“Il Capitale”. Kepler452 alla prova della storia

di Silvia Napoli /
13 Ottobre 2022 /

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Si annuncia già da giorni con un clamoroso sold out il sospirato e sempre posticipato debutto dell’ultimo atteso lavoro dei Kepler452, dall’icastico titolo: Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto.

Prima di addentrarci meglio in questa storia nella Storia, dobbiamo considerare il portato emblematico di una vicenda complessa in termini di riflessioni comunitarie, almeno per questi ultimi anni segnati dalla drammatica vicenda pandemica. Vicenda i cui esiti ultimi restano tuttora da decodificare, ma intanto sono plasticamente evidenti le lacerazioni già prodotte.

Sono questi anni, che sfociano in crisi di sistema, a lasciare morti e feriti metaforicamente e non sul campo:gli artisti, i performers, gli operatori e addetti culturali, riscoprono la loro condizione di lavoratori ed in questo contesto, un gruppo teatrale di comprovata sensibilità o meglio reattività nervosa al “sociale”, quale Kepler452, incrocia la Bibbia, sempre citata e sempre troppo poco letta e compresa, di ogni bravo aspirante “trasformatore” di processi economici ineludibili e non per questo ineluttabili, quale il Capitale.

Naturalmente, giusto cosi, per scavallare o conglobare la famosa antinomia teoria- prassi, gli amici da un pianeta cosi lontano, cosi vicino, vagabondando in cerca di contatti con realtà di sfruttamento e ribellione, incappano nel caso GKN. Per intenderci, qualcosa di simile per certi versi di portata e prospettiva di radicamento con le lotte NO TAV, ma, pur connesso a queste e vedremo come e perché, resta l’anomalia di un presidio permanente operaio equipaggiato da una pretesa di visione sul mondo complessivo dei subalterni, in quanto concepiti come futuribile classe dirigente, che non si vedeva sulle scene pubbliche italiane da decenni. Ovvero, la resistenza, poi la resilienza e dopo ancora la ri-generazione di un sapere operaio tramite trasfusioni di linguaggi e modalità nuove provenienti da mondi diversificati e spesso, di peso specifico molto molto alieno tra loro.

I regaz Kepler che già ci avevano raccontato dei paradossi distopici della gentrificazione e della libera circolazione delle merci, approdano in una realtà realmente aliena per artisti e intellettuali di oggi. Quella della cultura di fabbrica, questa sconosciuta, o addirittura considerata sparita.

Per meglio contestualizzare la portata di quanto avvenuto sopra e intorno ad un accidente della cronaca di quelli tristemente abituali, che ormai ascoltiamo con distrazione e rassegnazione, ovvero la liquidazione di qualche complesso produttivo in favore di delocalizzazione, dobbiamo rifarci al nostro peculiare C’era una volta di sinistra. Una bella serie di vicende che ci parlano di un’età dell’oro di una certa egemonia trainante in termini di combattività ma anche di propositività non puramente contrattuale o difensiva. Stiamo parlando di una stagione di lotte operaie che avevano un core nell’elite metalmeccanica, capace di produrre risignificazioni del Lavoro e possibili nuove forme e strumenti di contrasto allo sfruttamento e in favore di una riorganizzazione sociale complessiva. Non è certo compito mio qui, ricostruire una stagione cui spesso si guarda con nostalgia, dentro contesti che sono mutati alla velocità della luce cogliendoci impreparati sotto ogni aspetto.

