Santarcangelo Festival 2022, percepisci la tua voce?

8 Luglio 2022 /

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Ci sono sottigliezze linguistiche che aprono mondi di senso e cosi mi pare essere per la titolazione di questa 52esima edizione del Festival di Santarcangelo dei Teatri, ormai in partenza mentre scrivo, visto che il brindisi inaugurale si terrà in piazza Ganganelli venerdì 8 luglio alle ore 19. Da quel momento in avanti, la più longeva kermesse di “teatro altro“ nel panorama italiano si snoderà con l’intensità e la freschezza adolescenziali che le sono congeniali fino al 17 luglio. Infatti, normalmente, noi pensiamo alla voce come apparato di trasmissione e comunicazione strettamente collegato alle funzioni uditive. Ma in fondo questa è una banalizzazione perché qui si allude evidentemente ad una organicità sensoriale che trova la propria coloritura emotiva ed espressiva per ciascuno di noi, inseriti in una dimensione certamente corale, in grado di rispettare e valorizzare ogni unicità.

Gli ultimi anni non sono stati facili per nessuno, tanto meno come continuiamo a scrivere qui, per il mondo delle arti e della cultura in generale:le ultime edizioni del Festival hanno fatto di una certa cifra di transitorietà un punto di grande forza, rilanciando sorprendentemente verso un futuro certamente anche distopico e indecifrabile per molti aspetti, ma anche in grado attraverso una grande attitudine visionaria, di superare limiti e scardinare pregiudizi. Motus, ha saputo condurre questa sorta di congegno spaziale con grande tenacia e divertimento ad approdi sicuri nonostante i tempi incerti e tutte le limitazioni alla parte più ludica e godereccia del festival come, ad esempio, il tradizionale Imbosco, ritrovo notturno per rituali danzerecci collettivi.

Peraltro i tempi interessanti, come alcuni li definiscono, sembrano essere appena iniziati ed anche il mondo della Cultura alta o bassa che sia, oggi viene investito, in questa delicatissima fase di riapertura da problematiche e stress test difficilmente preventivabili, ma forse no, in realtà, come una crisi climatica ed energetica senza precedenti in fondo assai probabile accompagnata dalla Guerra, una nuova ennesima guerra in Europa a forte rischio di escalation, che vogliamo definire a bassa intensità soltanto per giustificare un suo protrarsi con conseguenze e derive di ogni genere.

Proprio in questo momento di criticità, Santarcangelo dei Teatri rinnova la sua direzione, dopo una call aperta a livello internazionale, affidandola al giovane Tomasz Kirenczuk, drammaturgo, critico teatrale e curatore polacco, una scelta certo intrigante per molti aspetti. I materiali promozionali che mi vengono forniti dal gruppo Maggioli, una delle partnerships del festival vocata all’implementazione del valore del territorio tramite l’internazionalizzazione, mi avvertono già che in questo triennio 2022-2024, ci si proporrà in modo particolare di trasferire messaggi che denotano impegno sociale e politico, che ci saranno compagnie da tutto il mondo, portatrici di arti e culture diverse.

Negli ultimi anni, rifletto sul fatto che in qualche modo il Festival avesse già abbandonata semmai l’avesse avuta un po’ l’intenzione o la fisionomia di posto luogo in cui si decidono tendenze teatrali che arricchiscano i l repertorio dei vari -ismi o rimpolpino dibattito e scoutismo sui gruppi più nuovi da lanciare quantomeno nella scena nostrana, quanto piuttosto si sia posto in modo un po’ situazionista. Ovvero del farsi spazio in cui le cose accadono e si definiscono come percorso sperimentale. Sono dunque piu che curiosa di fare una chiacchierata con il neo direttore artistico, che si rivelerà, non soltanto una persona estremamente brillante, attenta, equanime, ma anche un perfetto conoscitore della nostra lingua. Immagino che se Santarcangelo a torto o ragione, sia stato percepito per lungo tempo, come una sorta di esaltazione della Romagna felix dei tanti gruppi di ricerca più o meno locali, oggi dovrà necessariamente darsi nuovi equilibri, specie se scorrendo un po’ di dati vedo 40 tra artisti, gruppi singoli, compagnie per un totale di 170 repliche e che oltre ad essere numerose le presenze estere e ben oltre che europee, molti saranno performers per la prima volta in Italia. Naturalmente grande è per parte mia anche la curiosità rispetto alle presenze femminili: prima, tuttavia, vediamo di raccontare questa nuova parte della storia dall’inizio.

