Sinistra. La lunga marcia verso la sconfitta

di Tomaso Montnari /
3 Ottobre 2022 /

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La miccia che ha portato alla deflagrazione elettorale di domenica scorsa è troppo lunga per discutere solo dell’ultimo tratto. Per questo, a disastro puntualmente avvenuto è necessario, ma non sufficiente, cogliere le responsabilità di chi ha clamorosamente sbagliato la campagna elettorale. I numeri dimostrano che la partita era contendibile, e che se Enrico Letta e la dirigenza del Pd non avessero impedito la coalizione “di resistenza” con i 5 Stelle, si sarebbe arrivati a un sostanziale pareggio, e a un Parlamento ben diverso. Invece ora – grazie all’ovvia profferta dei mercenari Renzi e Calenda – la Costituzione è in pericolo: e su questo il Paese dovrà reagire, con pacifica determinazione, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze. Per tutto il resto, non basta una veloce plastica facciale al vertice del Pd: o c’è una comprensione profonda delle cause dell’arrivo al governo della destra di tradizione fascista, o questo governo durerà a lungo.

La prima cosa da capire è che le elezioni non le ha vinte la destra: le hanno perse tutti gli altri. I voti assoluti del blocco di destra non sono aumentati: si sono polarizzati sulla forza più nera, ma sono sempre circa 12 milioni, cioè circa il 26 % degli aventi diritti al voto. In particolare, Fratelli d’Italia è stato votato da circa il 15%: cioè da un italiano e mezzo su 10. Se con questi numeri l’estrema destra si prende l’Italia, è perché l’elettorato di centrosinistra e dei 5 Stelle si astiene in massa, concorrendo al vero evento di queste elezioni: l’eclissi di un terzo abbondante degli italiani (36,09%). Capire le ragioni, recenti e antiche, dei 18 milioni non votanti significa capire in quale direzione andare. Non certo perché siano tutti di sinistra, ma perché – essendo la parte più povera del Paese – lì sono oggettivamente tutte le ragioni dell’esistenza di una qualunque sinistra.

Il Pd è stato il pilastro dell’operazione Draghi, il cui messaggio era chiaro: la politica non serve più, il voto è inutile, il Parlamento pericoloso. La soluzione era un governo paternalista calato dall’alto: come si poteva pensare che il risultato non fosse un’astensione maiuscola? Solo il giornalismo servile e cieco del nostro Paese poteva cantare per mesi un consenso che non esisteva, se non in quell’establishment che il “governo dei Migliori” garantiva. Già, perché la virata oligarchica del governo Draghi non solo commissariava la democrazia, ma lo faceva a favore dello stato delle cose, e cioè dei più ricchi. Se il Movimento 5 Stelle si è, in parte, salvato, è solo perché è sceso giusto in tempo dalla barca Draghi. Ma i suoi sei milioni di voti regalati all’astensione sono il prezzo per l’errore madornale di esserci salito. (Anche la polarizzazione sull’estrema destra, rimasta astutamente fuori dal governo Draghi, è un ovvio frutto della geniale operazione che ha visto l’alta regia di Mattarella).

Ma il Pd non ha sostenuto Draghi per caso, e lo stesso governo Draghi è solo l’ultimo sintomo di una lunghissima malattia. Di più, l’Italia come è oggi – diseguale, abbandonata, antipolitica – è opera del centrosinistra. È ad esso che dobbiamo lo smontaggio sistematico e pervicace del progetto della Costituzione. Fu un governo di centrosinistra a decidere la guerra nei Balcani, illegittima per la Carta dell’Onu, e per la nostra. L’avvio della precarizzazione dei rapporti di lavoro, con la sua scia di vite distrutte e povertà, lo dobbiamo alla riforma Treu, governo Prodi. L’abbandono del ruolo dello Stato nell’economia (e dunque nella vita dei cittadini) è avvenuto con privatizzazioni e liberalizzazioni volute da governi di centrosinistra. La mancanza di una seria legge contro la concentrazione dei mezzi di informazione è frutto della prima legislatura dell’Ulivo. La “federalizzazione” dei diritti, che oggi ne impedisce l’uguale attuazione sul territorio nazionale (pensiamo alla sanità!), inizia con le riforme di Franco Bassanini. L’autonomia differenziata (cioè l’abbandono definitivo del Mezzogiorno) nasce dalla riforma del titolo V del 2001, e oggi è una bandiera di Bonaccini. La linea securitaria Turco-Napolitano-Minniti è la radice dei decreti sicurezza di Salvini. E non parliamo di Renzi, che di tutto questo tradimento fu il pirotecnico gran finale. È su queste macerie che la destra – rimasta l’unica realtà politica con un progetto – vince.

Ma attenzione: anche questa destra di matrice fascista governerà attuando l’agenda Draghi (che è poi il pilota automatico degli ultimi decenni), fondata su politica economica neoliberale e atlantismo prono e armatissimo – mettendoci di suo solo l’attacco ai diritti civili, e un ancor più forte securitarismo razzista. Per la sinistra, fare davvero opposizione, dunque, significa cambiare tutto, rimettere in discussione tutto. Non solo cambiare leadership, ma nemmeno solo cambiare partiti: il salto deve essere culturale. E deve essere un salto capace di costruire politiche diverse, che si porteranno dietro persone diverse. Per il Movimento 5 Stelle significa accelerare senza tradimenti nella direzione indicata da Giuseppe Conte negli ultimi mesi, liberandosi da zavorre (Grillo) e contraddizioni (per esempio l’antiparlamentarismo). Il traguardo è presto detto. Quale forza, o quale alleanza, riesce oggi in Italia a tradurre in progetto politico le cose che – sui tre cardini: giustizia sociale, ambiente e pace – dice il leader più radicale del mondo, papa Francesco? La risposta è: nessuna. Quando ci sarà una proposta del genere, il consenso della destra avrà i minuti contati.

Questo articolo è stato pubblicato su volerelaluna il 30 settembre 2022

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