Quello che importa al fine del nostro articolo è spiegare perché dei teatranti di ultima generazione siano stati folgorati da questa ormai insolita “massa critica”, formata da 422 operai, tutti maschi, come sottolineano sovente nei loro numerosi incontri pubblici con una punta di rammarico e quasi scusandosene, che decidono al profilarsi del classico fulmine a ciel sereno comunicato via mail, la chiusura dello stabilimento, di asserragliarsi in fabbrica. Tuttavia, con un colpo d’ala senza precedenti recenti, quella che poteva diventare una classica Fortezza Bastiani, diventa invece un luogo aperto a tutte le visitazioni le interpretazioni e contaminazioni possibili. Gli operai GKN non ci stanno al gioco dell’autoreferenzialità e cercano alleanza, punti di vista, approcci, visioni fuori dagli steccati canonici e coagulano intorno alla loro saga un variegato mondo di movimenti, di studiosi, di speranzosi attivisti, accendendo un interesse trasversale che stuzzica anche la partecipazione culturale nelle forme pop conviviali ma anche in quelle più rigorose e seriose. Fino ad arrivare ai giorni nostri. GKN è anche, ora, un pezzetto di compagnia teatrale e questo, per le strane coincidenze del caso, o forse no, dopo molti rinvii causa Covid, avviene proprio a ridosso della tappa numero due di quello che con epica situazionista i nostri intrepidi definiscono Insorgiamo tour, ovvero in soldoni cospicue mobilitazioni di massa in funzione della parola d’ordine Convergenza. Convergenza ovviamente non intesa come panacea di tutti i mali, ma come orizzonte per uscire dall’impaludamento di questi tempi che sembrano spuntare molte armi alla partecipazione e alla capacità immaginativa, ma non purtroppo agli eserciti veri dell’ultraliberismo.

Di queste cose e di pratica artistica parliamo con Nicola di Kepler452 e Francesco di Collettivo GKN, ringraziando Arena ed ERT più in generale per la lungimirante apertura al tutto e tutti che attraversa anche le sue Vie Festival.

Nicola, allora tanti come sappiamo sono andati e vanno tuttora a trovare il Collettivo, che ricordiamo resiste in cassa integrazione da 15 mesi e, come vediamo e sappiamo, anche rappresentanze del Collettivo girano l’Italia rispondendo alla chiamata di movimenti e collettivi altri. Qual è stata la particolarità del vostro incontro con loro? Desiderio forse di rinnovamento del vostro linguaggio, verve sperimentale da parte vostra?

Noi, in particolare io e Baraldi, essendo Kepler un gruppo di lavoro coeso ma a geometria variabile, abbiamo incontrato nel corso del 2021, moltissime realtà di lotta e vertenza. Avevamo già cominciato a conoscere il mondo dei riders come sai e ci era venuto in mente di capire come le logiche di sfruttamento funzionassero e continuassero anche nel post industrialismo ad andare avanti. Logico sul piano teorico andare a capire cosa il famoso Capitale, stante che come sistema ormai di senso economico più che di produzione vera e propria sia pervasivo, quello inteso come summa filosofica,abbia ancora da dirci, specie rispetto a generazioni che non lo hanno compulsato come forse altre fecero. Siamo andati molto in giro, visitando magazzini della logistica, altre situazioni, come anche i campi dove si sfruttano i braccianti raccoglitori, ma GKN, è stata altra storia, perché ci riportava di più alla logica dell’inizio di tutte le cose. Vero è che moltissime persone e personalità sono andate a intervistare gli operai, a fare inchiesta etc, ma noi abbiamo vissuto per un lungo periodo con loro, dormendo nella fabbrica, che certo poteva apparire una location congruente per un eventuale spettacolo, ma questo sarebbe stato già uno stare sull’ovvio, se l’obiettivo è allargare le pratiche, le forme espressive e le discussioni. Abbiamo cominciato a leggere pagine dal Capitale collettivamente con loro, ed immediatamente ci è sfilata dinnanzi la nostra storia occidentale degli ultimi due secoli, perché questo è. Non abbiamo trovate risposte definitive sulla attualità del testo e il suo possibile utilizzo, ma abbiamo trovato l’orgoglio identitario.

Certo la storia che il Capitale racconta è una storia anche di sviluppo economico che si porta dietro un’idea di progresso che noi contestiamo. Il bello dei ragazzi di GKN è che hanno preso di petto questa contraddizione e l’hanno assunta sulla loro narrazione e autorappresentazione, impedendo che altri, noi compresi potessimo impadronircene. Per questo fare in teatro questo spettacolo con loro, è un’idea che è cresciuta in maniera naturale osservando la loro rivendicazione di sapienza, l’identità forte e coesa che sentivano, nonostante gli inevitabili momenti di stanchezza e depressione. anche la selezione di chi portare in scena è avvenuta naturalmente e devo dire che siamo quasi più emozionati noi di loro nell’accingerci a fare questa cosa. Che vuole aprire un fronte di riflessione nel pubblico: cos’è lavoro, oggi? Quale la sua dignità? Questo penso possa riguardare tutti i cittadini, lavoratori e non, tutti gli spettatori, tutti gli intellettuali, tutti gli artisti. Perché questo occorre capire e rappresentare, superando la constatazione che, come noi riteniamo, il capitalismo sia il male assoluto.