Immagino, tu sia consapevole del fatto che la tua presenza oggi qui, susciti curiosità, come dichiarato dalla stessa sindaca Alice Parma, per la tua appartenenza ad un’area geografica assolutamente europea tuttavia di nuovo legata suo malgrado ad un’idea di blocco orientale, con caratteristiche peculiari e controverse e, aggiungo io, grande aspettativa, pensando alla superba tradizione fatta di innovazioni ed eccellenze d’avanguardia della scena teatrale, delle arti visive e della letteratura polacche nei secoli della modernità e fino a tutto il 900. Puoi brevemente raccontarci il tuo come mai qui?

“Già da studente ero molto interessato alla ricerca italiana. Ho svolto il mio Erasmus con una lunga permanenza a Roma e in quel periodo, nei primi anni duemila sono stato per due edizioni a vedere cosa succedeva in Santarcangelo. Mi ha sempre colpito molto il modo in cui le cose accadevano qui, per me era una sorta di faro ben prima di arrivare a pensare che avrei potuto esserne il direttore artistico. Il processo della ricerca teorica qui si metteva in pratica e, nel tempo, mi sono sempre tenuto informato e ho mantenuto contatti. Poi sono stato direttore di due festivals nel mio paese e, alla fine, quando stavo per terminare il mio contratto li, è uscita la call per Santarcangelo e mi sono detto:perché no? Certo, implicava la necessità di trasferirsi, ma devo dire che pur continuando tutti gli artisti polacchi a perseguire grande libertà di ricerca e a cercare di mantenere gli spazi che la propongono, oggi l’atmosfera si è fatta pesante. In gran parte la produzione culturale è finanziata pubblicamente e questo rende molto difficile la vita di chi si considera artista-attivista. Ci sono tematiche molto sensibili, per cosi dire e poi certo, la guerra è per noi un fatto concreto perché noi abbiamo migliaia di profughi ucraini che arrivano e devi capire che conviviamo con memorie molto molto dolorose e divisive a causa delle ripetute invasioni subite. Oggi chi sceglie di rimanere o non puo andarsene vive con limitazioni e paure, ma la faccenda è molto complessa e non può essere giudicata facilmente. Ognuno cerca di fare la sua parte anche dall’esterno”.

Questo significa dunque, che vedremo molti artisti polacchi all’interno della rassegna ? Che significato assume allora la loro visibilità in questo tormentato contesto?

“Diciamo che intanto, per presentarmi in qualche maniera, a mo di biglietto da visita, ritenevo doveroso presentare le cose della scena polacca che ritenevo più interessanti, pur precisandoti che la mia visione di festival cosmopolita non è quella di una rassegna o vetrina del meglio dei paesi. Cosi come credo fermamente nel dovere di essere internazionalisti nella cultura, non mi ancoro neppure ad una definizione delle tipologie di artisti presenti perché ecco, posso dire siano performers, che perseguono, specialmente ora, il contatto col pubblico. Ma lo fanno con strumenti e modalità molto diversi tra loro, utilizzando il corpo, ma anche video, fotografie, documentaristica, tutte forme espressive di cui mi sono occupato e che mi appassionano molto. In verità gli artisti polacchi presenti hanno già scelto da tempo di fare base altrove. Ti posso citare Maria Magdalena Kozlowska, che fa capo ad Amsterdam e presenta per la prima volta fuori dai Paesi Bassi Commune, lavoro ispirato alle proteste contro la penalizzazione dell’aborto, dall’attività delle Pussy Riots, e dall’idrofemminismo. Kozlowska è interessata alla natura politica della voce umana e pertanto decostruisce partiture liriche, esaltando contemporaneamente la potenza del Femminile si potrà vedere il 9 e il 10 di luglio, affrettandosi a prenotarsi i biglietti, perché ci sono già molti sold out. Naturalmente in questo caso è coinvolto il Performing Arts Fund NL. Poi abbiamo il danzatore polacco emergente Pawel Dudus che lavora con due artiste tedesche Lucy Wilke e la compositrice Kim Twiddle, sulla eterogeneità delle relazioni e le diverse abilità fisiche, in questo caso invece auspice il Goethe Institute Mailand. L’Istituto polacco di Cultura a Roma supporta invece Pawel Sakowicz e Anna Karasinska. Quest’ultima è, ad esempio, fondamentalmente una documentarista, che presenterà una installazione site specific all’interno dell’ex cementificio Buzzi, come spazio di condivisione intimista. Sakowicz, peraltro, metterà in scena l’estenuante performance Jumpcore, che riproduce in modo estenuante il salto in quanto gesto estremo che nel 1964 corono l’ultima tragica performance del danzatore Fred Herko, suicida dai piani alti di un palazzo newyorchese. Molto interessante si annuncia anche la sensibilità estetica queer espressa da Alex Baczynski- Jenkins, performer di origini polacche si, ma di stanza tra Londra e Berlino che con il suo Untitled, visibile nella seconda metà del festival ci conduce tra atmosfere bucoliche e rave party in assoluta continuità. Se comunque voglio continuare il tuo ragionamento sulle dissidenze e come possono essere aiutate e prima ancora conosciute e valorizzate qui, rimanendo su temi molto attuali, mi consta di segnalarti il performer bielorusso Igor Shugaleev che ci mostrerà il 9 e 10 la sua performance 3750908 2334. The body you are calling is not currently available, con allusione al prefisso telefonico internazionale e alle sparizioni di oppositori in seguito alle feroci ondate repressive del regime.

