L’insorgenza del mutualismo, la convergenza necessaria

di Salvatore Cannavò /
14 Novembre 2022 /

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Gkn si dichiara «fabbrica pubblica, socialmente integrata, difesa dal territorio, a disposizione del territorio» mentre si moltiplicano le iniziative per il mutuo aiuto e l’autogestione

Il mutualismo come pratica sociale e come orizzonte politico occupa un posto sempre più rilevante nel dibattito della sinistra sociale diffusa. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le iniziative e le riflessioni attorno a questo concetto tali da far presupporre evoluzioni interessanti. 

La fabbrica pubblica e socialmente integrata

Il 9 ottobre si è tenuta a Campi Bisenzio l’assemblea della Gkn come fabbrica pubblica e socialmente integrata, la prima svolta all’interno dello stabilimento da quando la fabbrica è stata di fatto occupata. 

«Ci dichiariamo fabbrica pubblica, socialmente integrata, difesa dal territorio, a disposizione del territorio» è stato l’annuncio del collettivo di fabbrica che sta tenendo alta la mobilitazione attorno alla propria vertenza con un inedito e articolato processo di «convergenza» sociale che ha scandito molte iniziative di piazza, l’ultima delle quali a Bologna lo scorso 22 ottobre con circa 15 mila persone in piazza. 

Di fronte alle progressive inadempienze della nuova proprietà della Gkn, i lavoratori e le lavoratrici hanno deciso così di imboccare la strada della «fabbrica pubblica» e quindi autogestita o comunque sotto il controllo di chi ci lavora. Per spiegare questa novità della loro lotta hanno organizzato l’assemblea del 9 ottobre a cui hanno preso parte circa 300 persone dentro la cornice inquietante e allo stesso tempo suggestiva di una fabbrica ferma, con i macchinari immobili a circondare i protagonisti di quel dibattito pubblico. Inedita la scelta di far convergere l’assemblea con la tre giorni di «incontri intergalattici» organizzata da Genuino Clandestino, la rete di comunità in lotta per l’autodeterminazione alimentare. L’assemblea ha rappresentato l’occasione per presentare il progetto della nascente Società Operaia di Mutuo Soccorso (Soms) Insorgiamo. Un modo per riallacciarsi a una pratica antica del movimento operaio, quella del mutualismo e della cooperazione solidale, ma anche di utilizzare strumenti dell’oggi per poter intervenire direttamente e concretamente nella crisi in corso. 

Il documento conclusivo dell’assemblea ha spiegato chiaramente questo doppio movimento: «Il nostro piano quindi si muove sulle seguenti direttrici: campagna per la fabbrica pubblica. Per reclamare fondi pubblici ma anche che siano collegati a pubblica utilità e a un controllo pubblico, esercitato da una struttura societaria pubblica e dalla possibilità di assemblea permanente, Rsu, Collettivo di Fabbrica, oo.ss. di incidere sul diritto di proposta, verifica e gestione della reindustrializzazione». Si tratta dell’ambizione maggiore per l’uscita in avanti dalla chiusura di fatto dello stabilimento che minaccia di mandare a casa definitivamente 340 lavoratori e lavoratrici. E poi, con l’obiettivo di un’attività di autorecupero immediato «attraverso attività economiche in autoproduzione che ci permettano da subito di riattivarci produttivamente, di combattere l’abbrutimento, di consolidare la nostra autodisciplina e autorganizzazione e che siano strumento per coltivare ulteriori legami sociali» una prospettiva di «mutualismo per consolidare la comunità interna, prepararsi a una lotta di lunga durata e stringere legami con il territorio». Da qui l’idea della Soms Insorgiamo «come strumento di mutualismo, autorecupero, progettazione del piano industriale alternativo, sviluppo di un Cral, collegamento con il territorio, riferimento di azionariato popolare e assemblee di territorio». «Vecchi principi in un contesto completamente differente» dice la Gkn, contesto in cui «praticare l’errore e la sperimentazione, dove costruire una vicenda che sovverta completamente le modalità con cui vengono affrontate le crisi industriali e non solo».

Più che «il nuovo che avanza», si potrebbe chiosare, è «il vecchio che si rinnova», il recupero di pratiche che nel profondo appartengono ai «nostri», al movimento operaio e proletario per come si è stratificato nel tempo piuttosto che alle nuove modalità di «mutualismo finanziario» come quelle che portano all’estensione del welfare aziendale o a operazioni di fusione tra il mondo delle assicurazioni e quello della sanità privata (si veda la recente acquisizione delle cliniche Sanpellegrino da parte di UnipolSai).

