Quasi nessuno ha parlato del programma di Fratelli d’Italia relativo alla cultura. Certo, leggerlo significa intraprendere una discesa all’inferno. Ma è una discesa istruttiva, perché ci permette di capire in cosa stiamo per sprofondare.
Possiamo dividerlo in tre parti. Una da centro-destra liberista: alla Renzi, Calenda o Franceschini. Una da destra dell’est europeo, tra Putin e Orbán. E una da destra francamente fascista.
La prima, quella rassicurante e mainstream fin dal titolo renzianissmo (“Cultura e bellezza, il nostro Rinascimento”), è tratteggiata dalle dichiarazioni del responsabile cultura del partito, Federico Mollicone: “Per noi la cultura è industria ed economia. Il Ministero della Cultura diventerà uno dei cardini strategici dell’azione di governo di Fratelli d’Italia”. Le parole d’ordine sono quelle dominanti, usuratissime: “C’è bisogno di sviluppare un sistema di gestione della cultura pubblico-privato per uscire dall’inedia, di ridurre l’eccesso di burocrazia, che inficia la valorizzazione del nostro patrimonio”. Il che vuol dire nessun ritorno alla centralità dello Stato, come invece ci si sarebbe potuti aspettare, ma prosecuzione dell’abdicazione ai privati e ai loro interessi: come dimostra, per esempio, “l’estensione dell’art Bonus al settore privato (Istituti culturali, Fondazioni e imprese), ampliando lo spazio del credito fiscale oltre l’attuale 65%”. Lo Stato, insomma, mecenate dei ricchi privati.
Come nella Russia di Putin, però, accanto al via libera ai capitali e agli oligarchi, ecco la retorica dell’identità cristiana, biecamente piegata a instrumentum regni: “Valorizzazione del Giubileo 2025 e di Roma Capitale della Cristianità”. Non quella antica, carissima al fascismo, ma la Roma cristiana che giustifichi le battaglie identitarie in difesa dei bianchi cristiani di oggi contro le “invasioni” dei neri musulmani. Tipico dei regimi attuali dell’est è anche l’uso politico della storia, di una storia distorta, e vagamente grottesca: “Vanno difese e valorizzate le associazioni legate alle rievocazioni storiche, assieme a tutte quelle realtà capaci di promuovere il ‘futuro antico’ delle nostre città d’arte, come strumento fondamentale per capitalizzare il valore della nostra storia. La rievocazione rappresenta una risorsa preziosa per promuovere i territori e le tradizioni, un asset strategico per rendere attrattivi borghi e città, valorizzandone l’unicità. Potenzieremo l’ufficio per i centenari d’interesse nazionale, coinvolgendo maggiormente le scuole e ideando iniziative in grado di riaccendere, intorno al ricordo di un episodio storico, il senso di comunità, sulla scorta del successo che ha avuto il viaggio del treno del Milite Ignoto”. E davvero non si sa se piangere, o ridere.
Infine, la parte più francamente fascista: “Istituiremo il Giorno del Ricordo per le vittime delle Marocchinate”. Si vuole cioè proseguire la distruzione revisionista del calendario repubblicano antifascista, introducendo date che servono a ribaltare il giudizio storico, e a parificare fascisti e antifascisti. In un paese che non ha una giornata in ricordo delle vittime del fascismo, arriverà dunque una giornata che commemora le vittime di un piccolo gruppo di criminali annidato tra i liberatori. Ma naturalmente non si ha il coraggio di istituire, non so, un giorno del ricordo delle vittime innocenti dei bombardamenti americani, ma si sceglie con cura un nemico dalla pelle scura. Le vittime dei (terribili, imperdonabili) stupri compiuti da membri delle truppe marocchine inquadrate nell’esercito francese vengono strumentalizzate per costruire nell’immaginario collettivo una figura di africano stupratore che sia facilmente spendibile nel presente.
Ad essere totalitaria, da Stato etico, è proprio l’idea che un governo possa lavorare alla “creazione di un nuovo immaginario italiano anche promuovendo, in particolare nelle scuole, la storia dei grandi d’Italia e le rievocazioni storiche”. Facile capire cosa succederà ai programmi scolastici di storia, facile immaginare chi saranno questi “grandi d’Italia”.
Siamo, insomma, al ritorno del Ministero della cultura popolare, il fascista Minculpop: un passo peraltro ovvio, dopo che Franceschini aveva cambiato il nome del ministero in “ministero della cultura”. Quando si piega la cultura alla propaganda al governo di turno si apre una strada terribilmente pericolosa: ora vediamo con quali risultati.
E ad essere fascista è l’idea stessa che esista un unico immaginario italiano, legato cioè all’etnia e alla nazione: e non al genere, alla condizione sociale, alla fede politica, alla pluralità delle tradizioni culturali… Non manca, d’altra parte, una esplicita, stucchevolissima retorica nazionalista: “Il Fus verrà rinominato Fondo per le Arti Nazionali”. E, si annuncia un ferreo “contrasto a cancel culture e iconoclastia”: quali siano le immagini che si vorranno tutelare è terribilmente ovvio. A un secolo dalla marcia su Roma, il fascismo ritorna: speriamo solo in farsa.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 19 settembre 2022