Da dove ripartire. L’alluvione nelle marche e la solidarietà dal basso

di Vittori Sergi /
11 Ottobre 2022 /

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La notte di giovedì 15 settembre tutti la ricordano piena di lampi, una tempesta di luce accompagnata da una pioggia violentissima. I paesi e le cittadine lungo le valli del Misa, del Nevola e del Candigliano non avevano ricevuto allerte specifiche, solo una generica allerta gialla della Protezione civile regionale che per la gente comune non comporta alcun cambiamento della routine, neanche qualche accorgimento per evitare che l’acqua entri dalle finestre aperte, per capirci. Poi improvvisamente alcuni telefoni, non tutti e non sempre quelli che dovevano farlo, hanno iniziato a squillare. L’allerta non è arrivata in tempo, né a tutti quelli che dovevano essere raggiunti. La Protezione civile a Senigallia ha iniziato a diramare un allarme alle ore 21:11; nei paesi dell’interno la situazione era già tragica. In città, sulla costa, non è stata chiara la portata della alluvione in arrivo, moltissimi sono stati sorpresi nel sonno o ancora per strada. Delle precipitazioni oltre ogni media e norma stagionale stavano cadendo sulle montagne e sulle colline delle Marche. Gli esperti subito dopo hanno iniziato a definirlo un temporale autorigenerante. La parola è semplice e inquietante allo stesso tempo. Nella percezione della popolazione sembrava essere un temporale estivo più forte del solito dopo tre mesi di siccità preoccupante. Invece è arrivata un’alluvione devastante. Un’ondata di piena è scesa da monte a valle, quando era già buio, lungo i tre corsi d’acqua provocando gravi danni al suo passaggio: Cantiano e Pergola in provincia di Pesaro e Urbino sono stati attraversati da fiumane fuori controllo nei centri storici, ma soprattutto Arcevia, Barbara, Pianello di Ostra, Trecastelli e Senigallia sono stati nella successione i comuni più colpiti e dove si contano oggi tredici morti, tra cui un bambino di otto anni e due giovani di diciassette e venticinque.

È stata una lunga notte. Mentre le immagini del fiume che esondava nel centro storico di Senigallia riempivano i canali social, tante persone comuni facevano atti di coraggio fuori dal comune, mettendo in salvo vicini di casa, sconosciuti trovati a mollo nell’acqua intrappolati nelle loro abitazioni a piano terra. La memoria di tante persone è andata all’alluvione precedente, questo è servito per risvegliare comportamenti adeguati a difendersi dell’acqua e ad aiutare gli altri. Senigallia aveva già subito una dura alluvione nel 2014 ma la portata di quella di quest’anno è stata maggiore per estensione territoriale e per intensità del fenomeno.

Il giorno dopo le strade erano piene di fango, le scuole e i servizi pubblici chiusi e subito tantissime persone organizzate in associazioni o in modo spontaneo si sono attivate per riparare i danni. Già dal 17 settembre si è formato un coordinamento autonomo di gruppi che ha stabilito la sua base logistica nei locali, alluvionati, dello Spazio sociale autogestito Arvultura. Le Brigate volontarie per l’emergenza – Marche, un piccolo gruppo agguerrito che si era formato durante la pandemia, ha messo a disposizione mezzi e contatti. Cosi è arrivata la chiamata delle Brigate di solidarietà attiva che offrivano il loro aiuto dal sud delle Marche e dall’Abruzzo, e di Potere al Popolo – Unione Popolare che ha messo a disposizione tutti i militanti presenti sul territorio. Il primo giorno di attività si sono registrati più di duecento volontari da tutta la regione ma anche da Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Umbria. Alla fine della prima fase di lavoro emergenziale si contano più di cinquecento volontari che hanno partecipato per dare aiuto in più di duecento abitazioni private a Senigallia e nei comuni della valle del Misa. Le donazioni private e la passione dei militanti hanno permesso di organizzare una potente azione di solidarietà senza ricevere nessun aiuto dalle istituzioni che intanto venivano accusate da tutta la popolazione di essersi mosse male, poco e tardi. Le stime ufficiali parlano di mille famiglie alluvionate, circa diecimila persone colpite in un’area che conta tra la costa e l’interno circa centocinquantamila persone. Alcuni centri e quartieri però hanno visto una percentuale elevatissima di alluvionati. Sono spesso zone più fragili e precarie a livello sociale. Famiglie di immigrati, anziani spesso soli, persone affette da problemi psichiatrici, ecco le categorie più colpite secondo una prima mappatura condotta dagli attivisti del sindacato Adl-Cobas e dalle BVE Marche. Su molti di loro l’alluvione del 2014 aveva già colpito duramente e i magri rimborsi della Regione e dello Stato erano arrivati con sei anni di ritardo, nel 2020.