Non è casuale che questa iniziativa abbia avuto il riferimento e l’appoggio di un’altra Soms creata a Trezzano sul Naviglio, la Rimaflow e che con questo organismo e con la rete Fuorimercato da essa animata, la Gkn abbia deciso di proseguire una collaborazione che vada in questa direzione e creare così un’alternativa, concreta e tangibile nell’immediato, alle crisi aziendali e alle crisi di futuro che imperversano sul mondo del lavoro. 

Il modo in cui proseguirà la lotta della Gkn sarà indicativo di scelte complessive che i movimenti sociali collegati alla produzione, manifatturiera o agricola – vedi il collegamento con Genuino Clandestino e con autogestioni contadine come quella di Mondeggi a Firenze – potranno prendere e a possibili salti di qualità che la pratica del mutualismo potrà assumere, ovviamente a partire dalle decisioni che i suoi protagonisti prenderanno direttamente. E in questa prospettiva diventa particolarmente rilevante il futuro di quella fabbrica, le reali possibilità di reindustrializzazione e di «recupero», obiettivo su cui il collettivo di fabbrica sta investendo moltissimo insieme a una rete di «solidali e solidale» che cercherà di individuare una prospettiva produttiva nuova sulla base del documento analitico e puntuale che avevano elaborato studiosi e studiose del S.Anna di Pisa (e non solo). 

La pienezza del vuoto

I problemi in questo campo non sono semplici e gli arretramenti e le sconfitte sono sempre possibili per quanto occorra fare di tutto per evitarle. Una radiografia, parziale ma di grande ricchezza, del fenomeno mutualistico è quella che restituisce l’ampia ricerca condotta dal Forum Diseguaglianze e Diversità insieme alla Rete dei Numeri pari che è stata presentata al Gran Sasso Science Institute il 17 ottobre. L’indagine è stata effettuata su 91 realtà delle 336 che compongono la Rete dei Numeri pari, progetto reticolare nato dalla campagna Miseria ladra lanciata nel 2016 da Libera. La ricerca ha offerto una gran quantità di dati e spunti e come hanno evidenziato i ricercatori e le ricercatrici che l’hanno condotta (Mirco Di Sandro, Margherita Grazioli, Valeria Pica e Carmen Silipo) i suoi risultati principali possono essere sintetizzati innanzitutto nelle tre grandi motivazioni che spingono le realtà associative a una pratica mutualistica: «l’obiettivo comune, fortemente avvertito, di contrastare disuguaglianze, mafie e cause della crisi sociale e climatica; ricerca di socialità; la volontà di oltrepassare i vincoli di sistema che ostacolano l’azione e lo sviluppo di realtà singole, nodi territoriali e nazionali; pesare nel dibattito e nelle politiche pubbliche». Le associazioni consultate «pur nella varietà delle azioni e delle forme organizzative avvertono tutte che il recupero della coesione sociale e territoriale, disgregata dalle crisi, richiede azioni e forme organizzative di produzione e servizi fondate su reciprocità, solidarietà, azione collettiva, scambio differito». Così, autori e autrici dell’indagine tracciano un quadro sintetico che identifica «tre distinte tipologie di azione e/o organizzazione che emergono dalla definizione-ombrello di mutualismo: pratiche mutualistiche tese a soddisfare bisogni fondamentali; realtà che praticano forme di mutualismo, ma limitate nel tempo e nello scopo; vere e proprie ‘realtà mutualistiche’ che in modo continuativo e sistematico mettono in atto pratiche mutualistiche con l’intenzione di favorire un nuovo modello sociale».

In questo quadro emerge la centralità della nozione di democrazia che «combina dimensione procedurale e sostanziale, poiché investe la struttura delle relazioni, e le modalità decisionali, che le realtà attuano al proprio interno e nel rapporto con altri attori che condividono il medesimo spazio di azione e intervento». La democrazia è una dimensione della lotta a carattere solidale e mutualistico che diffonde semi per possibili alternative e interroga profondamente sulle modalità, sulle finalità, sulla strategia stessa del neo-mutualismo anche rispetto alle politiche pubbliche e alle forme codificate di welfare nazionale. 

