Chi ha bisogno di Netflix quando ci sono i repubblicani americani? Chi ha bisogno dei fuochi di Capodanno quando c’è il serissimo New York Times? Breve riassunto della storia di George Santos, il neoeletto deputato repubblicano di Long Island, quartiere benestante di New York.
Santos, durante la campagna elettorale, si è presentato come un milionario veterano di Wall Street, dicendo di aver lavorato per Citigroup (patrimonio 1.714 miliardi di dollari) e Goldman Sachs (514 miliardi). Entrambe le banche hanno dichiarato che Santos non ha mai lavorato per loro. Il suo ultimo posto di lavoro accertato è di centralinista nel dipartimento di polizia di Long Island, una decina d’anni fa. Stipendio da centralinista, ovviamente.
SANTOS DICEVA di essersi laureato in economia e finanza al Baruch College di Manhattan e il sito web dei Repubblicani della Camera affermava che aveva studiato anche alla prestigiosa NYU. In un’intervista sul New York Post, Santos ha ammesso di aver mentito sulla sua istruzione: «Non mi sono laureato, sono imbarazzato e dispiaciuto per aver abbellito il mio curriculum».
Dopo aver vinto le elezioni, Santos, che dice di essere gay, ha detto di «aver perso quattro dipendenti» nella strage del 2016 al Pulse, un locale gay di Orlando, anche questa una frottola.
Ciliegina sulla torta: la circoscrizione di Long Island ha una forte presenza ebraica (il candidato democratico sconfitto si chiama Robert Zimmerman) e Santos si è presentato come ebreo, raccontando che sua madre era nata in Brasile da immigrati «fuggiti dalla persecuzione ebraica in Ucraina, stabilitisi in Belgio e nuovamente fuggiti dalla persecuzione durante la seconda guerra mondiale».
Peccato che The Forward, rivista ebraica fondata nel 1897, abbia scoperto che i nonni materni di Santos erano nati in Brasile prima della guerra e che non c’è alcun rapporto tra la sua famiglia e l’Olocausto.
In un’epoca in cui, se penso di scendere a comprare della cioccolata, suona immediatamente il campanello un fattorino con 24 tavolette di fondente Lindt in offerta, negli Stati uniti abbiamo qualcuno che si inventa non fatti marginali ma l’intera biografia. E pensa di farla franca.
NON HA STUDIATO dove ha detto di aver studiato, non ha lavorato dove ha detto di aver lavorato, non ha i nonni che ha detto di avere, non è ebreo come ha detto di essere (trascuriamo il fatto che dice di essere gay ma è stato sposato con una donna). Che paese, l’America!, come dice il titolo di un romanzo di Frank McCourt (quello delle Ceneri di Angela).
Santos ha negato di aver commesso reati. In effetti, la stupidità di dimensioni cosmiche non è reato, suscita quasi ammirazione: in fondo è riuscito a farsi eleggere alla Camera con 142. 673 voti (comunque sui reati si sbaglia, false dichiarazioni fiscali negli Stati uniti ti portano dritto in galera, al contrario di quanto avviene in Italia: e infatti mercoledì la procura di Nassau ha aperto un’inchiesta. E rischia anche un’indagine della Commissione etica della Camera e del Dipartimento di Giustizia).
Ma il bello deve ancora venire. Santos ha messo soldi suoi nella campagna elettorale: circa 700mila dollari. Le fonti di questi soldi rimangono però poco chiare: la sua storia da adulto è caratterizzata da un tenore di vita molto modesto e da una scia di debiti non pagati con proprietari e creditori, non si sa da dove provenga quel denaro.
Il fantasioso neo deputato continua a sostenere che viene dal suo lavoro presso la Devolder Organization, che descrive come una società di consulenza, ma il New York Times non è riuscito a trovare proprietà o beni pubblici collegati alla società, con ogni probabilità una scatola vuota.
VIENE IL SOSPETTO che Santos sia un «Manchurian Candidate», un candidato telecomandato da qualcuno che deve assolutamente restare nell’ombra. La notte di San Silvestro saltate il cenone e guardatevi il film di John Frankenheimer con una fantastica Angela Lansbury (1962) e poi il remake di Jonathan Diemme con un’altrettanto brava Meryl Streep (2004).
Chi c’è dietro George Santos? Russi? Cinesi? Miliardari di estrema destra che hanno bisogno di un agente in Congresso? In questo caso sarebbero soldi sprecati: tutti i deputati repubblicani, e buona parte dei democratici, si fanno in quattro per soddisfare le richieste delle multinazionali.
E non è ancora finita: il 3 gennaio la nuova Camera entra in funzione e deve eleggere il suo presidente. In teoria dovrebbe essere Kevin McCarthy, perché i repubblicani hanno una risicata maggioranza (quattro seggi su 435).
Però cinque deputati del Gop hanno già dichiarato che non voteranno per McCarthy, troppo moderato per i loro gusti, quindi la maggioranza per eleggere lo Speaker non c’è. E ancor meno ci sarebbe se il bugiardo seriale George Santos si dimettesse, o se la Camera decidesse di non accettarlo fra gli eletti, com’è nei suoi poteri. Stay tuned.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 30 dicembre 2022. Immagine di copertina, Ap/John Locher