Un evento climatico estremo ha dato luogo, ancora una volta, a una tragedia umana. Le scene di devastazione sono le stesse che ormai ci siamo quasi abituati a vedere ormai da decenni. È successo tante volte in Campania, Sardegna, nel vicentino, a Genova, Senigallia nelle Marche, per citare alcuni dei casi più eclatanti . È successo di nuovo a Ischia, nota località turistica campana martoriata dal cemento, al centro di roventi polemiche nel 2018 per il condono varato dal governo Conte 1 per facilitare la ricostruzione post terremoto. Quella norma, inserita nel decreto per ricostruire il ponte Morandi a Genova, permetteva infatti il condono delle costruzioni abusive, anche in aree a rischio idrogeologico, secondo i criteri più permissivi della sanatoria varata nel 1985 dal governo Craxi.
I commenti istituzionali, dopo queste tragedie, sono stati sempre di vicinanza ai territori colpiti e alle famiglie delle vittime ma non abbiamo mai veramente imparato la lezione. Secondo il nostro Osservatorio Città Clima, dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1.503 eventi estremi con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Nei primi dieci mesi del 2022 abbiamo registrato 254 fenomeni estremi, il 27% in più di quelli di tutto il 2021. Nonostante l’accelerazione della crisi climatica, l’Italia è ancora senza Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, in bozza dal 2018, quando era presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti. Nel frattempo si sono succeduti tre governi (Conte 1, Conte 2 e Draghi) e due ministri (Sergio Costa e Roberto Cingolani) e il piano è ancora in attesa di approvazione. Vedremo se l’esecutivo Meloni e il ministro Gilberto Pichetto Fratin riusciranno a fare, nei prossimi mesi, quello che i loro predecessori non hanno fatto.
Serve anche una rivoluzione culturale in tema di rischio idrogeologico. Dal maggio 2013 allo stesso mese del 2022, l’Italia ha speso 13,3 miliardi di euro per fronteggiare i danni causati dalle emergenze climatiche. Avremmo potuto spendere il 75% in meno di soldi pubblici se avessimo investito nelle fondamentali opere di prevenzione, dalle casse di espansione, per far tracimare i fiumi in modo controllato in aree non urbanizzate, agli interventi di delocalizzazione di edifici residenziali o produttivi realizzati nel passato in aree a rischio idrogeologico.
Ieri il ministro Matteo Salvini ha ricordato la necessità di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano. Ha pienamente ragione ma bisogna intendersi su cosa vuol dire concretamente. Serve sbloccare alcune opere, ripensare alcuni interventi progettati decenni fa e ormai obsoleti nell’era della crisi climatica, approvare alcune norme fondamentali, come quelle sul consumo di suolo e sulla rigenerazione urbana, ferme in parlamento da più legislature. Ma bisogna anche orientare al meglio le risorse pubbliche che non sono infinite.
Bisogna darsi un criterio di priorità. Nell’ultimo mese, tanto per fare un esempio, abbiamo più volte sentito parlare della necessità di realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina. Si tratta un’opera che collegherebbe due regioni, dove la mobilità oggi non è degna di un paese industrializzato, e due provincie, quella di Messina e Reggio Calabria, tra le più esposte al rischio idrogeologico, al centro di tragici eventi climatici nel passato. Insomma è un’evidente contraddizione che non riusciamo a comprendere.
È urgente passare dalle parole di cordoglio alle popolazioni colpite alle azioni concrete per ridurre al minimo il rischio della vita per un evento estremo. Vedremo se il nuovo governo e il parlamento avranno la volontà politica di farlo, per evitare che quella di Ischia sia ancora una volta la penultima tragedia da commentare.
* Presidente nazionale di Legambiente
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 27 novembre 2022