Il mutualismo si ritaglia infatti un ruolo di pressione sul decisore pubblico, come in parte la ricerca lascia presagire con la richiesta, da parte delle realtà sondate, «di una nuova metodologia delle politiche pubbliche che coinvolga la società civile organizzata durante tutto il processo di disegno, implementazione e monitoraggio, garantendo coinvolgimento e accountability». Oppure si candida a divenire il tassello di una nuova offerta pubblica che, fuori dal mito distorto della sussidiarietà, coinvolga anche le realtà che praticano direttamente gli obiettivi e che, grazie alla loro determinazione, modifichi la struttura stessa della statualità incorporando nuove forme di democrazia dal basso e diretta. Terreno complesso, in direzione di una democrazia che si potrebbe definire «sovrana» avvalendosi della nozione di «mutualismo conflittuale» in grado non solo di colmare i vuoti dell’azione pubblica ma anche di rivendicarne un’altra forma e dimensione. Anche qui si tratta di rinnovare vecchi principi, come sostengono alla Gkn, sapendo, ad esempio, che il concetto di «fabbrica pubblica» pur richiamando a quello antico di nazionalizzazione, lo supera e lo rende più calzante ai tempi e alle lotte dell’oggi. 

Carovana del mutualismo

Un terzo granello di questa mini-costellazione viene dall’iniziativa legata alla terza edizione del Festival Nazionale del Mutualismo. Quest’anno, spiega un appello che vede tra i vari sottoscrittori lo stesso collettivo Gkn, Comunet-Officine Corsare, l’Ambulatorio popolare di Barletta, varie società di mutuo soccorso tra cui quella storica di Pinerolo, «la manifestazione si svolgerà sotto forma di carovana lungo tutto il territorio nazionale con momento finale a Pinerolo, sede della prima Società Operaia di Mutuo Soccorso d’Italia fondata il 12 ottobre 1848 e del Museo Storico del Mutuo Soccorso». Dopo la sua assemblea di Napoli del 29-30 ottobre anche la rete Fuorimercato ha deciso di partecipare a questa iniziativa.

Obiettivo della proposta è quella di realizzare, il prossimo 12 ottobre 2023, «l’assemblea plenaria di tutti i partecipanti alla Carovana» per «approvare il Manifesto dei mutualismi, che raccoglierà i risultati del percorso condiviso dei mesi precedenti». L’idea, infatti, è quella di organizzare un percorso «a staffetta» in cui ogni tappa della carovana «erediterà le elaborazioni e le proposte di quella precedente e avrà l’onere e l’onore di raccogliere eventuali nuove proposte emerse a seguito della discussione del costituendo Manifesto». La versione finale del Manifesto dei Mutualismi «sarà, quindi, il frutto di una scrittura collettiva: ogni realtà che avrà aderito alla rete, che si sta costruendo, potrà suggerire aggiunte o modifiche alla versione finale ottenuta al termine della carovana, in occasione dell’assemblea plenaria». Proposta suggestiva e dalle caratteristiche costituenti, anche se, paradossalmente, un solo anno di tempo e una conoscenza a distanza tramite la staffetta potrebbe non essere sufficiente a realizzare una convergenza effettiva attorno al mutualismo, soprattutto in assenza di lotte e campagne comuni. Ma la proposta contribuisce a confermare la fase prolifica attorno al tema mutualistico che è anche frutto della particolare fase sociale ed economica. 

Una nuova immaginazione

I dati sulla povertà in Italia rilanciati recentemente dalla Caritas (5,6 milioni in povertà assoluta, circa il 10% della popolazione) sommati a quelli della povertà relativa vedono il disagio sociale coinvolgere circa 12-13 milioni di persone. La pandemia da Covid che correttamente in molti, tra cui il rapporto La Pienezza del vuoto, propongono di definire «sindemia» a causa del suo intreccio con la fragilità sociale, ha costituito la piattaforma drammatica su cui è germogliato un bisogno di mutuo aiuto che si è affermato naturalmente come pratica necessaria e diffusa. La ricerca che abbiamo citato, non a caso, riflette una tendenza spiccata di associazioni che non erano nate attorno alla pratica mutualistica ad adottarla proprio nel vivo dell’emergenza con ciò riconoscendole un valore di efficacia. Del resto, secondo il sondaggio condotto nell’ambito dell’Osservatorio Legacoop e da Ipsos, il 75% degli italiani pensa che ci sia «bisogno di imprese mutualistiche, che hanno cioè lo scopo di ripartire tra i soci tutto il valore prodotto dalla realizzazione di un bene o dall’erogazione di un servizio. E se per il 40% degli intervistati il modello mutualistico è effettivamente attuabile solo nel mondo dei servizi sociali, per il 30% può benissimo essere applicato anche al mondo della produzione di beni e servizi. 

