Nei precedenti quattro articoli si è parlato degli eventi dannosi (quali, quanti, dove, con quali conseguenze, eccetera) e di cosa accade dopo, cioè a evento dannoso comunque verificatosi, cioè quando interviene l’INAIL nella sua qualità di gestore dell’assicurazione obbligatoria (in Italia, pubblica), contro gli infortuni e le malattie professionali. È questo un intervento essenzialmente a posteriori, a danno = evento infortunistico o tecnopatico, già avvenuto.
Converrà ora, invece, parlare di cosa si deve, o si può fare, per evitarli, a livello di singola azienda/ente nonché di società e istituzioni, quindi di quello che possiamo chiamare sistema della Prevenzione. Dirò subito che il tema è molto complesso e con variegati collegamenti con altre normative, con assetti istituzionali, con la struttura economica e la cultura d’impresa; e norme e strumenti hanno visto, negli anni, una notevole evoluzione, che si è riflessa nella diminuzione pressoché costante almeno degli infortuni, mentre diverso, se vogliamo ambiguo, è come si è visto il caso delle malattie professionali. Una cosa è però indubitabile: non sussistono soluzioni semplici, o monodimensionali. Spesso, quando accade qualche fatto esaltante, o quando le statistiche su infortuni e malattie professionali salgono (sempre brevemente) agli onori della cronaca, immancabilmente c’è chi (forze politiche e sociali, sia pure con sfumature, accenti e coerenza diversi), richiede più vigilanza, norme obbligatorie più stringenti e pene più dure/nuove norme penali; non tenendo però conto del fatto che nessun sistema di norme, anche giuridiche, si può fondare solo sul timore delle sanzioni, ma che tutti richiede una sostanziale adesione da parte dei destinatari, attraverso quella che con l’inglese spesso de noantri viene detta compliance. E sulla dubbia o scarsa efficacia di norme penali più dure in termini di prevenzione, in qualsiasi campo, esistono numerosi studi. Dall’altro lato del campo, i fondamentalisti del libero mercato, e qui mi limito a citare l’Istituto Bruno Leoni, noto think tank del pensiero neoliberista, coerentemente contrario ad ogni intervento pubblico (il contenuto del suo sito è altamente istruttivo), sostiene che una liberalizzazione completa dell’assicurazione, che premiasse le imprese virtuose con minori premi e spremesse le altre con incremento dei premi stessi stesse, non solo basterebbe, ma sarebbe più efficace dell’attuale sistema pubblico, obbligatorio e solidaristico: la mera convenienza economica incentiverebbe i giusti investimenti e la giusta cultura d’impresa, quale che sia il rischio dell’attività, le imprese virtuose resterebbero e le altre potrebbero anche sparire, peggio per chi si è infortunato nel frattempo e per chi perderà il lavoro in quanto occupato in un’azienda poco virtuosa …. Fortunatamente, almeno per ora, queste rimangono dichiarazioni puramente ideologiche; neppure il secondo governo Berlusconi, che nel 2001 aveva esordito con l’idea di privatizzare del tutto l’assicurazione contro infortuni e malattie professionali (e quindi anche l’INAIL), portò avanti poi l’idea; anzi, le forze politiche di centrodestra, da allora e ancor oggi hanno costantemente espresso i vertici dell’INAIL, con all’occorrenza sbrigativa neutralizzazione dell’alta dirigenza interna non allineata.
Per una efficace sicurezza sul lavoro occorre invece una pluralità di strumenti, utilizzati da una pluralità di attori, e da applicare (e adattare/migliorare) costantemente. In maniera estremamente sommaria, e con qualche arbitrarietà nella classificazione, di cui chiedo scusa a chi studia professionalmente la materia, mi azzardo ad individuare cinque categorie di strumenti, di cui faccio qui una sintetica presentazione, riservando a ciascuno una successiva, specifica trattazione; trattazione che, ne sono consapevole, non potrà essere molto di più che un’occasione di approfondimento ulteriore.
- Normativa obbligatoria “diretta” assistita da sanzioni amministrative e penali (cioè che prescrivono, più raramente vietano, comportamenti attivi o omissivi, costituenti reati) e, per queste ultime, connessi risarcimenti per chi è danneggiata/o dal reato ove, come da principi generali, si costituisce parte civile contro chi è riconosciuta/o colpevole. Si tratta essenzialmente del vigente Testo Unico D. Lgs. 81/2008, frutto di una evoluzione storica (non solo tecnica, ma soprattutto organizzativo e istituzionale, e con un decisivo ruolo delle norme europee), e che si può far partire, per quanto oggi tuttora di interesse, agli anni ‘50 del secolo scorso, e che si tratteggerà nelle sue tappe principali. Si aggiungono altre norme, per lo più settoriali: in primo luogo le diverse decine di decreti attuativi dello stesso TU, relativi a specifici rischi o tipologie di attività, cui se ne aggiungono altre diciamo indipendenti: ad esempio, il DPR 177/2011 sulle attività in spazi confinati e soggetti ad inquinamento, o tutta la complessa normativa sulla radioprotezione; in parte lo stesso TU 1124/1965 sull’assicurazione obbligatoria INAIL. Vi è poi il D. Lgs. 231/2001, che disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, tutti e in ogni campo, ma con uno specifico articolo, il 25 septies, dedicato ai reati di “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”. Ovviamente, esiste poi tutta la normativa esclusivamente tecnica dell’Unione Europea relativa alla marcatura CE di macchine ed impianti, che vieta produzione e commercializzazione in assenza di determinati requisiti, certo essenziale anche con riferimento alla sicurezza, e con i corollari della relativa responsabilità di chi produce e commercializza, ma che ovviamente non può essere trattata qui per vastità ed eterogeneità.
