inail.it/cs/internet/istituto/sistema-nazionale-per-la-prevenzione.html) non risulta ancora emanato il nuovo decreto interministeriale su criteri e regole tecniche per realizzazione, funzionamento e trattamento dei dati, in sostituzione del precedente DM 25 maggio 2016, n.183.
E se tali statistiche esistono, sono ben nascoste ….
In ogni caso, quanto alle percentuali di irregolarità, sempre maggioritarie sul numero di ispezioni, il dato va maneggiato con cautela, perché dette percentuali dipendono dall’efficacia dell’attività di intelligence, dall’efficienza e gli organici di chi vigila, dalla “vivacità”e sensibilità delle parti sociali, dalla struttura produttiva dei territori: se la vigilanza riscontra una certa elevata percentuale di irregolarità il dato non può considerarsi meccanicamente estensibile al totale delle aziende. Osservo inoltre che, se il numero delle unità locali “fisse” potenzialmente ispezionabili in ciascun ambito territoriale può, con qualche approssimazione magari, essere ricostruito in base ai dati ISTAT e/o delle Camere di Commercio, non risulta alcun dato pubblico sul personale addetto alla vigilanza, INL escluso: non sono possibili quindi valutazioni precise su efficacia ed efficienza della vigilanza nel suo complesso.
Lasciando da parte i numeri, e tornando alle modalità di svolgimento della vigilanza, la parte più interessante, se non controversa, riguarda le specifiche misure che gli addetti alla vigilanza possono prescrivere (art. 20 del D. Lgs. 758/1994): in quanto non obbligatorie, sono ulteriori rispetto ai meri obblighi già stabiliti dalle norme?
L’organo di vigilanza quanta discrezionalità ha nell’imporle? (Si tratta, lo dico a beneficio dei giuristi, di vera e propria discrezionalità tecnica). Che ne è degli eventuali oneri economici? E come si conciliano queste misure con il divieto stabilito per il personale di vigilanza di svolgere “a qualsiasi titolo” attività di consulenza? E in che rapporti stanno queste misure, che si potrebbero definire come consulenza (e gratuita, in un certo senso …), con le attività di assistenza che pure il Testo Unico, agli articoli 9 e seguenti, assegna a vari enti ed organi, tra cui appunto le ASL, in quanto strutture regionali? Per quanto di mia conoscenza, se è chiarita la differenza tra assistenza (esempio, dare indicazioni generali su come si montano i ponteggi) e consulenza (darle su come si monta quello specifico ponteggio in un determinato cantiere); le altre domande restano in piedi. Nella pratica, è verosimile che gli organi di vigilanza si limitino a prescrivere lo stretto indispensabile; ma questa questione ci dà l’occasione per ragionare su un diverso modello di rapporti tra vigilanza sulla, e promozione della, sicurezza sul lavoro. E il modello in questione è quello tedesco, per una illustrazione dettagliata del quale rinvio all’apposita pagina
A parte le similitudini, ma soprattutto le differenze di quel sistema “duale”, parte statale e parte affidato ai Lander, da quello italiano (ma con il procedere dell’autonomia differenziata tali differenze potrebbero attenuarsi ….), quel che balza all’occhio è che gli organismi di vigilanza hanno esplicitamente funzioni di consulenza, e con una qualche vincolatività della stessa, sia pure all’interno di strategie comuni (GDA) che vedono coinvolte anche le parti sociali. All’inizio di questo millennio, vigente ancora il D. Lgs. 626/94 che, come ricordato, poco diceva su strategie promozionali e strumenti di implementazione della sicurezza, l’INAIL, allora sotto la guida del vulcanico Presidente prof. Gianni Billia (manager della scuola di Enrico Mattei, che faceva anche, o soprattutto il Direttore Generale, e che giocò questa partita però con scarsi appoggi anche all’interno dell’INAIL stessa, trattandosi di un cambio di pelle – e le organizzazioni burocratiche sono tendenzialmente conservatrici, come è noto). Billia si fece promotore di un rinnovo del sistema: all’INAIL dovevano essere assegnate formalmente anche attività di consulenza all’interno delle aziende, attraverso i propri tecnici (che non rivestivano, come tuttora, la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e che non hanno competenze di vigilanza), in parallelo alle attività appunto di vigilanza che restavano affidate ai consueti organi. Il progetto era di ardua realizzazione: modifiche normative a parte (e profonde, in qualche caso), l’organico del personale tecnico dell’INAIL avrebbe dovuto essere sensibilmente accresciuto, e già allora quanto ad organici del pubblico impiego i decisori politici lo consideravano solo come di un costo da tagliare, con unica limitazione il consenso elettorale ed un minimo di servizi non troppo scadenti. Fu peraltro decisa l’opposizione delle associazioni datoriali, che non vedevano di buon occhio “consulenti” esterni pubblici, magari con poteri coercitivi circa gli adempimenti da attuare; poi le condizioni di salute di Billia declinarono, la politica se ne disinteresserò, e non se fece nulla. A mio parere, le suggestioni del modello tedesco restano intatte, magari coniugate con una rivisitazione del ruolo degli organismi paritetici bilaterali; ma al momento suggestioni rimangono.