Almeno 74 detenuti si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. Molti erano stati condannati per reati minori e sarebbero usciti di lì a poco. Quasi uno su quattro aveva meno di trent’anni.
Il 2022 sarà l’anno con più suicidi nelle carceri italiane: sono già 78 le persone che si sono tolte la vita negli ultimi dieci mesi, 4 tra i poliziotti penitenziari e 74 tra i detenuti. Di questi, 65 si sono impiccati, otto si sono asfissiati con il gas, un altro si è tagliato le vene ed è morto dissanguato. Quasi uno su quattro (20) aveva meno di trent’anni. I più giovani, due detenuti di Milano San Vittore e Ascoli Piceno, ne avevano appena 21. L’ultimo suicidio è avvenuto nel carcere di Siracusa il 29 ottobre. Gli agenti hanno trovato l’uomo impiccato nella sua cella. Aveva 34 anni.
Il dossier Morire di carcere di Ristretti Orizzonti (il giornale della casa di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile della Giudecca) conta anche 23 detenuti morti per cause ancora da accertare. I suicidi, insomma, potrebbero esser anche di più.
Nella casa circondariale di Foggia ci sono stati quattro suicidi: “La criminalità organizzata controlla l’istituto, il territorio e le istituzioni non rispondono, la struttura è sovraffollata, inadeguata sia a livello di spazi che di personale e servizi sanitari. È una tempesta perfetta”, spiega il garante dei detenuti della Puglia, Piero Rossi.
Morti annunciate
Molti dei detenuti che si sono suicidati erano in carcere per reati minori e sarebbero usciti di lì a poco. Tabet Abderraim era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, dopo una lite scoppiata perché non aveva pagato il biglietto del treno. Poche ore dopo il suo arrivo al carcere di Brindisi gli agenti lo hanno trovato in cella con un cappio al collo. Aveva 22 anni.
Un altro ragazzo era stato arrestato per lesioni e minacce, gli rimanevano appena otto mesi di carcere ad Ascoli Piceno. Si è impiccato nella sua cella legando le lenzuola alla finestra del bagno.
A fine aprile un altro detenuto si è impiccato con i lacci delle scarpe nella casa circondariale di Foggia. Sarebbe uscito a giugno, poco più di un mese dopo. Alessandro Gaffoglio, invece, aveva 24 anni ed era finito nel carcere di Torino per aver rapinato due supermercati, per un bottino di circa mille euro. Non aveva precedenti, era la sua prima volta in cella. Ha resistito due settimane, poi si è soffocato con un sacchetto di nylon.
Molti detenuti avevano già tentato il suicidio, erano tossicodipendenti o soffrivano di problemi psichici. Alcuni aspettavano da mesi un posto in una Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza destinate ai colpevoli di reato con disturbi mentali: “A San Vittore oggi ci sono nove detenuti con problemi psichici. Dovrebbero stare in una clinica, non in un carcere”, osserva il garante dei detenuti di Milano, Francesco Maisto. Uno di loro era Giacomo Trimarco, 21 anni appena, che soffriva di disturbo borderline della personalità ed era in cella per aver rubato un telefonino. Si è ucciso il 31 maggio asfissiandosi con il gas. Otto mesi prima il tribunale di Milano aveva stabilito la sua incompatibilità con il carcere.
Simone Melard aveva 44 anni ed era nel carcere di Caltagirone per aver rubato un telefonino e un portafoglio, che aveva poi restituito ai legittimi proprietari. Anche lui soffriva di gravi disturbi psichiatrici e da tempo era in lista d’attesa per entrare in una Comunità terapeutica assistita (Cta) per essere curato. Una donna che lo conosceva ha inviato questa testimonianza all’associazione Antigone: “Era un soggetto fragile, viveva di elemosina e più volte l’ho visto rovistare tra i rifiuti. Spesso veniva picchiato per divertimento dai bulli del quartiere. A giugno avevano postato un video su TikTok in cui dormiva in pigiama in un cassonetto dell’immondizia. Quando l’ho saputo ho pensato che fosse una morte annunciata. La costituzione dice che la pena dovrebbe rieducare il condannato. E invece Simone in quel carcere ha perso la vita”.
Fragili e soli
La maggior parte dei suicidi avviene nelle carceri più grandi e sovraffollate d’Italia, quasi sempre nelle case circondariali. Questi istituti sono pensati per detenuti in attesa di giudizio o con pene inferiori a cinque anni. Ma spesso ospitano anche condannati con pene gravi e definitive, che vengono lasciati in queste strutture non attrezzate per detenzioni così lunghe: “Le case circondariali sono il portone d’ingresso al sistema penitenziario, quindi sono i primi istituti che si riempiono oltre la capienza”, spiega il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia. A Foggia, Regina Coeli e Monza il tasso di affollamento si aggira attorno al 150 per cento. Il 30 settembre nel carcere di Lecce c’erano 1.125 detenuti, per una capienza regolamentare di 796.
Le carceri sono strapiene, ma manca il personale che dovrebbe sorvegliarle. Secondo il segretario di Uilpa Polizia penitenziaria, Gennarino de Fazio, “servirebbero almeno altri 18mila agenti, la metà del fabbisogno totale, che è di 36mila”.
Manca anche chi dovrebbe occuparsi della salute mentale dei detenuti, un aspetto cruciale per la prevenzione dei suicidi. Secondo l’associazione Antigone in media nelle carceri italiane lo psichiatra c’è solo per dieci ore a settimana ogni cento persone, lo psicologo per venti ore. Nelle prigioni dove si sono registrati più suicidi questi numeri scendono. A Palermo, per esempio, psichiatri e psicologi ci sono solo per 5,1 ore a settimana. Carenze che rendono ancora più instabile la già precaria salute mentale di chi è in carcere.
Nei primi otto mesi dell’anno ci sono state 10,5 diagnosi psichiatriche gravi ogni cento detenuti. Un quinto dei carcerati assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, mentre quasi quattro su dieci fanno uso regolare di sedativi o ipnotici. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità in Italia si uccidono 0,67 persone ogni diecimila abitanti. In carcere questo numero sale a 13 ogni diecimila detenuti. Dentro, insomma, ci si suicida venti volte in più che fuori.
Durante il suo discorso d’insediamento alla camera, Giorgia Meloni ha dedicato qualche parola anche alla questione carceri: “Queste morti sono indegne di un paese civile, come indegne sono spesso le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria”, ha detto la presidente del consiglio. Qualche giorno dopo il suo ministro della giustizia, Carlo Nordio, ha assicurato: “Le urgenze del carcere saranno una delle mie priorità”.
Per risolverle entrambi hanno parlato di un nuovo piano di edilizia penitenziaria. Secondo Anastasia è una falsa soluzione: “Negli ultimi 25 anni la capacità dei nostri istituti è aumentata di 15mila posti. Ma nello stesso periodo è aumentato anche il numero di detenuti. I posti non basteranno mai, costruire nuove carceri non serve a niente”. Per la coordinatrice nazionale di Antigone, Susanna Marietti, bisognerebbe invece “ripensare le politiche penali, quelle che decidono chi finisce in carcere”.
Questo articolo è stato pubblicato su L’Essenziale il 2 novembre 2022