- Norme sulla vigilanza – Ovviamente, un qualsiasi sistema di norme (non solo quelle giuridiche …) richiede un apparato sanzionatorio in caso di violazioni e quindi un controllo sui comportamenti da tenere/evitare. Troviamo quindi in primo luogo, almeno temporalmente, le norme in materia di autorizzazioni preventive per certe attività pericolose (quelle già di competenza dell’ISPESL, oggi assorbito dall’INAIL, relativamente a servizi Ascensori e Montacarichi da cantiere, Attrezzature di Sollevamento, Impianti di Messa a Terra Apparecchi a Pressione e Impianti di Riscaldamento); seguono poi soprattutto quelle sulla vigilanza vera e propria in costanza delle attività produttive. La vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro ha inevitabili connessioni con quella in materia di lavoro (rispetto delle norme e dei contratti collettivi), non solo e non tanto dal punto di vista normativo/organizzativo, ma perché, persino banalmente, se il lavoro è irregolare certo non vi è attenzione alla sicurezza dello stesso. La normativa principale è ancora il TU 81/2008, con a lato il D. Lgs. 758/1994 “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro”. Attenzione: in materia di vigilanza, organi e competenze sono già oggi parzialmente diversi, o quantomeno assumono assetti organizzativi particolari, nelle Regioni a Statuto Speciale e nelle Province autonome di Trento e Bolzano. Ma l’autonomia regionale differenziata in discussione oggi (dichiaro: sciagurata …) potrebbe avere effetti importanti sulla vigilanza, come anche sul lavoro e quindi la sua sicurezza e relative norme di cui al punto precedente, visti i progetti sul campo. In particolare, il numero di ispezioni in materia di sicurezza (in percentuale sulle aziende attive) rientra oggi nei LEA in quanto considerato di competenza del Servizio Sanitario Nazionale/regionale; tutto da vedere cosa accadrebbe con i previsti LEP = Livelli Essenziali di Prestazione, che la bozza di riforma in discussione prevede sostituiranno i LEA: quindi, ancora una volta, se son rose fioriranno, anzi, credo ci saranno molte spine e poche, o nessuna, rosa. In ogni caso, si cercherà di esporre qualche risultato (i dati non sono facili da reperire), dando una sommarissima occhiata a quel che accade al di fuori dei nostri confini nazionali, relativamente agli indirizzi in materia di vigilanza.
- Norme che indirettamente svolgono una funzione dissuasiva, oltre che riparativa, comportando conseguenze patrimoniali negative, cioè sanzioni civili e obblighi di risarcimento economico: sono quelle del Codice civile, in particolare l’art. 2087, nonché quelle già illustrate parlando del bonus malus dell’assicurazione obbligatoria INAIL e delle azioni di regresso verso i datori di lavoro, o di surroga verso terzi, in caso di loro responsabilità nel verificarsi di eventi dannosi. Per far fronte a tali conseguenze patrimoniali negative chi può permetterselo (aziende e singoli i cui compiti possono esporre a tali responsabilità) stipula specifiche polizze assicurative; quindi, regolate dal Codice civile e dal cosiddetto Codice delle Assicurazioni, cioè il D. Lgs. 209/2005.