In certi casi, per tornare ai tuoi iniziali quesiti, l’unica cosa dolorosa e coraggiosa da fare è andarsene, sempre tu voglia continuare a fare il tuo lavoro di libero artista. Altrimenti, la situazione si fa molto ambigua. Io condivido anche le tue preoccupazioni per il popolo russo, la sua libertà e la sua cultura e trovo inaccettabili le varie forme di censura messe in atto verso opere ed esponenti culturali russi, tuttavia, devi tener presente che in Russia il potere spende moltissimi soldi sulla cultura di regime e di consenso, assicurando anche rendite di posizione a chi accetta condizioni di quieto vivere. Altrimenti in linea generale è un po’ come venissi esiliato. Poi certo c’è una nota anziana pittrice che vive nella più nera miseria e viene ripetutamente arrestata in quanto apertamente ostile al governo oppure casi appunto meno decifrabili come il noto direttore di un teatro moscovita, che infine ha chiuso perché osteggiate certe opere che vi si rappresentavano ma che comunque poi ha il permesso di partecipare a festival culturali all’estero purché rilasci interviste innocue o si faccia fotografare con personalità ufficiali. Le scelte individuali sono molto difficili, difficile dire quanto spontanee e comunque ingiudicabili. Noi abbiamo credo il dovere morale di promuovere la pace e il dialogo e in questo momento semplicemente favorire il miglior aiuto possibile al popolo invaso”.

Quali altre tematiche ti sembrano rilevanti nel festival? Le Donne in particolare quale valore aggiunto portano?

“Beh, certamente rappresentazione del corpo come territorio di conflitti e sensibilità ambientale. Sto pensando per esempio alla coreografa portoghese Monica Calle che esprime ribellione contro il dominio dell’ideologia maschile sui corpi femminili o Violences della belga Lea Drouet che ricorda la dolorosa esperienza di due bambine, una delle quali la nonna della stessa performer. In interazione tra corpo e natura Il lavoro della performer mozambicana Marilù Namoda, che rappresenta un rituale funebre di 9 ore compiuto quasi in stato di trance fino a perdere definizioni di identità ed etnia. Ma anche la performer sudafricana Ntando Cele, in produzione italiana con Go Go Othello, affronta in maniera cabarettistica i temi di razzismo e postcolonialismo servendosi del corpo come strumento di emancipazione attraverso il racconto per flash della vita di grandi artiste di colore. C’è chi poi affronta anche tematiche di fluidità di genere come il brasiliano Calixto Neto che in qualche modo problematizza il corpo maschile erotico nero fino a condurlo alla queerness. Rispetto alle questioni ecosistemiche è imperdibile il lavoro della regista e ricercatrice brasiliana Gabriela Carneiro da Cunha che mediante dispositivi tecnologici riletti in chiave sciamanica affronta il tema della diga di Belo Monte in Amazzonia. Come sappiamo il disastro ambientale in quei luoghi è cosa che riguarda tutto il mondo e dunque politicamente è responsabilità condivisa”.

Giustamente mi sembra che tutte le tematiche del festival siano molto forti e presuppongano anche una scelta oculata, molto drammatizzata degli spazi. In qualche modo si rappresenta con accenti, strumenti e sensibilità anche molto diverse tra loro, una intera incombente tragedia umana. Ma che tipo di collettività può saltar fuori da questo, come possono convivere aspetti ludici, che al festival non sono mai mancati? Rintracci qualche tendenza o voler andare in controtendenza rispetto alle restrizioni e agli obblighi tecnologici pandemici?

