Vediamo qui di illustrare sinteticamente quella che si era, in precedenza, definita come Normativa obbligatoria “diretta” assistita da sanzioni amministrative e penali (cioè che prescrivono, più raramente vietano, comportamenti attivi o omissivi, costituenti reati) e, per queste ultime, connessi risarcimenti per chi è danneggiata/o dal reato ove, come da principi generali, si costituisce parte civile contro chi è riconosciuta/o colpevole.
Possiamo iniziare dalle norme emanate negli anni ’50, più o meno in corrispondenza del boom economico, e, verosimilmente, conseguenza dell’aumento degli infortuni. In quel periodo, infatti gli infortuni denunciati in dieci anni, dal 1951 al 1961, più che raddoppiarono (da 728.788 a 1.486.070), e quelli mortali crebbero di un quarto (da 3511 a 4644); e la tendenza alla crescita sarebbe proseguita, sia pure attenuata, fino ai primi anni ’70, per poi scendere più o meno costantemente (ribadisco, non dimentichiamo mai questi numeri quando esaminiamo i dati odierni). Ricordiamo qui qualche norma: il DPR 547/1955, il DPR 303/1956, il DPR 128/59 per le attività minerarie. Si trattava, a giudizio di tutti i tecnici delle ASL con cui ho avuto a che fare, di norme tecnicamente valide, tanto da venire poi recepite, con qualche indispensabile aggiornamento tecnico, e ovvie integrazioni, anche nella normativa successiva. Ma presentavano un grosso limite: indicavano cosa andasse fatto, ma non chi e, e magari come: d’altra parte le norme del Codice penale e di quello civile, limitandosi ad attribuire responsabilità penali/civili in capo a certi soggetti, in particolare il datore di lavoro, non colmavano la lacuna, anche perché presupponevano defatiganti e complessi accertamenti tecnici caso per caso.
Ci volle l’Unione Europea, con le sue direttive, a far sì che negli anni si ’90 si arrivasse ad una rivisitazione complessiva della normativa; e le nuove norme introdussero quel che prima mancava, cioè un sistema organizzativo che prevedesse compiti, responsabilità, obblighi, documentazioni, sanzioni, individuati ed attribuiti a tutti gli attori della sicurezza in azienda, non solo al datore di lavoro; tra gli esperti in materia c’è chi sostiene che già questo era, in nuce, un vero e proprio SGSL – Sistema di gestione della Sicurezza sul Lavoro, cui abbiamo accennato in precedenza). Fu emanato così il D. Lgs. 626/1994, dedicato alle attività svolte, diciamo, nelle unità produttive fisse, quali uno stabilimento, un negozio, un vettore, introducendo concetti, obblighi e strumenti, tuttora in vigore, che ogni lavoratore dipendente, o anche autonomo, conosce (o dovrebbe …): il datore di lavoro, il dirigente/preposto, il Documento di Valutazione dei Rischi – DVR – il Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenza -DUVRI – i Piani di evacuazione/emergenza, il Primo Soccorso, il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, il Medico Competente, la sorveglianza sanitaria, gli obblighi di formazione/addestramento, Ad esso seguì, nel 1996, il D. Lgs 494/1996, destinato ai luoghi di lavoro temporanei e mobili: cioè a luoghi di lavoro non solo, come da intestazione, temporanei (la costruzione o ristrutturazione di un immobile) e magari mobili (la costruzione di una strada o ferrovia, il traforo di una galleria); ma soprattutto dalla presenza, contemporanea o in successione, di più imprese, ciascuna con il proprio sistema di gestione e necessariamente da coordinarsi tra loro. Nel 1997 fu emanato il D. Lgs. 334 destinato ai luoghi di lavoro a rischio di incidente rilevante – RIR – (ad esempio, grandi complessi chimici, pensiamo a Marghera, Ravenna, Ferrara, Priolo), con obblighi e misure rafforzate, stanti la pericolosità intrinseca delle attività e i possibili effetti anche esterni, su abitanti ed ambiente, di infortuni o anche meri incidenti. Vi erano poi norme per la gestione delle emergenze, cioè quegli eventi dannosi, o potenzialmente tali, che esulano dalla normale attività, spesso di provenienza esterna; ad esempio. nel marzo 1998 fu emanato uno specifico Decreto che riguardava la sicurezza antincendio, sostituito solo da altri decreti nel settembre 2021 e 2022. E abbiamo visto, con l’emergenza COVID-19, quanto la gestione delle emergenze sia importante, anche di origine esterna ma con effetti sull’attività lavorativa sia importante: e ricompresa, quindi, negli obblighi previsti.