- Norme e strumenti di incentivazione economica dirette ad attività di prevenzione: oltre al bonus – malus dell’assicurazione INAIL legato all’andamento infortunistico, (ricordiamo, automatico), vi è una seconda, ulteriore oscillazione, anzi riduzione, del tasso di premio, prevista a domanda, ed anno per anno, dall’articolo 23 della vigente “Tariffa” INAIL, subordinata a miglioramenti in materia di prevenzione, sicurezza ed igiene del lavoro ulteriori rispetto alle norme obbligatorie. Esistono poi specifici finanziamenti diretti, per interventi di miglioramento, erogati dall’INAIL (i cosiddetti bandi ISI, cui abbiamo accennato anche nel precedente articolo) o dalle singole regioni o altri enti. Tutti sono assoggettati a procedure d evidenza pubblica (cioè previa partecipazione a bandi pubblici), co-finanziamento (cioè l’erogazione copre solo una parte dei costi, la restante resta a carico del soggetto richiedente), inclusione di quanto ricevuto nei cosiddetti “aiuti di stato”, come da normativa dell’Unione Europea, e relativi de minimis (cioè gli importi massimi di aiuti che un singolo soggetto può ricevere in un periodo di tempo dato; altri aiuti, anche meramente normativi, sono proibiti). L’argomento fornisce un assist, per usare un linguaggio cestistico, a chi fosse interessato, per approfondire il ruolo dell’intervento pubblico in economia, dove il consolidato, dogmatico non interventismo dell’Unione Europea in nome di una astratta libera concorrenza (da cui appunto il divieto degli aiuti di stato), già messo in crisi dalla pandemia fino a partorire il PNRR, ha di fronte oggi la sfida dell’Inflation Reductiona Act degli USA: cioè la più grande iniezione di denaro pubblico nell’economia occidentale da decenni, escluse quelle di salvataggio delle banche dopo la crisi del 2007-2008: entrambi casi da manuale, e qui mi fermo perché sto divagando, di come si possano sostenere teorie liberiste (ultra o ordo, lasciano fare al mercato….) e non interventiste adottando in realtà parole vituperate politiche opposte, quando i mercati falliscono o si guardano bene dall’intervenire.
- Strumenti tecnico organizzativi, volontari pur se talvolta incentivati direttamente, che migliorano in maniera strutturata la gestione della sicurezza (diminuzione di numero e gravità degli eventi, esonero da responsabilità amministrative e penali, esonero o mitigazione dalle responsabilità economiche civili, minori costi aziendali prima, sociali poi, di infortuni e malattie professionali) – Qui il campo è amplissimo, e gli strumenti sono moltissimi e assai vari, e non si potrà che accennarvi, o forse solo elencarli: si va da singole norme tecnico-organizzative, per singole tipologie di attività o per singoli rischi talvolta normativamente previste (come i PiMUS, i piani di montaggio e smontaggio dei ponteggi), a tutta la problematica della raccolta dati, studio ed analisi degli eventi, nelle loro cause, modalità di accadimento, conseguenze (il TU 81 istituisce allo scopo il SINP, Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione; a livello europeo, pur con qualche differenza su cosa si considera infortunio o malattia professionale, si utilizza il sistema di codifica ESAW3, che analizza il singolo evento attraverso qualche decina di variabili, ad uso non solo statistico ma appunto prevenzionale). Crescente diffusione hanno i SGSL, – Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro – certificati o meno che siano, i quali riproducono in materia di sicurezza sul lavoro i sistemi le certificazioni esistenti in altri campi, ad esempio, relative alle attività produttive (le ISO 9000) o ambientale (ISO 14000), o i MOG – Modelli di Organizzazione e Gestione, cui abbiamo accennato prima. Si accennerà, infine, all’ Agenzia dell’Unione Europea con sede a Bilbao. Da tutti questi materiali emergono, e sottolineo da subito due aspetti:
- la gestione della sicurezza in azienda non può essere disgiunta dalla più complessiva gestione dell’azienda stessa; il che ci consentirà di aprire una finestra sulla necessaria cultura d’impresa (organizzativa e relazionale prima che tecnica) e la sua efficacia prevenzionale, anche in termini ed economici, cioè sui costi degli infortuni e delle malattie professionali, aziendali prima e sociali poi.
- i costi della non sicurezza sono ben maggiori degli investimenti per ottenerla; e detti investimenti hanno un ritorno economico (ROI,) di tutto rispetto, ancora una volta sulla complessiva gestione aziendale; viene spontaneo un parallelo con la sicurezza idrogeologica del nostro paese ….. SGSL e MOG sono in ogni caso sistemi complessi, che mal si adattano a realtà produttive di minori dimensioni, quali sono la maggioranza di quelle italiane: e qui, accanto a SGSL semplificati, ed alle cosiddette Buone Prassi (cioè sistemi e metodi semplificati e meno strutturati, ma validati da appositi organismi nazionali, come da TU 81), si accennerà a qualche altro sistema, quali quelli della sicurezza partecipata, e al Sistema BBS (Behavior Based Safety, Sicurezza basata sui comportamenti). Con la consapevolezza che non risulta esistere un’unica banca dati che li raccolga.
Vaste programme, programma ampio, questo? (l’espressione è attribuita a De Gaulle, quando, in un’occasione contestato, così avrebbe risposto a chi urlava “Morte ai cretini”). Confido non lo sia troppo; e soprattutto mi piacerebbe che tra i lettori, che spero saranno più dei ventiquattro che con qualche civetteria si attribuiva il Manzoni nei Promessi Sposi, magari qualcuno vorrà dire la sua su quanto via via esposto. Buona lettura, e ai prossimi articoli.