“Comincerò dal fondo del tuo ragionamento per risponderti. Ovviamente abbiamo estremo bisogno di ricreare comunità accoglienti e resilienti e questo presuppone il corpo in primo piano. Tuttavia io riconosco al tempo pandemico la grande opportunità che ci ha concesso di capire meglio fuori dalla nostra bolla quanti non hanno ancora accesso alla cultura e vi è stata una qualche forma di democratizzazione e condivisione maggiore. Nello stesso tempo dopo la pandemia non ci siamo ritrovati esattamente per tutti quelli che eravamo. Tante persone in senso fisico e metaforico sono scomparse ora dai nostri schermi, dai nostri orizzonti, dalla nostra scena, dalla nostra Cultura e Vita. Io voglio dedicare un pensiero a tutti costoro vicini e lontani. Per questo il festiva che qui ha sempre avuto una valenza molto condivisa di festa mobile, ha però anche tutti i suoi momenti e spazi di fruizione intima, quasi in rapporto col sacro, ristretta anche a pochi. I suoi luoghi quieti e meditativi. Io dico sempre che questa non è la nostra ritrovata comfort zone, bensì la nostra safe zone. Qui pubblico, esperti, studiosi, artisti devono sentirsi fuori pericolo, in sicurezza, in una sorta di pacifico villaggio globale almeno per una decina di giorni. Qui la convivialità viene celebrata e favorita. Non solo abbiamo il nostro spazio ristoro, ma abbiamo fatto costruire da un bravissimo artigiano locale un tavolo di materiali interamente riciclati che abbraccia completamente la piazza con tutte le simbologie che la tavola rotonda si porta dietro. Si tratta di una vera opera d’arte di grande valore estetico-simbolico che però ha tante funzioni anche per chi vorrà appoggiarcisi con un piatto o un bicchiere nei giorni del festival. Il giorno tredici ci sarà un autentico convivio per 70 persone, realizzato con la collaborazione dei commercianti santarcangiolesi e gli chef locali. L’incasso sarà devoluto al popolo ucraino e devo dire che mi ha commosso quanto ho trovato qui, non ho dovuto sollecitare nulla. La gente era già orientata a dare e fare. Poi certo ci sono concerti e torna il mitico Imbosco per i più nottambuli. Non ci saranno pensosi convegni e seminari sullo stato del teatro o particolari presentazioni anche se parleremo del catalogo, anche questo realizzato con particolari modalità di assemblaggio e questo proprio per non appesantire con discorsi che suonassero appunto di tendenza. Io sono molto attento alle tendenze, perché rispetto il lavoro di tutti, ma non ne stabilisco o ufficializzo nessuna perché so bene quanto le scelte di ognuno di noi siano in qualche modo già orientate e confermino sempre le nostre visioni e convinzioni. Preferisco pertanto incontri con gli artisti, possibilità di laboratori, per ribadire oltre la tolleranza e l’integrazione, possibilità di partecipazione ed emancipazione per tutti e tutte.

A Santarcangelo, grazie anche alla partnership con Hera, da tempo esiste una sensibilità ambientale piuttosto spiccata. Mi sembra di capire che in tal senso volete raggiungere traguardi ambiziosi.

“Si abbiamo inventato tutta una linea di gadget che nasce da una sorta di call presso vari festival e rassegne per raccogliere tra magliette, shopping bags e altro quanto era rimasto nei magazzini, in modo da riciclarlo sapientemente grazie alla favolosa manodopera artigiana che c’è qui. Uno staff promozionale e un ufficio stampa altrettanto efficienti ed empatici fanno il resto e mi fanno sentire di aver fatto una scelta giusta. Voglio ricordare qui che l’auto-organizzazione dal basso è molto importante storicamente per questo territorio e questo festival, ma molto dobbiamo alle istituzioni pubbliche che qui voglio ricordare, ovvero l’associazione di tutti i comuni limitrofi a noi, la Commissione europea, Visit Romagna, la Camera di Commercio, la Regione ER quali main sponsor.

Mi congedo dall’affabile Direttore, con la sensazione di un grande appuntamento collettivo in arrivo molto atteso, non senza prima raccontarvi che qualche nume tutelare di scena romagnola ci sarà naturalmente.

Non potrebbe mancare la carismatica Silvia Calderoni con i Motus per una profetica Tutto brucia o gli esiti laboratoriali della mitica non scuola teatrale delle Albe o di Patalo Teatro. Altra splendida certezza è la coreografa Cristina Kristal Rizzo. Ma in quanto a coreografe ne abbiamo diverse, quali Annamaria Ajmone e Rita Mazza. ci sono anche due giovanissimi performers debuttanti quali Giovanfrancesco Giannini e Camilla Montesi per chi fosse comunque a caccia di assolute novità. Per la serie riconferme, mi sento di consigliarvi caldamente e non potrebbe essere altrimenti, la nuova fatica della talentuosa Emilia Verginelli da Roma, già notata nella scorsa edizione e che ci proporrà insieme a due performers svizzeri nell’ultimo weekend del festival un giro al mitico centro commerciale le Befane, genialmente concepito come una visita museale e significativamente titolato, L’Age d’Or. Insomma stiamo davvero transitando in una terra sconosciuta e in parte straniera e la Cultura in certi casi ci consente di guardare a noi stessi con ironica lucidità.

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