Se guardiamo ancora una volta i trend infortunistici (discorso diverso, ma inconfrontabile, per le malattie professionali, come già spiegato) questa normativa appare abbastanza efficace: gli infortuni denunciati passano da 1.041.155 nel 1994 a 883.145 nel 2007, ed i mortali da 1328 a 1193; e ciò nonostante il pieno riconoscimento, a partire dal 2000, degli infortuni in itinere, che allargando l’area dei rischi tutelati aumenta il numero potenziale di eventi dannosi.
Già questi dati facevano giustizia di quelle voci (compresa quella del Ministro del Lavoro Sacconi nel secondo governo Berlusconi, del quale torneremo a parlare quando si tratterà della vigilanza) che proclamavano il “fallimento” del sistema ed in particolare del D. Lgs. 626/1994, chiedendo a gran voce meno obblighi, meno controlli, una vigilanza che facesse consulenza alle imprese che sbagliavano per mera ignoranza (sic …) e non sanzioni. La proposta assegnava poi agli organismi bilaterali (sono enti privati paritetici costituiti da associazioni datoriali e da sindacati dei lavoratori, senza scopo di lucro, diretti a fornire servizi e prestazioni in diversi settori, dalla formazione all’assistenza sanitaria), a fianco della attività formativa già tradizionalmente svolta, financo compiti di certificazione, sulla gestione della sicurezza, persino esimenti dalle responsabilità amministrative, civili e penali.
Arrivò invece la legge delega 123 del 03 agosto 2007 (viene da dire, in zona Cesarini, prima della caduta del secondo governo Prodi) e nel 2008 fu comunque emanato il vigente Testo Unico, il D. Lgs. 81/2008, che accorpava e sussumeva in unico testo le normative precedenti sopra citate (operazione sempre raccomandata nei manuali di diritto, non sempre attuata). Seguì, l’anno successivo, una robusta integrazione attraverso il D. Lgs. 106/2009, il DM del marzo 1998 sull’emergenza antincendio, cui ne seguirono altre di dettaglio e/o attuative, le ultime del novembre/dicembre 2022, che completano il sistema vigente. Il Ministro del Lavoro competente era di nuovo Sacconi, ma l’impianto non poteva cambiare, e poche furono le modifiche nell’ottica del progetto di riforma abortito.
Detto Testo Unico si presenta monumentale, anche per i continui aggiornamenti. Già il testo originario constava di 306 articoli e 51 allegati; il testo presente oggi sul sito dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con relativi decreti attuativi, circolari, accordi, interpelli ecc. (qualcosa si riportò già nel precedente articolo)
(https://www.ispettorato.gov.it/it-it/strumenti-e-servizi/Documents/TU-81-08-Ed-Gennaio-2023.pdf) consta di 714 pagine; la versione scaricabile (https://www.8108amatodifiore.it/), aggiornata al 30 gennaio 2023, “pesa” la bellezza di 24,67 megabyte. Per la sua struttura, i curiosi possono esaminare l’allegato.