La triplice crisi prodotta dalla recessione strutturale – che permane in realtà dal 2008 – dalla pandemia da Covid e dalla crisi ecologica, cui si aggiunge la crisi generata dalla guerra, produce uno stato di instabilità permanente in cui si rompono sicurezze acquisite e tasselli fondativi del patto sociale. La determinazione con cui gran parte del mondo politico, e in particolare il governo Meloni, puntano a smantellare il Reddito di cittadinanza, ma anche la disinvoltura con cui la proprietà Gkn disattende gli impegni presi, indicano che di fronte alla riduzione dei margini di profitto, l’economia capitalistica fondata sull’impresa non ha alcun legame con quella responsabilità sociale che pure è prevista dalla Costituzione italiana. 

Questo determina basi più solide e avanzate per una pratica dai multiformi significati ma che affonda le proprie radici nella primordiale esistenza del movimento operaio da cui sono germinati anche momenti alti di carica rivoluzionaria (dal 1848 al 1870) e di protagonismo sociale. Chi scrive insiste su questa connessione da diverso tempo, ma solo se questa viene assunta da concrete realtà in lotta può diventare una prospettiva. 

Le iniziative in corso, quindi, sono molto significative perché possono creare un quadro più avanzato di dibattito e un confronto che si cimenti con alcuni mesi alle spalle di problematiche affrontate e di risultati attesi e realizzati. I tempi comunque sembrano maturi anche per dibattere di una carta del mutualismo in termini di rivendicazioni e di obiettivi comuni. Solo per esemplificare si tratta ad esempio, nel caso della «fabbrica pubblica», di capire quali siano i soggetti di una partecipazione pubblica che possa tutelare realmente un bene comune e in quale modo questa sovranità possa esercitarsi; come rivendicare, nel quadro di politiche attive del lavoro, fondi destinati meticolosamente al risarcimento sociale per chi il lavoro lo ha perso grazie alle dinamiche del capitalismo; in questo senso si tratta di rivendicare fondi pubblici anche a fondo perduto e in ogni caso garanzie pubbliche per forme di credito mutualistico come quello erogato in modo prezioso dalla rete delle Mag (non a caso implicata nel progetto di recupero della Gkn); ancora, si dovrebbe ragionare sul controllo dei prezzi dei prodotti alimentari per impedire il dumping sociale e garantire alle produzioni eque e solidali commesse e spazi pubblici; garantire strumenti di lavoro alle produzioni autogestite e caratterizzate da standard, verificabili ovviamente, cooperativi e concretamente solidali. Il mutualismo può intraprendere anche una nuova fase fatta di rivendicazioni generali in direzione di un’idea di società diversa, autogovernata e autodeterminata, solidale, ecologica e fondata su una visione cooperativa delle relazioni sociali. Il contrario del capitalismo.

Ma il terreno è fertile per creare convergenze (non a caso il grido di battaglia, insieme a «insorgiamo» della Gkn) anche più ampie, ad esempio con la mobilitazione studentesca che si annuncia più densa di quanto avvenuto negli ultimi anni. L’occupazione di Scienze politiche alla Sapienza di Roma dopo le manganellate subite dagli e dalle studenti, poi il corteo universitario del 4 novembre, le occupazioni scolastiche, una generazione che si riaffaccia alla politica dopo la gelata della pandemia e del «distanziamento sociale» – tale in particolare dal punto di vista politico. Vedere i cortei giovanili che intonano il canto dell’occupazione della Gkn rimanda facilmente a slogan tradizionali come «operai e studenti uniti nella lotta». Ma oggi c’è qualcosa di più: la pratica dell’occupazione e della rivendicazione all’autogestione del mutualismo operaio conflittuale, che si racchiude nel progetto di Soms, si sposa con una simile richiesta di partecipazione, protagonismo e autodeterminazione che sale dalle aule scolastiche e universitarie.

Sviluppando questo tema, che rimanda alla necessità di dotarsi di una «nuova immaginazione» e quindi di criticare l’esistente ma di sapergli contrapporre idee e pratiche alternative, ci sono gli elementi di una reale «convergenza» come esito efficace e utile delle tante «insorgenze». È un cammino tracciato da lotte reali che hanno visto grandi partecipazioni a Bologna il 22 ottobre e a Napoli, il 5 novembre (nonostante la contemporaneità della manifestazione nazionale per la pace). Ed è una traccia che consente di guardare al futuro con maggiore fiducia di quanto consenta l’analisi cruda dell’attuale realtà italiana e internazionale.

*Salvatore Cannavò, vicedirettore de Il Fatto quotidiano e direttore editoriale di Edizioni Alegre, è autore tra l’altro di Mutualismo, ritorno al futuro per la sinistra (Alegre).

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 9 novembre 2022

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