Partiamo da una constatazione. Il “Gruppo Dante” dell’Associazione degli Italianisti è stato attivo, soprattutto durante le celebrazioni del settimo centenario della morte del poeta (2021), per organizzare incontri di carattere internazionale, rivolti al mondo della scuola e dell’università, ma seguiti anche da moltissimi appassionati. Sono intervenuti decine di scrittori, italiani e stranieri, dal premio Nobel Wole Soyinka alla statunitense Marilynne Robinson, da Nicola Lagioia a Walter Siti, da Edoardo Albinati alla russa Marija Stepanova: un intero volume, con oltre venti contributi, è stato pubblicato da Rizzoli con il titolo Se tu segui tua stella, non puoi fallire. In nessuno di questi testi è mai emerso il problema se Dante fosse di destra o di sinistra, evidentemente perché non c’era nessun interesse a farlo rientrare in uno schema così rigido e fuorviante.
Un Dante che enuncia i princìpi fondativi del pensiero di destra, come ha sostenuto il ministro Gennaro Sangiuliano in un intervento pubblico del 14 gennaio 2023, è davvero un’invenzione da ogni punto di vista, storico, culturale, ideologico che sia. La sua spinta fondamentale, in qualunque opera, è stata quella di superare i confini prestabiliti: in una sua Egloga, un testo poco noto ai non specialisti ma non per questo meno importante, paragona la sua ispirazione a una pecora che dà molto latte ma va dove vuole lei. E nelle scelte concrete, i valori umani che ha sottolineato dipendono da un lato dalla grande tradizione cristiana, ma dall’altro anche dalla necessità di limitare i poteri impropri, persino quelli del papa e della Chiesa del Trecento, a favore di un’auctoritas che fosse prima di tutto giusta e garantita da un ordine dotato di una sua specificità, quello dell’Impero.
Sono riflessioni condotte esplicitamente in trattati come il Convivio o la Monarchia (a lungo inserita fra i libri all’Indice), riprese e discusse ad altissimo livello, per esempio dal grande teorico del diritto Hans Kelsen. Pure in questo ambito specifico, mai si è arrivati a parlare di un Dante ‘di destra’ come potremmo intenderlo noi oggi, perché assai diversi sono i paradigmi culturali che vengono a confrontarsi. Evidenziare troppo singoli aspetti del pensiero dantesco, per esempio quelli contro lo sviluppo dell’economia mercantile che nasceva ai suoi tempi, ha potuto condurre a forzature, pure da parte di intellettuali di sinistra come Edoardo Sanguineti. E certo, etichette quali “padre della patria” o “padre della lingua italiana” fanno parte di una rilettura da considerare storicamente e non di una classificazione definitiva. Ma in ogni caso, un conto è soffermarsi su motivi per cui si può vedere in Dante un precursore, un conto è considerarlo, in tutto e per tutto, un pensatore inseribile in una precisa corrente di ideologia politica.
Nelle tante iniziative nate con il Dantedì, che dal 2020-21 invita ogni anno, il 25 marzo, a ricordare l’opera dantesca in forme originali e sulla base di letture attente e di interpretazioni puntali, sia nelle scuole che nelle università, non sono mancate le spinte all’attualizzazione da parte degli studenti: parlare del femminicidio partendo dalle storie di Francesca da Rimini o di Pia dei Tolomei è adesso quasi ovvio, benché si tratti di una categoria che non si può applicare al periodo storico tardomedievale. Lo scopo degli incontri fra docenti e discenti è proprio questo: far intendere meglio cosa è cambiato nel tempo, capendo e non stravolgendo i presupposti di partenza, ma senza chiudersi al confronto con la contemporaneità, ossia con il nostro orizzonte di pensiero. Comprendere Dante, così come ogni grande autore del passato (persino recente), implica uno sforzo e però aumenta la capacità di distinguere, di cogliere le sfumature, di rispettare persino le differenze su questioni morali o religiose che non siamo più disposti a trattare come in passato.
Tutto questo verrebbe drasticamente bloccato se si affermasse l’idea che Dante è stato, senza alcun dubbio, un pensatore di destra, anzi il fondatore stesso della Destra come possiamo conoscerla ora, dopo la fase dei totalitarismi. In quella fase in Italia si è persino asserito senza ironia che Dante, attraverso l’allegorico salvatore denominato Veltro, aveva profetizzato proprio la venuta di Benito Mussolini. Forse nessuno è più disposto ad arrivare a tanto, ma un’affermazione perentoria e semplificatrice come “Dante è di destra” in effetti è solo la versione più astratta e generale di quella che abbiamo appena commentato. Non possiamo quindi sottovalutare quanta turbolenza possano produrre slogan sin troppo facili da introiettare e ripetere. Si può discutere nel merito, perché ogni opinione posta correttamente è degna di essere valutata: e così sarebbe facile dimostrare che quella oggi discussa è un’opinione inesatta e forzata.
Nell’immediato, la polemica sul “Dante di destra” ha fatto intervenire critici e intellettuali, in particolare Massimo Cacciari e Luciano Canfora. Ma il ministro Sangiuliano ha poi precisato i suoi testi di riferimento in una lettera al “Corriere della Sera” pubblicata il 16 gennaio 2023: si citano qui, opportunamente, Giovanni Gentile e Augusto Del Noce, che avevano inserito Dante nelle loro grandi ricostruzioni storico-ideali, appunto subordinando a quelle l’esatta definizione del suo pensiero. Gli studi attuali, per esempio, sarebbero del tutto contrari ad attribuire a Dante un’idea di nazione italiana comparabile a quella che si è venuta a delineare a partire dall’Ottocento: la scelta, a quell’epoca, di attribuirgli un ruolo di padre nobile non deve far dimenticare che, per Dante, l’Italia era un’entità non autonoma ma parte integrante dell’Impero, anzi suo ‘giardino’, luogo bellissimo e cantato sin da Virgilio, però non a sé stante. L’appello a un’Italia personificata, nel canto VI del Purgatorio, vale soprattutto per sottolineare a cosa portavano le discordie fra comuni in assenza di un potere super partes quale doveva essere quello dell’imperatore. Insomma, l’opinione sul “Dante di destra” non regge alla prova dei fatti, ma è il frutto di un’interpretazione fortemente orientata che rischia di far dimenticare il ruolo proprio di ogni grande opera artistica: quello di formare a livello intellettuale chi le interpreta con discrezione e competenza, ridotto invece a quello di banditrici di ideologie che si sono sviluppate su altre basi e con altre prospettive.
Questo articolo è stato pubblicato su Le Parole e le cose il 18 gennaio 2023. Immagine di copertina, Wikimedia Commons