Il plebiscito di questa domenica 4 settembre in Cile ha espresso un chiaro no al cambio della Costituzione, con un 61,86% dei voti, mentre a favore ha votato solo il 38,14%. Un risultato schiacciante e inaspettato, che ha superato le previsioni dei sondaggi, dove il “rifiuto” era in testa per una decina di punti.
«Quella di ieri è stata una sconfitta determinata da errori individuali e collettivi che ritarda il riconoscimento dei popoli originari» ha twittato Elisa Loncón, la prima presidente della Convenzione che ha redatto il nuovo testo, appartenente al popolo mapuche. «Ma non si rinuncia ai nostri diritti» ha aggiunto.
L’EX CANDIDATO presidente di estrema destra, José Antonio Kast, dal palco della campagna per il “no” ha celebrato la sconfitta «di una proposta costituzionale che avrebbe fatto danno alla Patria e a tutti i cileni». Ha ringraziato soprattutto le forze politiche di centro-sinistra che hanno permesso una vittoria trasversale, ben oltre il bacino di elettori della destra in Cile. Il rifiuto ha vinto comodamente in tutte le regioni del Paese, senza eccezioni.
QUESTA È UNA DELLE PRIME ragioni che può spiegare il risultato: dall’ex presidente democristiano Eduardo Frei al gruppo denominato Amarillos por Chile, sono state le forze più moderate a promuovere il no a questa Costituzione senza difendere quella pinochettista del 1980, con un discorso che era rifiutare per poi avviare un nuovo processo costituente.
«Non mi piace quella che c’è ora e non mi piace quella nuova che hanno scritto» affermava Mariela di fronte al seggio dove avrebbe votato di lì a pochi minuti, ancora indecisa. Pensando ai suoi nipoti, era preoccupata che fossero garantiti la salute e l’educazione, ma non le andava l’idea che il popolo mapuche potesse dotarsi di leggi proprie.
LE FAKE NEWS sono state un’altra strategia comunicativa efficace della destra, finanziata e appoggiata dal sistema dei media mainstream, che in Cile è controllato sostanzialmente da un duopolio. Le menzogne installate in questi intensi mesi di campagna elettorale sono arrivate a suggerire che se una persona indigena avesse commesso un omicidio non sarebbe stata punita. La plurinazionalità si è trasformata nella minaccia di frammentare il territorio nazionale, il diritto alla casa è diventato espropriazione degli immobili, l’aborto sarebbe stato permesso fino al nono mese di gravidanza, i fondi di pensione individuali perduti. Il livello e la quantità di menzogne diffuse in rete ha allertato perfino cinque deputati democratici negli Stati uniti, che hanno chiesto pubblicamente ai dirigenti di Facebook, Twitter e Tik Tok di combattere il fenomeno della disinformazione. Il risultato è stato che la Convenzione sembrasse un circo, e il nuovo testo non ha goduto della sufficiente credibilità. «Per me la Costituzione va cambiata, ma non con questa» dice un ragazzo alto, giovane. Aveva votato per approvare il cambio nell’ottobre 2020, però ora non è convinto del risultato.
IL PRESIDENTE BORIC è intervenuto in catena nazionale dopo il conteggio dei voti per celebrare la partecipazione nell’atto democratico dell’elezione, che per la prima volta dopo 10 anni tornava a stabilire il voto obbligatorio e ha convocato alle urne l’85% della popolazione. Ha dichiarato di aver ascoltato e accolto con umiltà il messaggio chiaro che è arrivato dal plebiscito, e si è impegnato a «lavorare con più forza per giungere a una proposta che interpreti il sentire di tutti, che dia fiducia e unisca il Paese».
Aveva già espresso a luglio l’idea di avviare un altro processo costituente, davanti alla possibilità che vincesse il “rifiuto”, facendo riferimento al plebiscito dell’ottobre 2020 quando il 78% della popolazione aveva optato per cambiare la Costituzione vigente. Il seguente suffragio, nel maggio 2021, premiava le forze politiche di sinistra e in particolare i rappresentanti indipendenti dai partiti tra i membri della Convenzione. E poi ancora, alle elezioni presidenziali il popolo cileno sceglieva il progressista Boric allontanando lo spettro della destra estrema rappresentata da Kast. Ma il consenso politico al nuovo presidente è calato rapidamente durante i primi mesi di governo e il suo stretto legame con il destino della Costituente non ha favorito il sì al nuovo testo, complice anche un contesto economico nazionale difficile e di inflazione su scala mondiale, e una cattiva gestione dei temi legati alla sicurezza e ai conflitti nella zona del Wallmapu.
SE QUESTO 4 SETTEMBRE sembrava portare a compimento un ciclo politico iniziato con il salto dei tornelli da parte degli studenti nell’ottobre 2019, la sensazione di chi aveva scommesso sull’approvazione è quella di un tremendo balzo indietro, con poca fiducia che il governo abbia davvero le carte in mano per poter costruire un nuovo itinerario costituente coinvolgendo il Congresso e la società civile. Oggi stesso Boric si riunirà con i presidenti delle Camere e poi con i diversi blocchi politici, per cominciare le negoziazioni che possano portare a un nuovo meccanismo costituente, però ora alle condizioni imposte dalla destra, forte del risultato del plebiscito.
NELLE DICHIARAZIONI dei movimenti sociali dopo il voto – ambientalisti, femministi – si legge la chiamata ad andare avanti e sostenere un processo che, sebbene si intraveda lungo, non può arrestarsi né tornare indietro. Dal punto di vista di uno storico come Claudio Alvarado Lincopi, ricercatore del Centro de Estudios Interculturales e indígenas, l’irruzione dei movimenti sociali nel dibattito politico ha già modificato il panorama e continuerà a spingere verso trasformazioni necessarie.
I protagonisti di questo percorso politico, che ha portato una delle Costituzioni più avanzate del mondo fino alle porte dell’approvazione, sono i giovani, che stanno ancora raggiungendo la maggiore età, e nelle prossime settimane capiremo in che modo torneranno a manifestarsi.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 6 settembre 2022
Immagine di copertina di Luis Andres Henao/Ap