In ogni caso, non si trattò di un mero riordino (appunto, un Testo Unico a raccogliere norme diverse), con qualche manutenzione/maggior definizione delle norme, e loro aggiornamento tecnico. Ci furono novità consistenti, invece, cui non riuscì invece ad affiancarsi, causa la fine anticipata della legislatura, un nuovo Testo Unico sull’assicurazione obbligatoria INAIL. L’innovazione di maggior peso fu l’attenzione al sistema istituzionale della prevenzione. Le norme precedenti dedicavano scarsa attenzione a ciò che accadeva fuori dai luoghi di lavoro, normando quasi esclusivamente adempimenti tecnici e gestione della sicurezza all’interno delle unità produttive. Il TU 81/2008, invece, disegna in primo luogo un sistema istituzionale di gestione della sicurezza sul lavoro, cui è dedicato un intero Titolo, con riflessi anche dal punto di vista tecnico; regola le attività di incentivazione pubbliche, prevede la costruzione del SINP – Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione – definendone le regole di alimentazione e gestione, e si preoccupa per la prima volta di ciò che accade dopo l’infortunio o la malattia professionale, in termini, come abbiamo visto, di responsabilità ed azioni di regresso, che vengono facilitate, nonché della possibilità di erogare prestazioni fisioterapiche e riabilitative a infortunati e tecnopatici. Vi è poi una parte relativa a “Partecipazione e consultazione dei lavoratori”, con la particolare attenzione al ruolo degli organismi paritetici; che, invece, superata dai mutamenti nelle attività economiche e nel mondo del lavoro (e non è detto sia un bene …) per questi ultimi di fatto non si è realizzata.
Non è possibile, e non pretenderò, di approfondire una materia così complessa e variegata, ben altri potrebbero farlo e con maggiore competenza del sottoscritto. Mi limiterò a segnalare, con estrema sinteticità, alcuni aspetti problematici dal punto di vista organizzativo, o meglio pratico, osservati nei miei quasi 19 anni di datore di lavoro nella mia qualità di dirigente pubblico responsabile di unità organizzative, con rischi classificati come medi ai fini delle obbligatorie attività formative (cfr. infra); ma ce ne sono ben altri.
La valutazione dei rischi ed il DVR – L’obbligatoria valutazione dei rischi dell’attività svolta dall’organizzazione, che si traduce nel relativo Documento di valutazione – DVR, ex art. 28 – nonché nel DUVRI – Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenza ex articolo 26, quando nell’unità produttiva operano anche altre diverse aziende, è l’elemento centrale di tutto il sistema di gestione configurato dal Testo Unico. Ciò in quanto non solo il DVR, (la cui redazione è obbligo del datore di lavoro non delegabile ex art. 17) indipendentemente dai i formati, cartaceo, informatizzato, in rete, che può avere e dalle relative date, individua gli attori/componenti del sistema di gestione (cfr. punto successivo), ma valuta appunto i rischi presenti, individuando le misure correttive che li eliminano, li riducono o ne mitigano le conseguenze, prevedendo piani di miglioramento. E deve essere aggiornato ad ogni modifica dell’attività svolta che abbia effetti sui rischi. Richiamo l’attenzione sul significato, etimologicamente, del termine “Valutazione”: essa è il risultato dell’attività del valutare, che significa dare un valore a qualcosa, non solo misurare; qui è il rischio (si ricorderà il concetto di Rischio come prodotto di Probabilità e Danno degli eventi lesivi), e non può bastare una mera fotografia. Nei fatti, la norma dice all’art. 15 che vanno valutati” tutti i rischi”, salvo dettagliare ulteriormente quali all’art. 28; seguono poi indicazioni relative ai singoli rischi, nei successivi articoli e titoli. Si resta però ancora molto più sul “cosa” che sul “come”, non bastando, sul come procedervi, lo specifico articolo 29, inevitabilmente piuttosto generico. Il risultato è che tale valutazione può essere di valore appunto assai diverso, grande o nullo, a seconda dei mezzi, della disponibilità e della volontà delle organizzazioni; e negli anni passati in più occasioni ho udito il personale di vigilanza lamentare la pessima qualità, o meglio, la mera formalità, genericità e astrattezza di molti DVR, magari prodotti in serie da qualche mediocre (magari risparmioso …) consulente. E non è un caso che tra le tante certificazioni di qualità in materia di sicurezza, ve ne sia almeno una su come si fa la valutazione dei rischi correttamente ed esaustivamente.