Come avete fatto a tenere botta per tutto questo tempo? Perché la storia di Gkn, nel frattempo è andata avanti ed è già cambiata e anche voi avete fatto altro…

In effetti, sono successe cose nella fabbrica e fuori, a partire dal fatto che se abbiamo anche con me e con gli altri in scena un elemento femminile è perché il collettivo si è anche occupato di riuscire a garantire il mantenimento del posto di lavoro alla ditta che aveva in appalto le pulizie della fabbrica che era stata liquidata dalla nuova proprietà. Soltanto che se le cose non si muovono con la proprietà e soprattutto con i tavoli ministeriali, questi che non hanno contratti a tempo indeterminato rimangono comunque senza lavoro e senza tutele. Quanto a noi certo, abbiamo, grazie anche a spettacoli agili, d’impatto senza essere costosi e scenograficamente impegnativi, potuto costruire una sorta di piccolo repertorio che è stato portato in giro, dividendoci a seconda dei progetti. Il tutto è stato naturalmente molto faticoso, ma ci ha permesso di entrare meglio nell’ottica di chi non abbandona il posto di lavoro e fa un piano di ristrutturazione adatto ai tempi, mantenendo tuttavia uno sguardo molto lucido non solo in merito alla propria condizione contingente, ma anche al proprio determinismo di classe di appartenenza, con tutte le sue debolezze e contraddizioni.

Quanto è importante il rapporto dei lavoratori Gkn, con le macchine, in fondo un tema marxiano fondante, come lo spiegheresti e ha un impatto nella costruzione drammaturgica? Voglio dire, tutta la cultura occidentale vive di tensioni continue tra esaltazione della macchina, luddismo, stakanovismo e rifiuto del lavoro, da fronti opposti, ma molto spesso anche dall’interno del proprio campo d’azione e gruppo di riferimento.

Come sai non siamo per niente, esaltatori delle magnifiche sorti e progressive… la Cultura dello Sviluppo ci sembra fallimentare e in questo momento ambientalmente pericolosa… tuttavia, proprio questa cosa che sembra cosi molto vintage, dell’attaccamento, diciamo critico, alle macchine, è non solo comprensibile,ma quasi commovente ed identifica la peculiarità identitaria di GKN, ed oltre ad essere un bellissimo pretesto narrativo e spettacolare racchiude in sé in modo sfidante e affatto nostalgico tante domande sulla natura, i punti di forza e debolezza del lavoro in una grande fabbrica omogenea, in cui i livelli di solidarietà e compattezza possono raggiungere percentuali molto molto elevate rispetto all’esterno. Tu pensa che loro di GKN, si sono visti arrivare la lettera di licenziamento, in base al fatto che risultavano essere in un settore investito dai processi di transizione ecologica. Potremmo discutere a lungo di cosa sia e come si debba fare, certamente gli effetti di questa transizione non sono transitori per alcuni e soprattutto questi sono pretesti. Sappiamo tutti che la proprietà era rappresentata in quella estate del 2021 da un fondo di investimento, che per sua natura fa operazioni al rialzo. Sono cose difficili da accettare, perché rappresentano una perdita di senso profondo. Quello che noi abbiamo cercato di fare è stato allora di far venire fuori le biografie di queste persone relative a quel luogo, al lavoro e anche alla relazione fortissima con gli impianti, appunto. Mentre io sono quello che si fa le domande. Avremo al suono e alle luci i professionisti che ci sono abituali ed Enrico che ha vissuto e discusso le stesse esperienze con me, quindi ha svolto la drammaturgia, come sempre sarà la visione d’insieme. Nonostante non sia semplicissimo, si, speriamo dopo questo prestigioso battesimo a Vie Festival, di trovare anche date per il nostro tour con loro.

Mi rivolgo a questo punto a Francesco, che ritroverò qualche giorno dopo in una affollata assemblea alla Facoltà di Lettere, al tavolo di presidenza, con il suo atteggiamento consueto appassionato e umilmente gentile.

Che cosa pensi tu, del Capitale? Come consideri questo percorso teatrale? Sei spaventato dal palcoscenico?

