Il messaggio di Lisistrata

di Lidia Maggioli /
20 Gennaio 2023 /

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Nella prima conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla condizione della donna, tenuta nel 1975 a Città del Messico, viene sottolineata fra l’altro l’esigenza di “un maggiore contributo delle donne alla pace globale”. Vent’anni dopo a Pechino, in occasione della quarta conferenza, si elencano tra le 12 aree critiche da affrontare – dalla povertà all’istruzione, dalla violenza ai diritti e altro ancora – anche i conflitti armati.

Tutte le guerre sono combattute per denaro, diceva Socrate. Dagli uomini, bisogna specificare. Per contro la presenza delle donne nei percorsi di pace è ricercata come risorsa preziosa. Lo sapeva già il commediografo ateniese Aristofane quando nel V secolo a. C. mise in scena nella “Lisistrata” l’accordo tra cittadine ateniesi e spartane per uno sciopero sessuale finalizzato a far cessare la guerra tra i loro mariti. Nei nostri tempi l’idea ha ispirato la regista libanese Nadine Labaki. Nel film “E ora dove andiamo?” mette in scena l’iniziativa di donne musulmane e donne cristiane che si coalizzano per ridurre l’aggressività dei loro uomini.
 
Le decisioni militari in merito alla guerra sono ancora prerogativa largamente maschile. Nell’inventario di guasti e violenze che ne derivano va incluso lo stupro, una costante dei conflitti in tutte le aree del mondo e in tutti i tempi. Lo scopo è quello di umiliare la donna della parte avversa e di far nascere figli prodotti dal seme dell’aspirante vincitore-padrone.
 
Silvia Vegetti Finzi ritiene che la guerra sia incompatibile con la sensibilità femminile per la potenzialità generativa che la donna comunque porta in sé, che sia o non sia madre. Sottolinea che per migliaia di anni gli eserciti sono stati esclusivamente maschili. L’affermazione che tutta l’umanità è stata generata da donna – colei che perpetua la vita e ne è la depositaria – risulta solo in apparenza banale. Oggi la guerra è tornata con prepotenza nelle nostre vite.
 
Non era facile immaginare che un’intera generazione di sostenitori della coesistenza pacifica tra i popoli, del disarmo e della solidarietà, educata al valore del ripudio della guerra, avrebbe conosciuto un ritorno in grande stile del riarmo e la partecipazione di fatto del nostro Paese a un conflitto fra due Stati non appartenenti all’Unione europea, né all’alleanza militare a cui l’Italia è vincolata.  “Sviluppo al posto di armi”, era questo lo spirito che animava i cittadini progressisti. Ѐ d’obbligo parlare al passato. Nel 2021 l’Italia registra l’incremento del 6% delle spese militari. Nel 2022 queste raggiungono i 26 miliardi di euro. Per il 2023 viene approvato dal Parlamento un ulteriore aumento di 800 milioni di euro nello stesso settore di spesa.
 
Intanto a giugno 2022 la base militare di Ghedi (Brescia) vede arrivare il primo caccia F-35 di nuova generazione, un velivolo in grado di trasportare armi nucleari potenzialmente capaci di distruggere intere città. L’aereo, ora prodotto anche in Italia, ha il costo unitario di 150 milioni di euro. Il solo casco del pilota costa 400 mila euro. A livello planetario si registra la stessa tendenza benché tutti sappiano che accrescere la platea degli armamenti, lungi dal rendere il mondo più sicuro non fa che alimentare nuovi conflitti per la soddisfazione di quanti se ne avvantaggiano con le vendite. Il Sipri calcola che negli ultimi dieci anni l’industria complessiva delle armi ha fatturato qualcosa come cinquemila miliardi di dollari. Ѐ del tutto evidente come privilegiare questo settore significhi sguarnirne altri, dalla scuola, alla sanità, alla cura del territorio, all’emergenza climatica, alla cultura, all’arte. Per non parlare della solidarietà verso i più svantaggiati sia entro i confini nazionali che fuori. Ѐ stato detto giustamente che attaccare i diritti sociali e sostenere la produzione di armi è una colpa incancellabile dei politici.
 
Sconcertante poi la proliferazione di ordigni atomici proprio quando l’Onu approva il trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPNW) – entrato in vigore il 22 gennaio 2021 – e apre un percorso verso la loro completa eliminazione. Un’arma che minaccia la sopravvivenza della civiltà non può essere fondamento della sua sicurezza. Basare la difesa sulla deterrenza nucleare è follia e ipocrisia. Lo dicono le migliaia di donne e uomini giapponesi che per oltre 70 anni hanno continuato a denunciare l’orrore di Hiroshima e Nagasaki.
 
Secondo il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), Rafael Mariano Grossi, il rischio nucleare per un ordigno che potrebbe colpire la centrale atomica di Zaporizhia è effettivo, benché i Governi e i politici che dovrebbero garantire la sicurezza dei popoli per il bene dei quali dicono di agire, fingano di stare vivendo la “normalità” della guerra. Nel teatro bellico dell’Ucraina nei giorni scorsi si è imposta senza filtri la protervia maschile quando sia l’uno che l’altro dei contendenti si sono vantati di avere ucciso in un’azione bellica da un lato 400 soldati nemici, dall’altro addirittura 600. Esultanza trasmessa al mondo intero benché fosse un falso, cosa che fa apparire l’esternazione ancora più disumana e grottesca.
 
Non lontano da quell’area geografica quasi ottant’anni fa milioni di uomini morivano sul campo di battaglia dopo l’invasione tedesca, e le donne dovettero supplire a tale mancanza. Nella testimonianza che chiude La guerra non ha un volto di donna di Svetlana Aleksievič, l’istruttrice sanitaria Tamara rievoca con una commozione che il tempo non ha scalfito, la straziante esperienza vissuta un giorno a Stalingrado. Sul terreno trova due feriti. Ne fa avanzare uno per un tratto, poi va a prendere l’altro e lo trascina per i piedi nel fumo della battaglia. Sono stati colpiti duramente, stanno perdendo molto sangue. “Sono uguali… ustionati, carbonizzati.” Non può abbandonarli. Quando il fumo si fa più rado, mentre si allontana carponi dal luogo dello scontro, guardando meglio vede una medaglietta diversa, un orologio diverso. “A un tratto scopro di stare trascinando uno dei nostri carristi e un tedesco… Quella divisa maledetta… Sono terrorizzata: là i nostri stanno morendo e io metto in salvo un tedesco.”  Che fare? Un uomo sta morendo, un altro sta gridando… “Trascino il corpo del nostro ferito e penso: Devo tornare o no a riprendere il tedesco?” Se l’avesse abbandonato, di lì a poco sarebbe morto. “E sono tornata a riprenderlo strisciando. Ho continuato a trascinare entrambi.” Accadeva a Stalingrado durante la più terribile delle battaglie. “Stella mia, non si possono avere due cuori: uno destinato all’odio e uno all’amore. Una persona possiede un cuore solo e io ho sempre pensato a come salvare il mio.”
 
Oggi è urgente una mediazione autorevole che porti al cessate il fuoco in Ucraina per scongiurare il peggio. Ed è necessario aprire il tavolo delle trattative al fine di ristabilire il dialogo e la vita civile sconvolta. Per quanti sono impegnati in politica e nel sociale, il faro che segna la direzione non può essere che questo. Viceversa, non c’è politica degna di questo nome che non abbia nel suo orizzonte la pace.
 

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