Un primo momento di rabbia pubblica è rimbalzato sui media quando un gruppo di giovani volontari e studenti di Senigallia ha lanciato fango sul palazzo della Regione Marche durante la manifestazione “Sciopero per il Clima” di Fridays For Future di Ancona. In quella occasione circa trecento persone sono scese in strada e hanno portato dei sacchi di fango raccolti proprio nelle strade alluvionate fino al capoluogo di regione. Il governo della giunta Acquaroli di Fratelli d’Italia si è distinto per l’inattività nel campo della prevenzione dei rischi idrogeologici e per la tenacia nel negare la realtà del cambiamento climatico azzerando i fondi stanziati per l’adattamento e la mitigazione dei rischi. Allo stesso tempo, denuncia Legambiente Marche, “le stazioni sciistiche riceveranno 34.488.000 euro, pari al 34,7% del totale delle risorse stanziate, mentre dal Fondo complementare Aree Sisma, arriveranno 30.804.000 euro per questi impianti, pari al 61% del totale delle risorse messe in campo”.

La rabbia e la frustrazione per questa seconda devastante alluvione in soli otto anni però non sembrano per ora dirigersi in massa contro la classe politica locale, evidentemente capace di coprire le proprie responsabilità e omissioni, sebbene le magistratura di Ancona e Pesaro abbiano aperto numerose indagini anche in passato sulla cattiva gestione di montagne e fiumi.

Per le elezioni del 25 settembre nelle zone alluvionate non c’è stato un alto astensionismo come molti prevedevano. La partecipazione anzi è stata maggiore nei comuni più colpiti. Si è respirata infatti per settimane un’aria di resilienza, di volontà caparbia di rialzarsi. Certi giorni, quando il sole scaldava finalmente di nuovo l’aria e centinaia di volontari si incontravano per le strade, sembrava quasi che fosse accaduto qualcosa di misterioso e nuovo. Dopo due anni di pandemia l’imperativo era avvicinarsi, tendersi le mani sporche, entrare nelle case degli uni e degli altri per dare aiuto, per scambiarsi una parola o anche solo uno sguardo di conforto.

Dopo tre settimane adesso si apre una fase nuova: i lavori urgenti sono finiti ma restano migliaia di persone senza casa attualmente ospitate da amici, parenti o negli alberghi a spese dei servizi sociali. Molti hanno perso il lavoro o vedono la loro piccola attività agricola o turistica compromessa. Lo stato di emergenza proclamato per un anno potrà portare risorse per tamponare alcuni bisogni ma non potrà migliorare la situazione di un ecosistema fragilissimo che a ogni pioggia abbondante può nuovamente ferire i suoi abitanti. Lo sforzo del coordinamento autonomo dei volontari e delle volontarie di Senigallia si dirige adesso nel cercare di fornire un aiuto materiale ai più poveri e precari grazie alla solidarietà diretta sostenendo la seconda edizione della campagna #amollomanonmollo che porterà aiuti alle persone colpite in maniera autonoma rispetto alle istituzioni comunali e regionali. Resta però un grande interrogativo sul futuro, su come organizzarsi dal basso per rispondere a un impatto sempre più duro dei cambiamenti climatici sulle persone già sfruttate e marginalizzate. Esistono esempi in tutta Italia di situazioni come questa, forse è tempo di unirsi senza aspettarsi niente da istituzioni spesso corrotte o inefficaci, con intelligenza e con i giusti mezzi materiali, “in social catena” come invocava Giacomo Leopardi osservando con la stessa inquietudine il “formidabil monte sterminator Vesevo”. Oggi sappiamo che non è la natura la vera minaccia che dobbiamo affrontare ma il sistema capitalista e la sua inaccettabile volontà di potenza.

Questo articolo è stato pubblicato su Napoli Monitor l’11 Ottobre 2022

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