Individuazione e qualificazione dei ruoli organizzativi nella gestione della sicurezza – Il Testo Unico individua una serie di attori della sicurezza, con connessi compiti, obblighi e responsabilità anche penali: il datore di lavoro (con taluni obblighi non delegabili), i dirigenti e i preposti, figure essenzialmente gestionali, il RSPP – Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, cioè la figura tecnicamente qualificata che sovrintende alla sicurezza, il Medico competente per la sorveglianza sanitaria, vari addetti ad emergenza, evacuazione, primo soccorso, antincendio, anch’essi facenti parte del SSP (art. 31), nonché il RLS – Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza, con compiti di ausilio e controllo, nell’ottica di una condivisione della gestione. Ma:
- Il datore di lavoro può essere figura lontana dalla concreta realtà produttiva (si pensi agli amministratori delegati, o ai CEO, di grandi aziende plurilocalizzate e magari transnazionali); subentrano quindi i dirigenti, normalmente definiti tali se hanno autonomi poteri di gestione e di spesa, e i preposti, cioè coloro che in qualche modo hanno poteri gestionali sull’attività produttiva. La loro individuazione è sempre stata problematica, tanto che la giurisprudenza aveva elaborato la figura del “preposto di fatto”, a prescindere dalla sua consapevolezza di esserlo (con connesse responsabilità) e individuazione formale; l’individuazione formale è divenuta obbligatoria solo con le ultime modifiche del Testo Unico di fine 2022. Si aggiunga che nel settore pubblico il datore di lavoro viene normalmente identificato con il dirigente responsabile dell’unità organizzativa, il quale però di solito non ha alcun potere di spesa autonoma (e vincoli, normativi e di fatto, nella scelta del RSPP e del Medico competente, incarichi formalmente di carattere fiduciario revocabili senza obblighi di motivazione)
- Per tutti i componenti del SSP, datore di lavoro compreso, è prevista una idonea qualificazione, ma solo per il Medico competente sono tassativamente richiesti una laurea in medicina e determinate specializzazioni. Per i RSPP, dirigenti, preposti, altri componenti del SSPP basta un titolo di scuola secondaria superiore (uno qualsiasi …) e attestati di frequenza ad obbligatori, precedenti e determinati corsi di formazione (questi sì con requisiti più stringenti rispetto ai soggetti che li tengono), di durata e complessità crescente, periodicamente da rinnovare o mantenere attraverso un sistema di crediti per gli RSPP. Poiché individuare il RSPP è obbligatorio per il datore di lavoro, specie nelle realtà più piccole e meno strutturate la tentazione di nominare una risorsa interna purché volenterosa, fidando nella formazione esterna, può essere irresistibile ….