Il Capitale… certo lo conoscevo, sapevo che cosa rappresentasse, ma non lo avevo letto, io in una fabbrica dove l’età media è tra un po’ meno di 40 e i 50 anni, sono uno di quelli che ci è entrato a 17 anni. In questi casi, il Lavoro sarà anche alienante, ma è parte della tua personalità. Alla fine, anche quando lo abbiamo letto insieme, in qualche modo abbiamo capito che è un enigma, ma tutte i meccanismi di sfruttamento rimangono quelli.

Tu devi considerare che noi riusciamo a resistere in questa situazione di incertezza, a metà del guado, dopo aver trovato questo compratore che però dovrebbe fare dei riadattamenti e investimenti e nicchia da mesi, intanto perché avevamo un buono stipendio prima, ora prendiamo molto meno ma comunque possiamo sopravvivere, poi perché siamo sempre stati ribelli, tra virgolette. Noi veniamo tutti dalla Fiat, da quella lunga storia di esperienza di orgoglio e invenzione di forme di lotta. Il settore metalmeccanico attraversa una crisi profonda, ma noi scioperiamo anche per la fabbrica di fronte, per dire. Oppure ci siamo rifiutati di lavorare con il Covid, quando ci consideravano servizio essenziale, per un senso di autoprotezione globale: eravamo cosi essenziali che ci hanno licenziati in massa poco dopo. E dunque l’idea di non rinunciare a nessuno, di non voler smembrare la fabbrica, di non voler andare a\\ltrove a fare cose diversissime ci è venuta naturale. SE il motivo della liquidazione era ecologico, noi saremmo andati a cercare i movimenti ecologisti, quelli per l’acqua e la sovranità alimentare, avremmo studiato e imparato. Ecco, questo ci ha permesso di mantenere una integrità psichica che altri, specie in un contesto tutto maschile, non avrebbero saputo preservare. Vedi, noi produciamo semiassi, ma questi non è scritto vadano montati sui canonici prodotti inquinanti… Si, noi abbiamo cercato di capire e fare proposte. Abbiamo fatto il nostro piano di riconversione e lo abbiamo consegnato alla nuova proprietà e al Ministero del Lavoro. Per questo alziamo il tiro e ci dichiariamo classe dirigente. A questo paese manca una classe dirigente decente e noi ci candidiamo ad esserlo per tutti per altro per tutto, come recita il nostro mantra. Abbiamo aggredito i nostri punti di debolezza, contattando tra i primi i movimenti femministi e quelli ecologisti. Ci cerchiamo alleati apparentemente impensabili. I sindacati sono in affanno tutti a seguirci, ma noi veniamo comunque da quella storia orgogliosa. Il teatro rappresenta per me, un mezzo di valorizzazione delle differenze. Le nostre storie, come sentirai, sono tutte molte diverse, ci sono molti modi di vedere la nostra condizione.

Io ho imparato anche il compromesso, la mediazione intelligente, il dialogo:all’inizio non volevamo far entrare nessuno in fabbrica, tipo i giornalisti, ora invitiamo tutti a passare da noi e noi come vedi andiamo ovunque ci chiamano. Abbiamo accettato la responsabilità che ci deriva dalle nostre scelte. Di 422 che eravamo in quanto maestranze, qualcuno certo si è perso per strada, è fisiologico, perché la pressione psicologica è tanta e, le situazioni fuori, il modo di considerare la fabbrica anche. Per me è una famiglia allargata. Io andavo qualche volta a teatro anche prima. Mi piace molto, ma non conoscevo loro e un certo tipo di ricerca. Poi mi hanno fatto vedere i video dei vecchi spettacoli e mi sono piaciuti moltissimo.

Ma questo, non lo dico perché sono in scena io, è un lavoro molto maturo, il punto più alto finora della loro poetica e sorprenderà anche chi li seguiva da sempre.

Mi congedo dai miei due ospiti, che sono in prova serrata, cambiando sempre qualcosa in corsa, mi dice Nicola, con molte personali aspettative anche di contesto. Infatti lo spettacolo è in scena nella Salmon di Arena dall’8 al 12, ma si sa già che il giorno 11 gli attori di Gkn, verranno accompagnati in teatro, dal comitato che sta preparando la tappa del 22 e 23 ottobre qui a Bologna e, come accadeva ai vecchi tempi, si spera di fare un blitz e poter leggere in sala un comunicato al pubblico: bentornato, impegno!

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