- La consultazione e partecipazione dei lavoratori si vede dedicata una specifica sezione, articoli da 47 a 52, di applicazione ed efficacia molto diseguale. Gli RLS – Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza – per i quali pure è obbligatoria una formazione periodicamente rinnovata, non sono presenti in tutte le unità produttive, l’incarico è volontario e non coercibile; possono essere emanazione delle RSU o RSA, o scelti altrimenti dai lavoratori, ma mai dal datore di lavoro (ci mancherebbe altro …). A supplire all’assenza possono essere chiamati gli RLST, Rappresentati dei Lavoratori della Sicurezza Territoriali, operanti su determinato ambito territoriali; è prevista anche la figura del RLS di sito produttivo, operanti appunto in siti industriali di grandi dimensioni ove normalmente operano, stabilmente e non temporaneamente come nei cantieri temporanei, più aziende diverse. L’idea di un coinvolgimento diciamo istituzionale dei lavoratori nella gestione della sicurezza è senz’altro buona; la sua realizzazione sconta limiti di fatto (la gestione della scurezza è inscindibile dalla gestione complessiva dell’impresa, e sappiamo come stanno le cose) e giuridici; cioè i limiti alla consultazione del DVR, possibile solo all’interno dell’unità produttiva, fortemente voluti dalle associazioni datoriali ad asserita tutela del segreto industriale, e la pressoché mancata attuazione del sistema della bilateralità di cui agli articoli 51 e 52. In particolare, l’art. 51 definisce e regola l’attività degli organismi bilaterali paritetici (più spesso semplicemente detti enti bilaterali , e con le ultime modifiche di fine 2022 in qualche modo li fa censire; l’art. 52 prevede addirittura un fondo presso l’INAIL, ad alimentazione anche forzosa, a sostegno dell’attività di detti enti e della piccola e media impresa; ci limitiamo a dire che l’intero meccanismo non è stato ancora attuato e tutto fa pensare che non lo sarà neppure in futuro, certo non a breve.
Obblighi e oneri amministrativi e documentali: una anche sommaria ricognizione del Testo Unico fa emergere che molti sono i documenti da tenere e periodicamente aggiornare (es. DVR, connessi piani di miglioramento, DUVRI, Piani di Emergenza e Evacuazione, CPI – Certificati di Prevenzione Incendi, registri del personale esposto a determinati rischi, Registro infortuni finché esistente, registri di manutenzione delle apparecchiature e di controllo delle attrezzature antincendio nonché delle cassette di primo soccorso, relazioni sull’eventuale presenza di amianto friabile e relative certificazioni, certificazioni relative a macchine ed impianti, esiti delle verifiche periodiche da compiere da parte dei tecnici ex ISPESL, ora UOT CVR INAIL su impianti di sollevamento, apparecchi a pressione e simili, relazioni e misurazioni specifiche relative agli impianti radiologici e via enumerando; e non va dimenticata tutta la gestione de smaltimento di eventuali rifiuti pericolosi, nei suoi riflessi non solo sul luogo di lavoro ma più ampiamente ambientali). Sussistono parimenti diversi oneri di comunicazione, magari anche pesantemente sanzionati, incombenti sul datore di lavoro ed i suoi collaboratori: denunce di infortunio e MP all’INAIL, denunce al SSN ai soli fini statistici degli infortuni di durata di un giorno, registrazione delle malattie lavoro correlate ex art. 139 TU INAIL – cosa diversa e solo in parte coincidente con le malattie professionali – altre rilevazioni in carico ai Medici competenti, denunce preventive di cui sopra alle UOT CVR INAIL, denunce su sostanze pericolose, eccetera. È oggetto di dibattito se il sistema in questione, vera e propria ossatura del Testo Unico, sia semplificabile e come; sicuramente costituisce un onere importante, specie per imprese/organizzazioni di minori dimensioni o che, pur svolgendo magari attività non particolarmente rischiose, non hanno al proprio interno risorse quantitativamente e qualitativamente idonee. IL rischio è che tale documentazione finisca per valutare e gestire il rischio solo sulla carta; e che i datori di lavoro e gli altri componenti dei SPP si concentrino sugli aspetti formali – “avere le carte a posto” – di documentazione/comunicazione, in quanto anche pesantemente sanzionati, a scapito del contenuto e dell’effettiva gestione dinamica della sicurezza. E il trade off, lo scambio tra oneri ed efficacia della prevenzione, specie nelle attività a basso rischio, può apparire ineguale …. Sussiste infine un obbligo anche organizzativo, in presenza di un certo livello di rischio e per le unità produttive al di sopra di certe dimensioni, di attivare un primo soccorso aziendale.
Formazione e addestramento dei componenti del SSP e dei lavoratori
Il Testo Unico, come già le precedenti norme degli anni’90, prevede (art. 37) un generalizzato obbligo di informazione e formazione per i lavoratori, periodicamente da riprendere/aggiornare, in relazione alle attività, i loro cambiamenti, ed i livelli di rischio. Ed è una statuizione importante, se è vero, come i dati dimostrano, che la stragrande maggioranza degli infortuni è causata da comportamenti errati, omissivi o commissivi che siano. Analoghi formazione e aggiornamenti sono previsti per i componenti del SSP e i datori di lavoro (preciso: nelle imprese al di sotto di certe dimensioni il datore di lavoro può svolge anche il ruolo di RSPP), di durata e complessità variabile (minimo 4) ore, a seconda dei ruoli ricoperti e dell’attività svolta. La materia è regolata nei dettagli da uno specifico Accordo Stato Regioni risalente al 21 dicembre 2011; ne era previsto un rinnovo entro il 30 giugno 2022, che non è avvenuto; al momento circolano solo delle bozze. Il limite principale del sistema, già inutilmente segnalato da molti addetti ai lavori già all’emanazione, è che, come metodologia didattica, è tuttora sufficiente la lezione frontale, nei numeri di ore previsti; di recente la videoconferenza è stata assimilata alla lezione frontale in presenza (art. 9 bis del Decreto-legge 24 del marzo 2022). Simulazioni ed addestramento sono obbligatori, e registrati in apposito registro, per tutti, dal 2022, integrando i precedenti più ristretti obblighi per gli addetti all’emergenza, all’antincendio (vi provvedono i Vigili del Fuoco, con prove pratiche al primo corso ed agli aggiornamenti successivi) ed al primo soccorso, nonché nelle aziende a rischio di incidente rilevante. Dal 2021, l’obbligo di aggiornamento e verifica costante delle conoscenze è stato ribadito, ma non ulteriormente precisato, e che avrebbe dovuto essere dettagliato dal nuovo Accordo Stato regioni non ancora uscito. Ora, è sicuramente vero che molte aziende compiono attività di formazione ed addestramento non obbligatorie spontaneamente, in ciò supportate, anche molto efficacemente, dagli Enti Bilaterali, o adottano metodiche/sistemi di gestione della sicurezza che vanno oltre i meri obblighi di informazione, formazione ed addestramento; ma è altrettanto vero che in molti altri casi l’attuazione di tali obblighi è gravemente insufficiente. Per contro, sussistono ulteriori elementi oggettivi che “remano contro” all’efficacia delle norme così come sono oggi:
- Frammentazione del mercato del lavoro e precarietà – la sempre maggior diffusione dei contratti a tempo determinato, intermittente, a chiamata, anche di durata molto molto breve; il lavoro somministrato (la formazione generale è compito dell’Agenzia di somministrazione, quella specifica dell’azienda utilizzatrice; ma le “missioni” presso quest’ultima possono durare pochi giorni); l’affidamento di parte del ciclo produttivo (anche all’interno delle unità produttive e non solo per la logistica) a imprese esterne, spesso cooperative di dubbia regolarità anche dal punto di vista normativo e contributivo.
- Presenza di lavoratori stranieri, in particolare nei settori più a rischio (edilizia, agricoltura, certe attività industriali come le fonderie, logistica, trasporti), con le relative difficoltà linguistiche e culturali; non è questa le sede per approfondire, un discorso assai complesso (anche perché gli “stranieri” sono molto diversi tra loro). Tuttavia anni fa tutte le statistiche indicavano che i lavoratori stranieri si infortunavano di più degli italiani, anche a parità di rischio affrontato.
- – Diversamente che per gli altri rischi, per la valutazione dello stress lavoro correlato (ancora obbligatoria) secondo il comma 1-bis dell’art. 28 un modello con qualche vincolatività esiste: si tratta delle indicazioni della apposita Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, prevista dall’articolo 6 e operante presso il Ministero del Lavoro. La materia è estremamente complessa, e tocca non solo la gestione della sicurezza all’interno delle organizzazioni, ma ne valica i confini: merita quindi una specifica trattazione, da fare altrove.